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Scaricato: maggio 28, 2011, 10:56am CEST
Prima specie di unioni non buone: amicizie particolari
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO IV. DELL'UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO XVIII. Prima specie di unioni non buone: amicizie particolari.
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1. Amicizie particolari dannose alla comunità.
2. Sono da aborrirsi.
3. Esempio.
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1. Abbiamo finora trattato de1l'unione ed amor buono e spirituale; ora andremo trattando di tre specie che si trovano d'amore non buono né spirituale, ma cattivo e pregiudiziale.
Il beato S. Basilio nelle Costituzioni monastiche (S. BAS. const. monast. c. 29) dice che i religiosi devono avere grande unione e carità fra di loro; ma in maniera tale, che non vi siano amicizie né affezioni particolari, per queste facendo lega insieme due, o tre: perché questa non sarebbe carità, ma divisione e sedizione, ancor che simili amicizie paiano buone e sante. E nel primo sermone ascetico discendendo circa questa materia più al particolare, dice: «Se si troverà che alcuno porti maggiore affezione ad un religioso che ad un altro, benché sia per esser suo fratello carnale, o per qualsivoglia altro rispetto; sia questo tale castigato, come chi fa ingiuria alla carità comune». E del come si faccia questa ingiuria alla comunità ne rende ivi la ragione, che più espressamente ancora poi replica nel sermone seguente (ID. l. cit. col. 886), dicendo: perché colui che ama uno più che un altro, dà chiari indizi di non amar gli altri perfettamente; perché non li ama tanto quanto quell'altro; e così con questo offende gli altri e fa ingiuria a tutta la comunità. E se l'offendere uno solo è cosa tanto grave, che il Signore dice che è toccar lui nella pupilla degli occhi suoi (Zach. 2, 8), che cosa sarà l'offendere tutta una comunità, e comunità tale? Onde ingiunge colà S. Basilio molto caldamente ai religiosi, che in nessuna maniera amino più particolarmente uno che un altro, né pratichino singolarmente più con questo che con quello; acciocché non facciano torto, né diano a persona occasione d'offendersi: «non dando noi ad alcuno occasione d'inciampo», come dice l'Apostolo (II Cor. 6, 3) ma, abbiamo un amore e una carità comune e generale verso di tutti, imitando in questo la bontà e carità di Dio, il quale distribuisce il suo sole e la sua pioggia sopra di tutti ugualmente. «Il quale fa che si levi il suo sole sopra i buoni e sopra i cattivi, e manda la pioggia per i giusti e per gl'iniqui» (Matth. 5, 45).
E dice il Santo che queste amicizie particolari sono nella religione un gran semenzaio d'invidie e di Sospetti, e ancora di odi e di inimicizie, ed inoltre sono cagioni che vi siano divisioni, circoli e partiti, che sono la peste della religione. Perché ivi uno palesa le sue tentazioni; un altro i suoi giudizi; questi le sue querele; quegli altre cose segrete che dovrebbero esser taciute; ivi sono mormorazioni e qualificazioni di questo e di quello, e alle volte ancora del Superiore. Ivi si attaccano i difetti dell'uno all'altro, di maniera che ciascuno in pochi giorni fa vedere in se stesso quelli che gli ha attaccati il compagno. E finalmente sono cagione queste amicizie della trasgressione. di molte regole, e del far uno molte cose che non deve, per corrispondere al suo amico, come lo provano quelli che hanno simili amicizie.
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Esempi di giudizi temerari
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO IV. DELL'UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO XVII. Si conferma quel che si è detto con alcuni esempi di giudizi temerari.
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1. Dell'abate Isacco.
2. Di Totila, re dei Goti.
3. D'un monaco.
4. Di Fra Leone.
5. Di S. Francesco d'Assisi.
6. D'un altro monaco.
7. Dell'abate Machete.
8. D'un altro monaco.
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1. Nelle Vite dei Padri si racconta dell'abate Isacco, che venendo egli un giorno dalla solitudine, nella quale viveva, ad una congregazione di monaci, giudicò male d'uno, tenendolo per degno di pena, perché vide in esso alcuni indizi di poca virtù. Ritornandosene poi verso la sua cella, trovò su la porta di essa un angelo in piedi, il quale gl'impediva l'entrata. Di che dimandandogli il santo abate la cagione, rispose l'angelo, che il Signore l'aveva mandato per dirgli ove voleva o comandava che gettasse quel monaco, ch'egli già aveva giudicato e condannato. Allora l'abate, conoscendo la sua colpa, dimandò perdono al Signore; e l'angelo gli disse, che il Signore gli perdonava per allora; ma che per l'avvenire si guardasse bene di farsi giudice e di dar sentenza contro alcuno, prima che il Signore, il quale era il giudice universale, lo giudicasse (De vitis Patr. l. 3. n. 137; l. 5, lib. 9, n. 3).
2. Narra S. Gregorio di Cassio, vescovo di Narni, gran servo di Dio, che era naturalmente molto rubicondo e acceso di faccia; e che vedendolo Totila, re dei Goti, giudicò che quella cosa procedesse dal bere assai. Ma il Signore ebbe cura di pigliar subito la difesa dell'onore del suo servo, permettendo che il demonio entrasse repentinamente in un ufficiale del re, che portava il suo stocco, e che lo tormentasse lilla presenza del re e di tutto l'esercito. Condussero perciò l'indemoniato al santo uomo, il quale facendo sopra di lui orazione e il segno della croce, lo liberò subito dal demonio. Per il quale successo il re mutò il suo giudizio e da lì innanzi fece di lui grande stima (S. GREG. Dial. c. 6).
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Le radici da cui procedono i giudizi temerari
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO IV. DELL'UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO XVI. Delle cagioni e radici dalle quali procedono i giudizi temerari e dei loro rimedi
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1. La superbia.
2. La propria malizia.
3. Che fare se si vedesse cosa apertamente cattiva?
4. L'interna avversione.
5. Dio non si sdegna, e ci sdegneremo noi?
6. perché Dio permette dei difetti anche nei Santi. Le imperfezioni dei Santi.
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1. La prima radice, dalla quale sogliono nascere i giudizi temerari, è quella stessa che è ancora radice di tutti gli altri mali e peccati, cioè la superbia; ma in particolar modo è radice di questo. S. Bonaventura (S. BONAV. Stim. amor. p. 3, c. 4) nota qui una cosa degna di considerazione, e dice che le persone che si tengono per spirituali, sogliono esser più tentate in questa materia di giudicare e di qualificar altri; onde pare che vogliano metter in esecuzione quello che l'Apostolo S. Paolo disse in altro senso: «L'uomo spirituale giudica di tutte le cose» (I Cor 2. 15). Pare a costoro di veder in sé doni speciali di Dio; e mentre dovrébbero essere con ciò più umili, a volte se ne pavoneggiano e si pensano di essere qualche cosa; e in confronto di loro fanno poco conto degli altri, quando li vedano andare meno ritirati, o più affaccendati e distratti in cose esteriori. E quindi viene in essi un certo spirito riformativo dell'altrui modo di vivere, dimenticandosi di se medesimi.
Dicono i Santi che la semplicità è figliuola dell'umiltà perché il vero umile tiene gli occhi aperti solo per vedere i difetti e mancamenti propri, e li tiene serrati per non veder quelli del suo prossimo; e trova sempre tanto che guardar in sé e tanta materia da piangere, che non se gli alzano gli occhi né il pensiero ai difetti e mancamenti altrui: onde se uno è vero umile, è molto lontano da questi giudizi. E così i Santi danno per molto importante rimedio, tanto contro questo vizio, quanto contro molte altre cose, che teniamo gli occhi aperti solamente per vedere i difetti nostri, e serrati per non vedere i difetti dei nostri prossimi, acciocché non siamo come gl'ipocriti, che nel Vangelo leggiamo da Cristo spesse volte ripresi perché facevano tutto il rovescio. «È perché osservi tu una pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, e non fai riflessione alla trave che hai nell'occhio tuo?» (Matth. 7, 3).
Il tener sempre gli occhi volti ai nostri propri difetti reca seco grandi beni e utilità: reca umiltà e confusione; reca timor di Dio e raccoglimento di cuore; reca gran pace e quiete: ma l'andar osservando i difetti altrui reca seco grandi mali e inconvenienti, come sono superbia, giudizi temerari, sdegno contro il fratello e vilipendio di esso, inquietudini di coscienza, zeli indiscreti e altre cose che turbano il cuore. E se talvolta vedrai qualche difetto nel tuo prossimo, ciò sia, dicono i Santi, per cavarne frutto. S. Bonaventura (S. BONAV. in Reg. Novit. c. 13) insegna un buon modo di far questo, dicendo: Quando vedrai nel tuo fratello qualche cosa che ti dispiaccia, prima di giudicarlo entra cogli occhi della mente dentro te stesso e guarda se è in te qualche cosa degna di reprensione; e se vi è, ritorci la sentenza contro te stesso e condannati in quella cosa, nella quale volevi condannar l'altro, e di' col Profeta: «Io sono quegli che ho peccato, io quegli che ho operato iniquamente» (II Reg. 24, 17). Io sono lo scellerato e perverso, che non merito di baciare la terra che l'altro calca, e ho ardire di giudicarlo? Che ha che fare quel che io vedo nel mio fratello con quel ch'io so di me stesso? S. Bernardo (S. BERN. Varia et brev. Docum.) insegna un altro modo molto buono che possiamo usare in questo. «Se vedrai, egli dice, in un altro qualche cosa che ti dispiaccia, rivolgi subito gli occhi a te medesimo, e guarda se quella cosa è in te; e trovandovela, troncala subito. E quando vedi nel tuo fratello qualche cosa che ti piace, rivolgi similmente gli occhi a te stesso, e guarda se quella è in te; ed essendovi, procura di conservarla; non essendovi, procura d'acquistarla». In questa maniera da ogni cosa caveremo frutto e utilità.
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Scaricato: maggio 7, 2011, 8:50am CEST
Dei giudizi temerari
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO IV. DELL'UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO XV. Dei giudizi temerari; e si dichiara in che consista la malizia e gravezza di essi
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1. I giudizi temerari sono contrari alla carità.
2. perché si infama il prossimo nel nostro cuore.
3. Altro averli, altro ammetterli.
4. E un usurpare la giurisdizione di Dio.
5. Specie se si giudica l'interno altrui.
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1. «E tu, dice l'Apostolo S. Paolo, perché giudichi il tuo fratello, o perché disprezzi il tuo fratello?» (Rom. 14, 10). Fra le altre tentazioni colle quali il demonio, nemico del nostro bene, ci suole far guerra, una, e molto principale, è il metterci nella mente giudizi o sospetti contro i nostri fratelli, acciocché, levando da noi la buona opinione che di essi abbiamo, ne levi insieme l'amore e la carità, o almeno ci faccia raffreddare in essa. Per la medesima ragione abbiamo noi altri da procurare di resistere con molta diligenza a questa tentazione, tenendola per molto grave; poiché tocca un tasto tanto principale e delicato, quanto è la carità. Così ce ne avverte S. Agostino (S. Aug. De amicit. l. 2, c. 24): Se ti vuoi conservare in amore e carità coi tuoi fratelli, egli dice, prima d'ogni altra cosa bisogna che ti guardi molto dai sinistri giudizi e sospetti; perché questi sono il veleno della carità. E S. Bonaventura (S. BONAV. Stim. amor. p. 3, c. 8) dice: - Una peste sono questi giudizi, occulta e segreta, ma gravissima, la quale scaccia lontano da sé Dio e distrugge la carità dei fratelli.
2. La malizia e gravezza di questo vizio consiste nell'infamare una persona il suo prossimo entro se stessa, disprezzandolo e stimandolo meno, e dandogli un basso e disonorevole luogo entro il suo cuore, per indizi leggieri e a ciò fare non bastevoli. Nel che fa torto ed ingiuria al suo fratello; e tanto sarà maggiore la colpa in questo, quanto la cosa della quale uno giudica il suo fratello sarà più grave e gl'indizi meno sufficienti.
Si potrà ben comprendere la gravezza di questa colpa da un'altra simile. Se tu lacerassi la fama del tuo fratello presso d'un altro, facendo che quel tale perdesse il buon concetto e la buona opinione che prima aveva di lui, e così presso d'un tale venissi ad infamarlo, ben si vede che sarebbe questo un grave peccato. Or questo medesimo torto ed ingiuria gli fai col torgli presso di te, senza cagione e senza bastanti indizi, quel buon concetto e quella buona opinione che avevi tu di lui; perché tanto stima il tuo fratello l'essere in buona riputazione presso di te, quanto l'essere nella medesima presso qualunque altro. E in causa propria potrà ben ciascuno conoscere qual grave torto ed ingiuria fa egli in questo al suo prossimo. Non t'aggraveresti tu, che uno ti tenesse per tale, senza che n'avessi dato motivo bastante? Or così viene aggravato da te quell'altro col giudicarlo tu per tale. Misuralo da te stesso; ché questa è la misura della carità col nostro prossimo e della giustizia ancora.