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Scaricato: aprile 30, 2011, 10:44am CEST
Tre ricordi per quando un altro ci ha data qualche disgusto
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO IV. DELL'UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO XIV. Di tre ricordi e avvertimenti, dei quali abbiamo da valerci quando un altro ci ha data qualche occasione di disgusto
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1. Reprimere ogni sentimento di vendetta
2. Non nutrire interna avversione.
3. Non dimostrar la esternamente
4. Essere più cortesi con chi ci ha offeso.
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1. Da quel che si è detto possiamo raccogliere tre ricordi ed avvertimenti, dei quali ci abbiamo da valere quando il nostro fratello ci abbia offesi, ovvero ci abbia data qualche occasione di disgusto. Il primo è, che abbiamo da tenerci molto lontani dal desiderio di vendicarci. Tutti siamo fratelli e membri di un medesimo corpo, e niun membro percosso da un altro si vendicò mai di quello; né vi è stato mai fanciullo alcuno tanto pazzo, che per essersi morsicata la lingua, si sia cavati con collera i denti, dai quali egli ricevé il male. Sono tutti i membri come d'una stessa famiglia: dappoichè si è fatto un male, non se ne facciano due. Così abbiamo da dire noi altri quando uno ci offende: questi è mio corpo: perdoniamogli; non gli facciamo, né gli desideriamo male: giacché vi è stato un danno, non ve ne siano due in questo corpo della religione. «Non rendendo male per male» (Rom. 12, 17).
Non parlo di vendetta in cosa grave; perché qui nella religione molto alieni sono ed hanno da esser tutti da tal cosa; ma parlo di cose leggiere, quali pare a qualcuno di potere desiderare ti fare senza peccato grave. Dice uno: io non ho desiderato che venisse male al mio fratello; ma certamente avrei voluto dirgli due parole che le avesse sentite e si fosse accorto che fece male in quel particolare. Un altro sente gusto della riprensione e della penitenza che viene data a quello con cui ha qualche amarezza d'animo. Un altro ha non so che di gusto o di compiacenza che ad uno non sia andata bene la tal cosa, e che ne sia rimasto mortificato e umiliato. Questa è vendetta e mala cosa: costui non ha perdonato di tutto cuore e dirà con qualche scrupolo quella parte dell'orazione del Pater Noster: rimetti a noi, Signore, i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Certo questo sarebbe qui qualche cosa di più fra noi altri, che non sarebbe nel mondo fra i mondani. «Non dire: farò a lui quello che ha fatto a me» (Prov 24, 29), dice il Savio: non desiderare al tuo fratello l'equivalente a quello che egli ha fatto a te; perché questo è desiderio di vendicarti.
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Scaricato: aprile 23, 2011, 9:51am CEST
Come comportarsi quando c'č stato qualche disgusto con un fratello
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO IV. DELL'UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO XIII. Come abbiamo da governarci quando v'è stato qualche incontro o disgusto col nostro fratello
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1. Chi è stato offeso come deve diportarsi?
2. Riconciliarsi subito dopo mancato.
3. Esempi.
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1. Ma perché finalmente siamo uomini, e non stanno sempre tutti tanto ben fermi su le staffe, che non scappi loro qualche volta il piede, e non diano in qualche trascorso, col lasciarsi uscire di bocca qualche parola risentita o dispiacevole, o dando qualche occasione di offesa ai loro fratelli; sarà bene che vediamo come abbiamo da governarci in tali incontri.
Quando avvenga che ci si tratti meno convenientemente, non abbiamo da rispondere del medesimo tono, ma conviene che sia in noi virtù ed umiltà per ben tollerarlo e per saperlo dissimulare. Non ha da esser tanto tenue il fuoco della nostra carità, che poche gocciole d'acqua lo possano spegnere. E perciò dice S. Basilio (S. BASIL. Reg. brev. tract. interr. 242) che S. Paolo la chiamò carità di fratellanza, per dinotare che l'amore non ha da esser leggiero, né d'una qualunque tempra, ma insigne, infervorato e forte. «Si conservi tra di voi la fraterna carità, amandovi scambievolmente con carità fraterna» (Hebr. 13, 1; Rom. 12, 10).
Devesi grandemente desiderare che niuno dia occasione al suo fratello, né con fatti, né con parole, del minimo disgusto; ma è anche da desiderare che non sia uno tanto di vetro, né tanto fanciullo e tenero nella virtù che per ogni minima cosa subito si scomponga, parli alto e perda la pace. Meglio sarebbe che niuno riprendesse Un altro, né s'intromettesse nell'altrui ufficio; ma quando avvenisse che alcuno in questa parte uscisse un poco di riga, non è ragionevole che subito l'altro glielo rinfacci, domandandogli se ha licenza di riprendere; ovvero dicendogli che vi è regola che nessuno s'intrometta nell'ufficio altrui: ché questo non serve se non per far diventare qualche cosa quello che sarebbe niente tacendo e dissimulando. Quando alcuna cosa che è dura batte in un'altra più dura, fa suono e rumore; ma se batte in una molle e morbida, non si sente. Vediamo che una palla d'artiglieria fracassa una torre fabbricata di molto buona materia e di pietre molto forti, e fa grande strepito; ma dando in sacchi di lana, si mortifica con quella morbidezza e perde la sua forza. Così dice qui Salomone: «Una dolce risposta rompe l'ira: una parola cruda accende il furore» (Prov 15, 1). La risposta piacevole e soave rompe e impedisce l'ira; e per contrario la risposta aspra e dispiacevole la eccita ed accende maggiormente; perché questo è un metter legna sul fuoco, contro quello che dice il Savio: «Non metter legna sul fuoco di lui» (Eccli. 8, 4). Non dovete attizzare né metter fuoco colle vostre risposte; ma deve essere in voi tanta piacevolezza e virtù, che quantunque vi sia alle volte detta qualche parola dura ed aspra, questa non faccia rumore, né si senta, né si appalesi, ma si sprofondi in voi e si ammorzi.
S. Doroteo c'insegna una maniera molto umile di rispondere in così fatte occasioni. Dice che quando un altro ci parlerà risentito e ci riprenderà, ed anche quando ci dirà quello che non abbiamo fatto, rispondiamo con tutto ciò umilmente, domandandogli perdono, come se gli avessimo data occasione di offendersi e di risentirsi, ancorché veramente non gliela abbiamo data; e diciamo: perdonami, fratello, e prega Dio per me. E lo cava da uno di quei Padri antichi, il quale consigliava così (S. DOROTH. Doctr. 18). Se in questa maniera staremo gli uni dall'una parte muniti d'una gran cura e vigilanza di non offendere, né dar occasione alcuna di disgusto ai nostri fratelli; e gli altri dall'altra parte molto preparati a sopportare bene qualsivoglia occasione che si presenti, vivremo con gran pace ed unione.
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Scaricato: aprile 16, 2011, 2:04pm CEST
Delle buone parole con cui dobbiamo esercitare gli uffici di caritā
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO IV. DELL'UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO XII. Del buon modo e delle buone parole con cui da noi si hanno da esercitare gli uffici di carità verso dei nostri fratelli.
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1. Accompagnare gli uffici di carità con buone parole.
2. Che fare se in questo si manchi?
3. Avvertimenti per chi fa e per chi riceve qualche caritatevole ufficio
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1. S. Basilio, in un sermone che fa esortando alla vita monastica per quelli che si occupano in uffici esteriori in servizio degli altri, dà un avvertimento e un documento molto buono circa il modo che hanno da usare nell'esercitarli. Quando vi toccherà, dice, di far questi uffici, non vi avete da contentare della sola fatica corporale ma avete da procurare di far con buon modo quello che fate, e di usare piacevolezza e soavità nelle vostre parole, acciocché gli altri restino persuasi che lo fate con carità, e così sia loro grato il vostro ministero (S. BASIL. De renunt. saec. etcChe è l'istesso che dice l'Ecclesiastico: «Figlio, nel beneficare non far rimbrotti, né aggiungere al dono l'amarezza delle parole. La rugiada non spegne forse l'afa? Così la parola influisce sul dono. Non vale più una buona parola che il dono?» (Eccli. 18, 15-17).).
E questo è il sale che S. Paolo dice che ha da condire e render saporito e gustoso tutto quello che fate. Valgono più e più si stimano il modo e la grazia con cui servite, e le buone parole colle quali rispondete, che ciò che fate. E per contrario affaticatevi pure e stancatevi quanto volete, che se non lo fate con buon garbo e non usate buone parole e buone risposte, sarà stimato e riputato per niente, e ogni cosa parrà buttata. «Il vostro discorso, dice l'Apostolo, sia sempre con grazia, asperso di sale, in guisa che distinguiate come abbiate a rispondere a ciascuno» (Col. 4, 6). Il vostro parlare sia sempre pieno di grazia e di soavità, come sarebbe il dire: mi piace: molto volentieri. Non perché tu sia occupato, o abbia assai da fare, o non possa fare quel che ti è chiesto, hai da rispondere con istorcimento e con mala grazia al tuo fratello; anzi allora hai da procurare che la risposta sia tanto buona, che l'altro se ne vada contento e soddisfatto, come tu avessi fatto quanto ti chiedeva, vedendo il tuo buon cuore. E il buon termine sarà dicendo: Veramente avrei molto caro di farlo, se potessi; ma adesso non posso: basterà che io lo faccia di poi? o cosa simile. E se la difficoltà nasce dal non averne licenza, dire: io andrò a domandarne licenza. Ove non potrà arrivare l'effetto, suppliscano le buone parole, di maniera che si conosca la tua buona volontà. E questo è ancora quello che dice il Savio: «E una lingua graziosa nell'uomo virtuoso giova assai» (Eccli. 6, 5). Le parole dette con grazia e che mostrano viscere di amore, sempre hanno da abbondare nell'uomo dabbene e virtuoso; perché con questo si conserva grandemente la carità e l'unione di uno coll'altro.
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Scaricato: aprile 9, 2011, 11:47am CEST
Guardarci dal contendere ostinatamente, dal contraddire
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO IV. DELL'UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO XI. Che ci abbiamo da guardare dal contendere ostinatamente, dal contraddire, dal riprendere e da altri simili difetti
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1. Il contendere è contrario alla carità.
2. Ha colpa maggiore chi comincia a contraddire.
3. Chi è contraddetto fa bene a cedere.
4. Non riprendere altri quando non ci spetta.
5. Esempi di Socrate e di Platone.
6. Altri esempi sacri.
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1. Abbiamo ancora da guardarci dal contendere ostinatamente con un altro, o contraddirgli, perché questa è cosa molto contraria all'unione e carità fraterna. L'Apostolo S. Paolo ce ne avverte, scrivendo al suo discepolo Timoteo: «Fuggi le dispute di vane parole, che non servono a nulla, fuorché a rovina degli uditori». E poco oltre soggiunge: «Non conviene che il servo di Dio contenda, ma che sia benigno con tutti, pronto ad insegnare, paziente» (Tim. 2, 14, 24).
E così i Santi ci raccomandano grandemente questa cosa, e da essi la prese il nostro S. Padre e ce la pose nelle regole. S. Doroteo dice, che più tosto vorrebbe che non si facesse la cosa, anzi che vi avessero da nascere contese tra i fratelli; e soggiunge: «ve lo dico per la millesima volta» (S. DOROTH. Doctr. 4, n. 11). S. Bonaventura dice che è cosa molto indegna dei servi di Dio il contrastare e contendere, come fanno le donnicciuole e le rivendugliole (S. BONAV. in spec. disc. p. 1, c. 20, n. 6). S. Giovanni Climaco aggiunge: Quegli che è ostinato e contenzioso in sostenere la sua opinione, benché sia vera, tenga pure per certo che il demonio lo muove a farlo (S. IO. CLIM. Scala Parad. gr. 4). E la ragione è, perché quello che a ciò suole muovere è il soverchio appetito che gli uomini hanno d'onore umano, e perciò procurano di riuscire colla loro, per parer savi ed intelligenti e restar vincitori; ovvero per non parere da meno degli altri; e così lo spirito maligno della superbia è quello che a ciò li muove.
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Scaricato: aprile 2, 2011, 6:55am CEST
Guardarci dalle parole mordenti
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Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
TRATTATO IV. DELL'UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO X. Che ci dobbiamo guardare assai dalle parole mordenti che possono offendere o disgustare il nostro fratello
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1. Parole offensive e pungenti.
2. Sono gran male, massime in religione
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1. Per la prima cosa abbiamo da guardarci assai dal dire parole mordenti. Vi sono alcune parolette le quali sogliono mordere ed offendere un altro; perché, sotto apparenza di tutt'altro, lo tacciano o in riguardo alla condizione, o in riguardo al giudizio, o in riguardo all'ingegno non tanto acuto, o in riguardo a qualche altro difetto naturale, o morale. Queste sono certe parole molto pregiudiziali e molto contrarie alla carità. E alcune volte si sogliono dire come per termine grazioso e per facezia; e allora sono peggiori e più pregiudiziali: e tanto più, quanto con maggior grazia si dicono; perché restano più impresse nella mente di quelli che le odono, i quali si ricordano poi meglio di esse. E il peggio è, che alle volte suole restarsi con gran gusto colui che le dice, parendogli di aver detto qualche bella facezia, e di aver mostrato buon giudizio e bell'ingegno. Ma s'inganna assai; perché in questo mostra più tosto cattivo giudizio e peggior animo, poiché impiega l'intelletto, che Dio gli ha dato per servir lui, in dire motti acuti che offendono e scandalizzano i suoi fratelli e turbano la pace e la carità.