Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
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CAPO XXIII. Di una consolazione grande per quelli che sono molestati da distrazioni nell'orazione.
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1. Le distrazioni non pregiudicano all'orazione.
2. Per esse non si ha da lasciare l'orazione
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1. Per consolazione di quelli che sono molestati da questa tentazione delle distrazioni nell'orazione, nota S. Basilio (S. BASIL. Constit. mon. c. 1. n. 4) che nell'orazione allora solamente si offende Dio con questi pensieri e distrazioni, quando uno per volontà sua, avvertentemente e conoscendo quello che fa, sta distratto e con poca reverenza e rispetto. Colui che nell'orazione si mette a posta a pensar allo studio, o all'ufficio, o al negozio, merita molto bene che Dio lo lasci star solo e lo castighi. Qui calza bene quello che dice S. Giovanni Crisostomo (S. Io. CHRYS. Hom. de Cham, n. 10; Loc. cit, v. 63, col. 581): Come vuoi che Dio ti oda, se tu non odi te stesso? Ma quando uno fa moralmente quello che è in sé e per fragilità si distrae, né può stare con tanta attenzione quanta vorrebbe; ma il cuore lo lascia e se ne scappa altrove, secondo quello che dice il Profeta: «Il mio cuore mi è mancato» (Ps. 39, 12); allora il Signore non se n'offende; anzi se ne muove a compassione e misericordia; perché conosce benissimo la nostra infermità e debolezza. «Come un padre ha compassione dei suoi figliuoli, così il Signore ha avuto compassione di quelli che lo temono; perché egli conosce di che siamo formati» (Ps. 102, 13). Come un padre che ha un figliuolo frenetico lo compatisce e sente gran dolore quando vede che, cominciando egli a parlare a tono, tutto in un tratto salta fuori in spropositi; così quel pietosissimo Padre celeste si muove a pietà e compassione di noi altri quando vede che è tanta la debolezza e l'infermità della nostra natura, che nel meglio del nostro parlare seco sensatamente saltiamo in mille pensieri spropositati.
E così, quantunque uno non senta devozione né quiete nell'orazione, ma molto grande aridità e combattimento di pensieri e d'immaginazioni e stia a questo modo tutto il tempo dell'orazione, non lascia per questo quella orazione di essere molto grata a Dio Nostro Signore e di gran valore e merito nel suo divino cospetto. Anzi suole molte volte, essere più grata e meritoria, che se gli fosse passata con molta divozione e consolazione, per avere patito e sopportato in essa maggiore travaglio e difficoltà per amore di Dio. Né meno lascia egli di conseguire con quella orazione grazia e favori per servir meglio il Signore e per crescer maggiormente in virtù e perfezione, ancorché egli non se ne accorga: come avviene all'infermo, quando mangia un cibo di sostanza, che sebbene non vi sente gusto né sapore, ma fastidio e tormento, ne riceve nondimeno forza e si conserva e si alimenta con esso.