Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO IV. DELL'UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO XIII. Come abbiamo da governarci quando v'è stato qualche incontro o disgusto col nostro fratello
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1. Chi è stato offeso come deve diportarsi?
2. Riconciliarsi subito dopo mancato.
3. Esempi.
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1. Ma perché finalmente siamo uomini, e non stanno sempre tutti tanto ben fermi su le staffe, che non scappi loro qualche volta il piede, e non diano in qualche trascorso, col lasciarsi uscire di bocca qualche parola risentita o dispiacevole, o dando qualche occasione di offesa ai loro fratelli; sarà bene che vediamo come abbiamo da governarci in tali incontri.
Quando avvenga che ci si tratti meno convenientemente, non abbiamo da rispondere del medesimo tono, ma conviene che sia in noi virtù ed umiltà per ben tollerarlo e per saperlo dissimulare. Non ha da esser tanto tenue il fuoco della nostra carità, che poche gocciole d'acqua lo possano spegnere. E perciò dice S. Basilio (S. BASIL. Reg. brev. tract. interr. 242) che S. Paolo la chiamò carità di fratellanza, per dinotare che l'amore non ha da esser leggiero, né d'una qualunque tempra, ma insigne, infervorato e forte. «Si conservi tra di voi la fraterna carità, amandovi scambievolmente con carità fraterna» (Hebr. 13, 1; Rom. 12, 10).
Devesi grandemente desiderare che niuno dia occasione al suo fratello, né con fatti, né con parole, del minimo disgusto; ma è anche da desiderare che non sia uno tanto di vetro, né tanto fanciullo e tenero nella virtù che per ogni minima cosa subito si scomponga, parli alto e perda la pace. Meglio sarebbe che niuno riprendesse Un altro, né s'intromettesse nell'altrui ufficio; ma quando avvenisse che alcuno in questa parte uscisse un poco di riga, non è ragionevole che subito l'altro glielo rinfacci, domandandogli se ha licenza di riprendere; ovvero dicendogli che vi è regola che nessuno s'intrometta nell'ufficio altrui: ché questo non serve se non per far diventare qualche cosa quello che sarebbe niente tacendo e dissimulando. Quando alcuna cosa che è dura batte in un'altra più dura, fa suono e rumore; ma se batte in una molle e morbida, non si sente. Vediamo che una palla d'artiglieria fracassa una torre fabbricata di molto buona materia e di pietre molto forti, e fa grande strepito; ma dando in sacchi di lana, si mortifica con quella morbidezza e perde la sua forza. Così dice qui Salomone: «Una dolce risposta rompe l'ira: una parola cruda accende il furore» (Prov 15, 1). La risposta piacevole e soave rompe e impedisce l'ira; e per contrario la risposta aspra e dispiacevole la eccita ed accende maggiormente; perché questo è un metter legna sul fuoco, contro quello che dice il Savio: «Non metter legna sul fuoco di lui» (Eccli. 8, 4). Non dovete attizzare né metter fuoco colle vostre risposte; ma deve essere in voi tanta piacevolezza e virtù, che quantunque vi sia alle volte detta qualche parola dura ed aspra, questa non faccia rumore, né si senta, né si appalesi, ma si sprofondi in voi e si ammorzi.
S. Doroteo c'insegna una maniera molto umile di rispondere in così fatte occasioni. Dice che quando un altro ci parlerà risentito e ci riprenderà, ed anche quando ci dirà quello che non abbiamo fatto, rispondiamo con tutto ciò umilmente, domandandogli perdono, come se gli avessimo data occasione di offendersi e di risentirsi, ancorché veramente non gliela abbiamo data; e diciamo: perdonami, fratello, e prega Dio per me. E lo cava da uno di quei Padri antichi, il quale consigliava così (S. DOROTH. Doctr. 18). Se in questa maniera staremo gli uni dall'una parte muniti d'una gran cura e vigilanza di non offendere, né dar occasione alcuna di disgusto ai nostri fratelli; e gli altri dall'altra parte molto preparati a sopportare bene qualsivoglia occasione che si presenti, vivremo con gran pace ed unione.