Romana de Carli Szabados, Finis Austriae. La santità dell’ultimo imperatore, Edizioni Fede & Cultura , 2011, pp. 196, € 18
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Beato Carlo d’Asburgo, agonia di un re
Davvero permase in Carlo sempre l’anelito di pace di un fervido credente in Dio.
Lo storico Fritz Weber magistralmente tratteggia la personalità dell’erede, di quella gigantesca responsabilità nello scenario viennese: "A Vienna regnava un giovane imperatore. Nessuno desiderava la pace più ardentemente di lui. Aveva ereditato un vecchio edificio e dalle crepe dei muri cominciava a filtrare l’acqua. Il nuovo sovrano portava sulle spalle il peso di un’immensa responsabilità, appunto".
Egli credeva fermamente nella possibilità di una conciliazione.
Anziché colpire i nemici della dinastia con tutto il rigore di chi afferma il proprio diritto all’autoconservazione, egli usava la clemenza. Nessuno comprese tale generoso gesto. Quelli che avversavano segretamente l’antiquata struttura statale sorridevano sarcastici; i nemici dichiarati lo interpretarono come un primo successo della loro tenacia.
Quelli che conservavano la propria fede nell’Austria-Ungheria subirono la prima cocente delusione nel vedere concessa la grazia ai colpevoli di alto tradimento e a chi colpiva alle spalle l’impero.
La seconda delusione fu negli approcci per la conclusione della Pace: intrapresi di comune accordo dalle Potenze Centrali, corrispondevano però, in primissimo luogo, alle intenzioni dell’imperatore Carlo. Il desiderio di porre fine al conflitto nasceva dal cuore sensibile di un uomo, che soffriva come pochi per le miserie dell’umanità, nasceva da una nobiltà d’animo infinitamente lontana e diametralmente opposta alle speculazioni dei freddi maestri di calcolo della parte avversa.
Il giovane imperatore si rifiutava di comprendere che si trattava sempre di più di una questione di vita o di morte, di esistere oppure no. Per lui il mondo era tutto, lo considerava come un’unità inscindibile saldamente fondata sui comandamenti divini e procurava di adempiere a questi comandamenti. Ma l’ora era dominata dal potere, dalla violenza e dalla tenacia nella lotta, per cui gli eventi lo travolsero. Tutto quello che perseguiva si trasformò in un’inarrestabile fatalità per lui e per il suo impero.
Tra il termine del 1916 e l’inizio del 1917 la speranza di una prossima pace venne sepolta. La guerra segue il suo corso, diceva il messaggio di capodanno: equivaleva forse a "non ne posso più, sono stanco di questi avvenimenti terribili che la provvidenza mi ha imposto di guidare, ma non posso tornare indietro, devo portare il peso di questa eredità, anche se le mie spalle sono troppo deboli per reggerlo".
Carlo era sempre più isolato, man mano che si avvicinava la fine della guerra e dell’Austria, ma nulla gli impediva di recitare il Te Deum come accadde l’ultimo giorno dell’anno 1918, con la spiegazione, molto sentita in merito al ringraziamento: "Se quest’anno è stato duro, poteva essere ben più tragico per tutti noi. Se si è disposti a prendere dalla mano di Dio ciò che è buono, bisogna anche essere disposti ad accettare con riconoscenza tutto ciò può essere difficile e doloroso. Del resto quest’anno ha visto la tanto sospirata fine della guerra e per il bene della Pace vale qualsiasi sacrificio e qualsiasi rinuncia" (testimonianza riportata da Paolo Mattei).
Divenne imperatore in piena guerra: non poteva capitargli di peggio… Dice di lui Antonio Borrelli: "Ultimo sovrano della duplice monarchia austro-ungarica, ne dovette subire il crollo pur essendo tanto diverso dai suoi predecessori, per la sua religiosità, dirittura morale, visione sociale riforma di uno Stato assolutista in uno confederale. La Radio Vaticana, il 3 novembre 1949 annunziava l’apertura del processo di beatificazione, gli Atti furono consegnati alla congregazione dei Riti il 22 maggio 1954; a maggio 2003 sono state riconosciute le virtù eroiche e quindi il titolo di venerabile".
Sin da fanciullo aveva dimostrato una particolare inclinazione verso la religione e la preghiera, si sentiva chiamato alla carità per il prossimo e fin da ragazzo raccoglieva soldi per i poveri. Da giovane ufficiale in Galizia, cercò sempre con successo di elevare la vita morale dei suoi soldati, i quali vedevano in lui il modello di uomo cattolico. I suoi principi religiosi lo portarono da imperatore a sostituire il feldmaresciallo Conrad anche per aver usato indiscriminatamente le corti marziali, alienando i cechi dalla Casa d’Austria.
L’autore puntualizza: "Benché fornito di ottima preparazione militare, formazione universitaria e istruzione di Stato Maggiore, fu l’unico fra i belligeranti ad accogliere le iniziative di Pace di Papa Benedetto XV, del resto sin dall’inizio del suo Governo era deciso a riportare la Pace ai suoi popoli. Intraprese varie iniziative di pacificazione con le altre potenze, senza riuscire a prevalere però nella cerchia dei generali statisti tedeschi; non andarono in porto nemmeno due tentativi di pace separata, a causa della fiera resistenza del governo italiano e che si seppero poi in giro. Carlo si ritirò dapprima in Ungheria, rinunciando ad ogni partecipazione agli affari di stato, ma senza abdicare come sovrano. I tentativi di riprendere il trono furono espletati per sua volontà, senza usare la forza militare, risparmiando così un alto costo di vite umane, tale atteggiamento gli costò la corona".
Il vero Giuda fu il reggente von Horthy, che lo tradì malgrado il giuramento e lo umiliò al punto da farlo attendere e poi non riceverlo proprio nelle stanze del sovrano esiliato, dove la grandezza dell’imperatore fu di accettare il tutto per non sfidare il destino costringendo i soldati a trasgredire gli ordini nel pieno rispetto delle regole militari. Rinunciò così modestamente ai suoi legittimi diritti, rispettando l’etica della sua educazione cristiana".
Due giornate di primavera gli furono fatali: quella del 23 marzo 1919, in cui si consumò il pianto dell’addio dalla Patria ed iniziò "la via Crucis" dell’esilio con il dolente pellegrinaggio, che culminò appunto nella seconda giornata, quella fatidica della morte, il primo aprile 1922. Così esclamò, stremato, l’ESULE, adagiato sul letto: "Era qualcosa di straordinario oggi con la santa Comunione, allorché udii il Confiteor provai la sensazione come se il Redentore stesse vicino a me e dicesse: ‘Viene impartita la Comunione’. E poiché non volevo capire, ripeté: ‘Io voglio che tu ti comunichi, non c’è tempo da perdere, non esiste nessun impedimento’. Allora non pensai più che durante la notte avevo mangiato un biscotto". Carlo la ritenne una profanazione, inoltre temeva il tossire durante la Messa, fu avvertito il celebrante ma quella mattina la tosse si calmò, allora fu spalancata la porta, di solito socchiusa per non essere visto, onde poter di bearsi della visione dell’altare. Sopraggiunse un peggioramento nella salute del Kaiser. Ma nella notte non ne volle sapere di prendere un’aspirina, che avrebbe compromesso il suo anelito di comunicarsi. Zita non desistette: "Tu devi guarire così vuole il Signore".
Dal 27 marzo fu esposto il Santissimo nella sua stanza, mancavano solo quattro giorni alla fine. La febbre era salita a 40,5 gradi, si presentava una giornata terribile, non lo fece trapelare il povero ammalato, anche perché senza sedativi, ma la sua confessione alla sera sconvolse chi lo curava, senza aver intuito quella immane sofferenza dedotta da queste parole lancinanti: "Ringrazio il Buon Dio, che questo giorno sia alla fine, non avrei mai pensato che potesse esserci una giornata così faticosa…".
Anche la sua esistenza si avvicinava alla fine... spesa per un’unica aspirazione: "Quella di conoscere il più chiaramente possibile in tutte le cose la volontà di Dio e di eseguirla e precisamente nella maniera più perfetta".
La notte, per l’uomo stremato, fu calma, e fu pietosa per la sposa spossata, che poté concedersi finalmente due ore di sonno.
Il 30 marzo esclamò: "Come sono diventato magro". E forse non si era accorto delle unghie diventate blu. La sua schiena era tutta una ferita e pertanto non gli era possibile giacere. Fu deciso di fargli una trasfusione, si offerse Zita, ma invano. Si rassegnò il misero e sibilò: "Sono stanco, tanto stanco…". Pregò Iddio di farlo dormire e gli furono concesse tre ore. L’ultimo giorno l’inquietudine non gli permise d’addormentarsi. Zita, seduta sul letto, gli teneva la mano, da qualche giorno Carlo non riusciva a fermarle, così leggere correvano sulla coperta come se non gli appartenessero più. Lei chiese cosa lo rendesse così inquieto.
"Nulla, solo non posso dormire e desidererei un bicchiere d’acqua però se non ti recasse disturbo".
La giovane imperatrice si spaventò, sul suo volto scorse decisi i tratti della morte: era la fine per l’ultimo delicato Absburgo, cacciato dalla Casa dei Padri come un traditore, ma accolto da Gesù come il suo figlio più caro per una protezione eterna.
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