L’effetto reale della super anagrafe tributaria sarà quello di renderci,
oltre che sudditi,
sudditi nudi davanti a sua Maestà l’erario
Fino a ieri, al fisco bastava digitare il codice fiscale di ciascuno di noi per avere accesso a una mole di dati lavorativi, personali e familiari. Dal primo aprile, in virtù di una norma del 2011 divenuta ora efficace, a questi dati si aggiungono tutte le movimentazioni e ogni informazioni di qualsiasi natura finanziaria, compresi i movimenti di conto corrente e gli accessi alle cassette di sicurezza.
In tal modo, secondo il linguaggio del legislatore, saranno possibili verifiche sui contribuenti a rischio di evasione. Poiché però il nostro sistema tributario è congegnato in maniera tale che, tra presunzioni e inversioni dell’onere della prova e strumenti sintetici di accertamento, siamo tutti essenzialmente potenziali evasori, l’effetto reale della super anagrafe tributaria sarà quello di renderci, oltre che sudditi, sudditi nudi davanti a sua Maestà l’erario.
E’ un assunto auto-evidente che l’evasione sia una pratica illecita. E’ molto meno evidente, invece, che l’evasione sia la causa dell’eccessiva pressione fiscale.
Quanto dobbiamo versare alle casse dello Stato non è un debito collettivo. Non c’è nessuna correlazione, se non nella ingannevole retorica politica, tra la somma di quanto lo Stato pretende e quella che riesce a riscuotere, semplicemente perché le tasse non sono un debito indiviso della collettività, ma una scelta libera dell’autorità politica.
Ne sia una prima, banale dimostrazione che, nonostante ogni anno si esulti per i migliori risultati conseguiti dalla lotta all’evasione, le tasse non diminuiscono e il recupero dell’evasione, a dispetto dell’apposito fondo costituito nel 2011, non riesce ad essere usato per una riduzione della pressione fiscale. Né potrebbe, a ben vedere, esserlo: come si possono abbassare le tasse strutturalmente dal momento che l’evasione e quanto di essa viene recuperato non possono essere variabili fisse?
Ciò che sembra sfuggire nella cantilena del «paghiamo tutti per pagare meno» è che l’amministrazione pubblica è al tempo stesso controllore e beneficiario del pagamento delle imposte. Essa non ha alcun interesse se non a massimizzare la raccolta delle risorse le quali, prima di costituire la fonte di finanziamento dei servizi pubblici, rappresentano la condizione di esistenza della burocrazia.
Ciò che, invece, sembra sfuggire nella cantilena del «chi non ha da nascondere non tema» è che non sempre il fisco ha ragione di intromettersi nelle nostre vite. Secondo l’ultimo rapporto annuale disponibile sulla giustizia tributaria (anno 2014), 3 volte su 10 in primo grado e 4 in secondo il contribuente si vede riconoscere pienamente le proprie ragioni. Una parziale vittoria si ha invece circa una volta su dieci. Con la super anagrafe tributaria, vuol dire che quasi nella metà dei casi il fisco non ha motivo di sapere che il mese scorso abbiamo regalato dei soldi a nostro nipote o abbiamo depositato in cassetta di sicurezza un gioiello di famiglia.