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Scaricato: maggio 28, 2011, 10:56am CEST
La speranza e la fiducia in Dio
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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
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LIBRO TERZO
LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO
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CAPITOLO QUINTO. LA SPERANZA E LA FIDUCIA IN DIO
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La Visione beatifica, ossia il compimento finale di quella comunicazione di se medesimo che Dio ci fa, fin da questa vita, con la grazia santificante, ecco l'oggetto della virtù della Speranza.
Non si può raggiungere un fine senza i mezzi adatti; perciò è pure oggetto di questa virtù l'aiuto soprannaturale da parte di Dio, ossia la grazia. Ma il termine nel quale si fissa e riposa la nostra speranza, è quella Visione eterna, beatifica e deifica.
Orbene, la nostra Speranza è fondata sulla parola stessa di Dio, il quale ci ha rivelato la sua decisa volontà di destinarci a quella suprema Beatitudine. La nostra vocazione al Paradiso è dunque, dal lato di Dio, essenzialmente sicura. Questa vocazione ci costituisce esseri soprannaturali, e Dio ce ne dà il pegno, con la grazia santificante e le grazie attuali. Siccome poi la volontà che Dio ha di ammetterei un giorno alla visione e al possesso di se stesso è assolutamente ferma, stabile e permanente, anche la volontà di darcene il pegno è pure assolutamente ferma, stabile e permanente.
Tale è il fondamento della Speranza. Per rendere in noi, soprattutto in noi Sacerdoti, sempre più robusta questa grande Fede e questa magnifica Speranza, dobbiamo qui richiamare una verità che forse non meditiamo abbastanza.
Dio Padre ci ha fatto una promessa infallibile, e ce ne ha dato un pegno. Orbene, qual è questo pegno? Niente altro che GESÙ CRISTO Nostro Signore, principio ed esemplare dell'ordine soprannaturale, autore della grazia, consumatore della nostra Fede e della nostra Speranza. GESÙ CRISTO è il pegno delle promesse del Padre; e questo pegno è veramente nostro, perché è stato dato a noi. Quel GESÙ, il quale vede e possiede il Padre; quel GESÙ che in qualità di Figlio, eternamente, essenzialmente, per proprio diritto, gode del Padre; quel GESÙ che è uno col Padre; proprio quel medesimo GESÙ è il pegno e il dono del Padre, dono perfetto, dono irrevocabile tanto nel proposito di Colui che ce lo fa, come nel proposito e nella volontà di Colui che è il dono medesimo; poiché Egli è una persona divina che dona se stessa con la medesima pienezza con cui ci viene data. Quanti testi della Scrittura ci assicurano di questa verità! (445).
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Scaricato: maggio 21, 2011, 9:45am CEST
Lo spirito e la vita di fede
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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
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LIBRO TERZO
LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO
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CAPITOLO QUARTO. LO SPIRITO E LA VITA DI FEDE
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È bello lo studio che ha per oggetto la Visione beatifica, non solo perché la Visione beatifica è il termine della nostra speranza, ma pure perché ci presenta, fin da questo esilio, lo spettacolo più delizioso che l'occhio umano possa contemplare. La Visione beatifica è la vista chiara, immediata di Dio nella sua vita nell'Eternità; la vista perfettissima di tutto quanto Egli è in se stesso e di tutto quanto opera entro se medesimo, vista che è partecipazione della conoscenza che Dio ha di sé, e quindi, partecipazione di quell'atto ineffabile con cui il Padre eternamente genera il Figlio; in quella guisa che la carità verso Dio, che nasce necessariamente da tale visione, carità immensa, per quanto è possibile in una creatura, è partecipazione dell'atto eterno con cui il Padre e il Figlio sono principio dello Spirito Santo per via di spirazione.
La visione di Dio nei beati è ineguale, secondo l'ineguaglianza dei meriti; essa è pure limitata, a motivo dell'infinità del suo oggetto che è l'Essenza divina, la quale non può essere compresa da qualsiasi creatura per quanto elevata. Ma è visione totale e plenaria, poiché la luce nella quale essa si compie, è Dio medesimo: Dio Padre ne è la fonte, Dio Figlio è la Luce stessa che ci vien data, - Lucerna est Agnus - (Ap 21, 23), lo Spirito Santo la infonde Egli stesso nell'anima dell'Eletto (425); dimodochè, in virtù di tale unione dello Spirito Santo con l'Eletto, questo viene elevato a un grado tale di eccellenza da renderlo atto a percepire l'oggetto della beatifica Visione, che è Dio, e da compiere l'atto incessante di questa visione che gli dà il godimento continuo ed eterno di Dio (426).
Tale è la natura della Visione beatifica; ma è d'uopo aggiungere ciò che ne è una conseguenza, cioè, che i Santi non solamente vedono Dio, ma in Dio vedono pure le creature, se non nella luce medesima della gloria - ciò che non sembra necessario, - almeno nella luce divina, la quale è ancora Dio stesso; questa luce è il Verbo, perché nel Verbo tutto si contiene (427); è anche lo Spirito Santo, perché non andiamo al Verbo che per mezzo della grazia dello Spirito Santo (428). I Beati veggono tutte le creature, tutte quelle che sono nel cielo, tutte quelle che sono sulla terra, le anime umane, il mondo esterno, i minimi oggetti, tutto quanto è bene e tutto quanto è male; sono persino testimoni di quanto avviene negli abissi dell'eterna perdizione; vedono e conoscono tutte le cose, non in se medesime, ma in Dio e in quella luce divina che è Dio stesso (429); e questa visione è senza pena né turbamento; anzi è gioia e amore, perché, dappertutto e in ogni cosa, essi vedono l'azione santissima di Dio, la manifestazione dei suoi diritti e della sua gloria. Inoltre, benché nulla possa essere veramente aggiunto alla loro Beatitudine, ciò che delle cose create essi contemplano e conoscono in Dio e nella sua luce, dà luogo ad un accrescimento di quella felicità accidentale, di cui, secondo la teologia, viene, per soprappiù, dotata la loro felicità essenziale che è la visione dell'Essenza divina.
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Scaricato: maggio 14, 2011, 12:40pm CEST
La fede
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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
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LIBRO TERZO
LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO
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CAPITOLO TERZO. LA FEDE
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Chi dice Sacerdote dice Ostia. Chi dice Ostia dice Religioso; chi dice Ostia perfetta dice Religioso perfetto. Il Sacerdote è il perfetto Religioso di Dio; la Religione che è il complesso ammirabile degli omaggi dovuti a Dio è in fondo, la sostanza, la grazia interiore, il carattere esterno di tutta la vita come di tutto l'essere del Sacerdote. Ma la Religione abbraccia e comprende gli atti di tutte le virtù (403); perciò il Sacerdote, vero e perfetto Religioso di Dio, è sempre Ostia nella pratica di tutte le virtù, perché ne osserva e ne esercita gli atti in ispirito di Ostia.
Secondo il sentimento dei Padri, la pratica medesima delle virtù soprannaturali è un Sacrificio perpetuo; sia a causa della Religione che «comanda a tutte le virtù» (404), sia perché intrinsecamente nessuna virtù si forma in noi senza l’immolazione e il sacrificio di tutto quanto vi si oppone (405). li
Il Sacerdote, Ostia di Dio, Ostia eletta, preferita, consacrata in una maniera speciale, solenne e autentica, è dunque obbligato; più di qualunque fedele, alla pratica perfetta delle virtù cristiane.
La prima di tutte le virtù cristiane, è la Fede, perché questa le costituisce cristiane. In questo senso, la Fede precede la Religione, perchè «per avvicinarsi a Dio» e rendergli omaggio, «prima di tutto bisogna credere che Egli è» (Eb 11, 6) quale lo dobbiamo onorare, Padre, Figliuolo e Spirito Santo. Orbene, dalla Fede conosciamo che cos'è Dio. Ma, sotto un altro aspetto, la Fede è parte della virtù di Religione, perché tutti i suoi atti sono omaggi resi a Dio, prima alla sua veridicità che è il motivo della nostra fede, poi agli altri divini attributi, quando essi sono l'oggetto della fede. Questa virtù teologale si riferisce ancora alla Religione, perché essa è un sacrificio e una immolazione perfetta della nostra ragione (406). Nell'atto di fede, infatti, la ragione senza vedere, crede così fermamente e anche con maggior forza che se vedesse (407).
Questa Fede religiosa è il carattere distintivo del cristiano, il quale, per tal motivo, viene chiamato con quel bel nome di fedele, vale a dire, che ha la fede. San Giovanni Crisostomo professava la più grande ammirazione per questo nome glorioso, né dubitava di dire che la fede forte e accompagnata dall'amore è il culto più onorevole che Dio possa ricevere dalle sue creature, e in pari tempo la prova di una mente superiore e di un'alta intelligenza: «Generosissimi est animi... mentisque sublimis... Deum certe colit qui praecepta implet; multoque magis hic qui per fidem philosophatur. Ille quidem ipsi obedivit; hic vero convenientem de illo opinionem concepit, et magis quam per operum ostensionem ipsum glorificavit» (408).
Orbene, il Sacerdote è il fedele per eccellenza, e «il modello di tutti i fedeli nella fede»; l'uomo della «mente grande, generosa, elevata»; l'uomo dei pensieri «sublimi», che onora e glorifica Dio, formandosi grandi concetti della sua Maestà, della sua essenza e della sua opera, perché è per intero «applicato a ciò che riguarda la fede» (1 Tm 4, 11-12); egli sa, secondo un detto di sant'Agostino, che «la fede lo ha ordinato e consacrato Sacerdote» (409). Perciò la fede, «la fede del Figlio di Dio», la fede di cui «GESÙ è Autore e Consumatore», è veramente l'unica sua vita» (410).
La Fede deve essere illuminata, vorremmo dire dotta, purissima, - semplice, - ferma, - forte.
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Scaricato: maggio 7, 2011, 10:15am CEST
Sulla pratica esterna della virtù di religione
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P. SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE
SACERDOTE E OSTIA
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LIBRO TERZO
LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO
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CAPITOLO SECONDO. SULLA PRATICA ESTERNA DELLA VIRTÙ DI RELIGIONE
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Ogni uomo ha il dovere essenziale di onorar Dio con atti esterni, ma il Sacerdote più di tutti e per motivi specialissimi. Egli è Sacerdote neI suo corpo come nella sua anima, ed è parimenti Ostia, nel suo corpo come nella sua anima, perché è Sacerdote e Ostia in tutta la sua persona. A lui soprattutto sono dirette queste parole di san Paolo: «Ve ne supplico, per la misericordia di Dio; fate del vostro corpo un'Ostia viva, santa e a Dio gradita» (Rm 12, 1) e ancora: «Glorificate e portate Dio nel vostro corpo» (1 Cor 6, 20). Se la Religione interiore del Sacerdote deve essere così perfetta, come non lo sarebbe pure la sua Religione esterna? Si spiritu vivimus, spiritu et ambulemus (Gal 5, 25). Ma il santo Concilio di Trento, perché il Sacerdote ricordi la sua condizione nella Chiesa, ha detto, per lui, queste parole che bisogna meditare con frequenza:
Nihil est quod alios magis ad pietatem et Dei cultum assidue instruat, quam eorum vita etexemplum, qui se, divino ministerio dedicarunt... In eos tanquam in speculum reliqui oculos conjiciunt, ex iisque sumunt quod imitentur. Quapropter sic decet omnino Clericos... vita moresque suos omnes componere... ut nihil, nisi grave, moderatum, ac religione plenum prae se ferant; levia etiam delicta, quae in ipsis maxima essent, effugiant, ut eorum actiones cunctis afferant venerationem (394).
Parole gravi e solenni! «Non v'ha nulla che, con maggior efficacia del nostro esempio, istruisca gli altri nella pietà e nel culto dovuto a Dio!». Quale disgrazia sarebbe la nostra se, con la nostra negligenza, diventassimo per il popolo una pietra d'inciampo! Quale benedizione preziosa invece ci assicuriamo per il giorno del giudizio, se, con una vita sempre degna del nostro carattere, siamo uno specchio purissimo di perfetta Religione, «nel quale i fedeli trovano quanto debbono imitare per rendere a Dio il dovuto onore!».