1. Eccellenza della verginità.
2. Prodigi della verginità.
3. Premio della verginità.
4. Mezzi per conservare la verginità.
1. Eccellenza della verginità.
2. Prodigi della verginità.
3. Premio della verginità.
4. Mezzi per conservare la verginità.
"Cardinale Pietro Parente; Mons. Antonio Piolanti; Mons. Salvatore Garofalo: Voci selezionate dal Dizionario di Teologia Dogmatica. FETICISMO (dal portoghese feitico, derivato dal latino factitius = cosa fatta. costruita): forma inferiore di religione, che, secondo, gli etnologi evoluzionisti, sarebbe, il primo gradino (A. Comte) o il secondo, dopo l'Animismo (v. questa voce) o dopo l'Ateismo (Tylor, Lubbock), della scala che segnerebbe lo sviluppo della civiltà umana.
E' uno dei santi Patroni della Boemia (attuale Repubblica Ceca). Procopio nacque verso il 975, nel castello di Kourim vicino a Chotoun. Egli fu sacerdote secolare. Come altri sacerdoti, Procopio era sposato ed aveva un figlio ma in seguito divenne monaco per dedicarsi ad una vita ancora più austera. Si ritirò in solitudine in una grotta presso il fiume Sázava a circa due miglia dal natio castello di Kourim. In questo periodo si inserisce la leggenda di aver costretto il diavolo tentatore a tirare l’aratro per lui. Quando fu nominato primo abate di Sázava, volle che la Comunità seguisse la Regola di s. Benedetto, la liturgia del rito occidentale romano, la lingua liturgica slava. Morì il 25 marzo 1053.
«Una cosa sola è necessaria», disse Gesù Cristo (LUC. X, 42). Una sola cosa è necessaria: un solo Dio...; una sola fede...; un solo battesimo...
"Cardinale Pietro Parente; Mons. Antonio Piolanti; Mons. Salvatore Garofalo: Voci selezionate dal Dizionario di Teologia Dogmatica. FEDE: in genere consiste nel credere alla parola altrui. In senso tecnico e soprannaturale la fede è adesione dell'intelletto sotto l'influsso della grazia a una verità rivelata da Dio, non per ragione d'intrinseca evidenza, ma in forza dell'autorità di Colui che l'ha rivelata.
Nasce nel 1901 a Torino in una famiglia della ricca borghesia. Amico di tutti, esprime sempre una fiducia illimitata e completa in Dio e nella Provvidenza ed affronta le situazioni difficili con impegno, ma con serenità e letizia. Frequenta le Opere di san Vincenzo e si dedica alle opere assistenziali a favore di poveri e diseredati. Si iscrive a diverse congregazioni e associazioni cattoliche, aderisce alla «Crociata Eucaristica» e frequenta la Congregazione Mariana che lo inizia al culto della Madonna. Fonda con i suoi amici più cari una «società» denominata «Tipi loschi» che raccoglie giovani attenti ad aiutarsi nella vita interiore e nell'assistenza degli ultimi. Muore di poliomelite fulminante il 4 luglio 1925.
16. Torto che fa al prete la tiepidezza.
17. Del peccato d'incontinenza nel sacerdote
18. Del peccato di scandalo nel prete.
19. Gravità del peccato in un sacerdote.
20. Castighi dei cattivi sacerdoti.
"Cardinale Pietro Parente; Mons. Antonio Piolanti; Mons. Salvatore Garofalo: Voci selezionate dal Dizionario di Teologia Dogmatica. «EX OPERE OPERATO»: il Concilio di Trento nel canone 8 della sessione VII ha definito «se alcuno dirà che i Sacramenti della Nuova Legge non conferiscono la grazia ex opere operato, sia scomunicato» (DB, 851).
Nasce a Cremona nel 1502. Nel 1524 si laurea in medicina a Padova. Viene consacrato prete nel 1528. Cappellano della contessa Ludovica Torelli, la segue a Milano dove, grazie a lui, nascono tre novità, tutte intitolate a san Paolo. Nel 1530 fonda una comunità di preti, i Chierici regolari di San Paolo, chiamati anche Barnabiti, dalla chiesa di San Barnaba, loro prima sede. Poi le Angeliche di San Paolo, primo esempio di suore fuori clausura. Terza fondazione: i Maritati di San Paolo, con l'impegno apostolico costante dei laici sposati. Denunciato come eretico e come ribelle Antonio va a Roma dove verrà assolto. Muore a Cremona a poco più di 36 anni.
11. Prudenza e saggezza che deve avere un prete.
12. Scienza che deve avere il prete.
13. Il prete deve essere uomo di preghiera.
14. Spirito di obbedienza necessario al prete.
15. Disinteresse del prete.
Il prof. Daniele Menozzi ha riassunto in un articolo un suo argomento preferito – quello degli aspetti politici soggiacenti ad alcune idee-chiave cristiane – trattato nei suoi libri su Il Sacro Cuore e su La Chiesa cattolica e la secolarizzazione. In quell’articolo egli svolge un’analisi per certi aspetti valida, ma corrotta dalla tesi di fondo: ossia che spesso la Chiesa, allo scopo d’imporre o difendere il potere ecclesiastico sulla società, abbia politicizzato il Cristianesimo in senso “reazionario”, ad esempio promuovendo alcune formule teologiche, devozioni popolari e feste liturgiche che, implicitamente o esplicitamente, hanno favorito regimi dittatoriali e antidemocratici.
Nel mese di giugno del 1572, i calvinisti, a Gorkum, in Olanda, catturarono i Frati Minori di quel convento con altri sacerdoti, e li trascinarono per molti villaggi, esponendoli al ludibrio delle popolazioni. Li condussero prigionieri a Brielle, torturandoli in mille modi, perché rinunciassero alla fede cattolica nell’Eucaristia e nel primato del Romano Pontefice; ma essi rimasero saldi nella fede, e perciò furono messi a morte il 9 luglio 1572. Papa Pio IX li ha canonizzati nel 1867.
6. Pene e pericoli ai quali va soggetto il prete
7. Obbligo di lavorare alla salute delle anime.
8. Meriti e ricompense che procura n lavorare alla salute delle anime.
9. Buon esempio che deve dare il prete.
10. Santità e perfezione che deve avere il sacerdote.
"Cardinale Pietro Parente; Mons. Antonio Piolanti; Mons. Salvatore Garofalo: Voci selezionate dal Dizionario di Teologia Dogmatica. EVANGELI (gr. = buona notizia, lieto messaggio). Al tempo di Gesù e degli Apostoli l'evangelo è la buona notizia della redenzione universale contenuta nella predicazione di Gesù, ma ben presto, durante la prima generazione cristiana, il termine indica i quattro libretti di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, che contengono la storia dell'annunzio.
Nacque a Saragozza, in Aragona (Spagna), nel 1271. Figlia del re di Spagna Pietro III, quindi pronipote di Federico II, a soli 12 anni venne data in sposa a Dionigi, re del Portogallo, da cui ebbe due figli. Durante questo matrimonio Elisabetta seppe dare la testimonianza cristiana che la portò alla santità. Alla morte del marito donò i suoi averi ai poveri e ai monasteri, diventando terziaria francescana e si ritirò nel convento delle clarisse di Coimbra, da lei stessa fondato.Morì nel 1336 ad Estremoz in Portogallo. Fu canonizzata a Roma da Urbano VIII nel 1625.
1. Che cosa significa la parola prete.
2. Dignità del prete.
3. potenza del sacerdote.
4. Servizi innumerevoli che presta il sacerdote.
5. Zelo che deve avere il prete.
"Cardinale Pietro Parente; Mons. Antonio Piolanti; Mons. Salvatore Garofalo: Voci selezionate dal Dizionario di Teologia Dogmatica. APOLLINARISMO: errore cristologico di Apollinare, Vescovo di Laodicea (c. 350). che apre la via al Monofisismo (v: questa voce).
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
NORME COMPLEMENTARI ALLA COSTITUZIONE APOSTOLICA ANGLICANORUM COETIBUS
4 novembre 2009
In questi ultimi tempi lo Spirito Santo ha spinto gruppi anglicani a chiedere più volte e insistentemente di essere ricevuti, anche corporativamente, nella piena comunione cattolica e questa Sede Apostolica ha benevolmente accolto la loro richiesta. Il Successore di Pietro infatti, che dal Signore Gesù ha il mandato di garantire l’unità dell’episcopato e di presiedere e tutelare la comunione universale di tutte le Chiese, non può non predisporre i mezzi perché tale santo desiderio possa essere realizzato.
Dipendenza dalla Santa Sede
Articolo 1
Ciascun Ordinariato dipende dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e mantiene stretti rapporti con gli altri Dicasteri Romani a seconda della loro competenza.
Rapporti con le Conferenze Episcopali e i Vescovi diocesani
Articolo 2
§ 1. L’Ordinario segue le direttive della Conferenza Episcopale nazionale in quanto compatibili con le norme contenute nella Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus.
§ 2. L’Ordinario è membro della rispettiva Conferenza Episcopale.
Articolo 3
L’Ordinario, nell’esercizio del suo ufficio, deve mantenere stretti legami di comunione con il Vescovo della Diocesi in cui l’Ordinariato è presente per coordinare la sua azione pastorale con il piano pastorale della Diocesi.
L’Ordinario
Articolo 4
§ 1. L’Ordinario può essere un vescovo o un presbitero nominato dal Romano Pontefice ad nutum Sanctae Sedis, in base ad una terna presentata dal Consiglio di governo. Per lui si applicano i cann. 383-388, 392-394 e 396-398 del Codice di Diritto Canonico.
§ 2. L’Ordinario ha la facoltà di incardinare nell’Ordinariato i ministri anglicani entrati nella piena comunione con la Chiesa Cattolica e i candidati appartenenti all’Ordinariato da lui promossi agli Ordini Sacri.
§ 3. Sentita la Conferenza Episcopale e ottenuto il consenso del Consiglio di governo e l’approvazione della Santa Sede, l’Ordinario, se ne vede la necessità, può erigere decanati territoriali, sotto la guida di un delegato dell’Ordinario e comprendenti i fedeli di più parrocchie personali.
I fedeli dell’Ordinariato
Articolo 5
§ 1. I fedeli laici provenienti dall’Anglicanesimo che desiderano appartenere all’Ordinariato, dopo aver fatto la Professione di fede e, tenuto conto del can. 845, aver ricevuto i Sacramenti dell’Iniziazione, debbono essere iscritti in un apposito registro dell’Ordinariato. Coloro che sono stati battezzati nel passato come cattolici fuori dall’Ordinariato non possono ordinariamente essere ammessi come membri, a meno che siano congiunti di una famiglia appartenente all’Ordinariato.
§ 2. I fedeli laici e i membri di Istituti di Vita Consacrata e di Società di Vita Apostolica, quando collaborano in attività pastorali o caritative, diocesane o parrocchiali, dipendono dal Vescovo diocesano o dal parroco del luogo, per cui in questo caso la potestà di questi ultimi è esercitata in modo congiunto con quella dell’Ordinario e del parroco dell’Ordinariato.
Il clero
Articolo 6
§ 1. L’Ordinario, per ammettere candidati agli Ordini Sacri deve ottenere il consenso del Consiglio di governo. In considerazione della tradizione ed esperienza ecclesiale anglicana, l’Ordinario può presentare al Santo Padre la richiesta di ammissione di uomini sposati all’ordinazione presbiterale nell’Ordinariato, dopo un processo di discernimento basato su criteri oggettivi e le necessità dell’Ordinariato. Tali criteri oggettivi sono determinati dall’Ordinario, dopo aver consultato la Conferenza Episcopale locale, e debbono essere approvati dalla Santa Sede.
§ 2. Coloro che erano stati ordinati nella Chiesa Cattolica e in seguito hanno aderito alla Comunione Anglicana, non possono essere ammessi all’esercizio del ministero sacro nell’Ordinariato. I chierici anglicani che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari non possono essere ammessi agli Ordini Sacri nell’Ordinariato.
§ 3. I presbiteri incardinati nell’Ordinariato ricevono le necessarie facoltà dall’Ordinario.
Articolo 7
§ 1. L’Ordinario deve assicurare un’adeguata remunerazione ai chierici incardinati nell’Ordinariato e provvedere alla previdenza sociale per sovvenire alle loro necessità in caso di malattia, di invalidità o vecchiaia.
§ 2. L’Ordinario potrà convenire con la Conferenza Episcopale eventuali risorse o fondi disponibili per il sostentamento del clero dell’Ordinariato.
§ 3. In caso di necessità, i presbiteri, con il permesso dell’Ordinario, potranno esercitare una professione secolare, compatibile con l’esercizio del ministero sacerdotale (cf. CIC, can. 286).
Articolo 8
§ 1. I presbiteri, pur costituendo il presbiterio dell’Ordinariato, possono essere eletti membri del Consiglio Presbiterale della Diocesi nel cui territorio esercitano la cura pastorale dei fedeli dell’Ordinariato (cf. CIC, can. 498, § 2).
§ 2. I presbiteri e i diaconi incardinati nell’Ordinariato possono essere, secondo il modo determinato dal Vescovo diocesano, membri del Consiglio Pastorale della Diocesi nel cui territorio esercitano il loro ministero (cf. CIC, can. 512, § 1).
Articolo 9
§ 1. I chierici incardinati nell’Ordinariato devono essere disponibili a prestare aiuto alla Diocesi in cui hanno il domicilio o il quasi-domicilio, dovunque sia ritenuto opportuno per la cura pastorale dei fedeli. In questo caso dipendono dal Vescovo diocesano per quello che riguarda l’incarico pastorale o l’ufficio che ricevono.
§ 2. Dove e quando sia ritenuto opportuno, i chierici incardinati in una Diocesi o in un Istituto di Vita Consacrata o in una Società di Vita Apostolica, col consenso scritto rispettivamente del loro Vescovo diocesano o del loro Superiore, possono collaborare alla cura pastorale dell’Ordinariato. In questo caso dipendono dall’Ordinario per quello che riguarda l’incarico pastorale o l’ufficio che ricevono.
§ 3. Nei casi previsti nei paragrafi precedenti deve intervenire una convenzione scritta tra l’Ordinario e il Vescovo diocesano o il Superiore dell’Istituto di Vita Consacrata o il Moderatore della Società di Vita Apostolica, in cui siano chiaramente stabiliti i termini della collaborazione e tutto ciò che riguarda il sostentamento.
Articolo 10
§ 1. La formazione del clero dell’Ordinariato deve raggiungere due obiettivi: 1) una formazione congiunta con i seminaristi diocesani secondo le circostanze locali; 2) una formazione, in piena armonia con la tradizione cattolica, in quegli aspetti del patrimonio anglicano di particolare valore.
§ 2. I candidati al sacerdozio riceveranno la loro formazione teologica con gli altri seminaristi in un seminario o in una facoltà teologica, sulla base di un accordo intervenuto tra l’Ordinario e il Vescovo diocesano o i Vescovi interessati. I candidati possono ricevere una particolare formazione sacerdotale secondo un programma specifico nello stesso seminario o in una casa di formazione appositamente eretta, col consenso del Consiglio di governo, per la trasmissione del patrimonio anglicano.
§ 3. L’Ordinariato deve avere una sua Ratio institutionis sacerdotalis, approvata dalla Santa Sede; ogni casa di formazione dovrà redigere un proprio Regolamento, approvato dall’Ordinario (cf. CIC, can. 242, §1).
§ 4. L’Ordinario può accettare come seminaristi solo i fedeli che fanno parte di una parrocchia personale dell’Ordinariato o coloro che provengono dall’Anglicanesimo e hanno ristabilito la piena comunione con la Chiesa Cattolica.
§ 5. L’Ordinariato cura la formazione permanente dei suoi chierici, partecipando anche a quanto predispongono a questo scopo a livello locale la Conferenza Episcopale e il Vescovo diocesano.
I Vescovi già anglicani
Articolo 11
§ 1. Un Vescovo già anglicano e coniugato è eleggibile per essere nominato Ordinario. In tal caso è ordinato presbitero nella Chiesa cattolica ed esercita nell’Ordinariato il ministero pastorale e sacramentale con piena autorità giurisdizionale.
§ 2. Un Vescovo già anglicano che appartiene all’Ordinariato può essere chiamato ad assistere l’Ordinario nell’amministrazione dell’Ordinariato.
§ 3. Un Vescovo già anglicano che appartiene all’Ordinariato può essere invitato a partecipare agli incontri della Conferenza dei Vescovi del rispettivo territorio, nello stesso modo di un vescovo emerito.
§ 4. Un Vescovo già anglicano che appartiene all’Ordinariato e che non è stato ordinato vescovo nella Chiesa Cattolica, può chiedere alla Santa Sede il permesso di usare le insegne episcopali.
Il Consiglio di governo
Articolo 12
§ 1. Il Consiglio di governo, in accordo con gli Statuti approvati dall’Ordinario, ha i diritti e le competenze che secondo il Codice di Diritto Canonico sono propri del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori.
§ 2. Oltre tali competenze, l’Ordinario ha bisogno del consenso del Consiglio di governo per:
a. ammettere un candidato agli Ordini Sacri;
b. erigere o sopprimere una parrocchia personale;
c. erigere o sopprimere una casa di formazione;
d. approvare un programma formativo.
§ 3. L’Ordinario deve inoltre sentire il parere del Consiglio di governo circa gli indirizzi pastorali dell’Ordinariato e i principi ispiratori della formazione dei chierici.
§ 4. Il Consiglio di governo ha voto deliberativo:
a. per formare la terna di nomi da inviare alla Santa Sede per la nomina dell’Ordinario;
b. nell’elaborare le proposte di cambiamento delle Norme Complementari dell’Ordinariato da presentare alla Santa Sede;
c. nella redazione degli Statuti del Consiglio di governo, degli Statuti del Consiglio Pastorale e del Regolamento delle case di formazione.
§ 5. Il Consiglio di governo è composto secondo gli Statuti del Consiglio. La metà dei membri è eletta dai presbiteri dell’Ordinariato.
Il Consiglio Pastorale
Articolo 13
§ 1. Il Consiglio Pastorale, istituito dall’Ordinario, esprime il suo parere circa l’attività pastorale dell’Ordinariato.
§ 2. Il Consiglio Pastorale, presieduto dall’Ordinario, è retto dagli Statuti approvati dall’Ordinario.
Le parrocchie personali
Articolo 14
§ 1. Il parroco può essere assistito nella cura pastorale della parrocchia da un vicario parrocchiale, nominato dall’Ordinario; nella parrocchia dev’essere costituito un Consiglio pastorale e un Consiglio per gli affari economici.
§ 2. Se non c’è un vicario, in caso di assenza, d’impedimento o di morte del parroco, il parroco del territorio in cui si trova la chiesa della parrocchia personale, può esercitare, se necessario, le sue facoltà di parroco in modo suppletivo.
§ 3. Per la cura pastorale dei fedeli che si trovano nel territorio di Diocesi in cui non è stata eretta una parrocchia personale, sentito il parere del Vescovo diocesano, l’Ordinario può provvedere con una quasi-parrocchia (cf. CIC, can. 516, § 1).
Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato le presenti Norme Complementari alla Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus, decise dalla Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato le pubblicazione.
William Card. Levada
Prefetto
+ Luis. F. Ladaria, S.I.
Arcivescovo tit. di Thibica
Segretario
[01641-01.01] [Testo originale: Italiano]
Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 4 novembre 2009, Memoria di San Carlo Borromeo.
L'articolo Norme per la Cost. Ap. ANGLICANORUM COETIBUS proviene da J. Ratzinger's Fan Club.
Prefazione al secondo volume dei miei scritti
di Joseph Ratzinger
Dopo la pubblicazione dei miei scritti sulla liturgia segue ora nell’edizione generale delle mie opere un libro con studi sulla teologia del grande francescano e dottore della Chiesa Bonaventura Fidanza. Fin dall’inizio è stato evidente che quest’opera avrebbe contenuto anche i miei studi sul concetto di Rivelazione in san Bonaventura, condotti assieme all’interpretazione della sua teologia della storia, negli anni 1953-1955, ma finora inediti.
Per completare tutto questo lavoro il manoscritto avrebbe dovuto essere rivisto e corretto secondo le moderne modalità editoriali, cosa che io non mi sono sentito in grado di fare. La professoressa Marianne Schlosser di Vienna, profonda conoscitrice della teologia medievale e in particolare delle opere di san Bonaventura, si è degnamente offerta di svolgere tale lavoro necessario e di certo non facile. Per questo non posso che ringraziarla di tutto cuore. Discutendo del progetto ci siamo subito trovati d’accordo che non si sarebbe tentato di rielaborare il libro dal punto di vista contenutistico e di portare la ricerca allo stato attuale. Più di mezzo secolo dopo la stesura del testo, questo avrebbe significato in pratica scrivere un nuovo libro. Inoltre desideravo fosse un’edizione "storica", che offrisse così com’era un testo concepito in un lontano passato, lasciando alla ricerca la possibilità di trarne utilità anche oggi. Della cura editoriale svolta tratta l’introduzione della professoressa Schlosser, che con i suoi collaboratori ha investito molto tempo e molto impegno dedicato all’allestimento di un’edizione storica del testo, confidando nel fatto che teologicamente e storicamente valesse la pena renderlo accessibile a tutti nella sua interezza.
Nella seconda parte del libro viene nuovamente presentata "La teologia della storia di san Bonaventura" come fu pubblicata nel 1959. I saggi che seguono sono tratti, con poche eccezioni, dallo studio sull’interpretazione della Rivelazione e della teologia della storia. In alcuni casi sono stati adattati per poter costituire un testo in sé completo, modificandoli leggermente secondo il contesto.
L’idea di aggiornare il manoscritto e presentarlo come libro al pubblico dovetti abbandonarla temporaneamente assieme al progetto di uno studio commentato dell’"Hexameron", perché l’attività di esperto conciliare e le esigenze della mia docenza accademica erano così impegnative da rendere impensabile la ricerca medievalistica. Nel periodo postconciliare la situazione teologica mutata e la nuova situazione nell’università tedesca mi assorbirono così tanto che rimandai il lavoro su Bonaventura al periodo successivo al pensionamento. Nel frattempo il Signore mi ha condotto lungo altre vie e così il libro viene pubblicato ora nella sua forma presente. Auspico che altri possano svolgere il compito di commentare l’"Hexameron".
In un primo momento l’esposizione del tema dell’opera potrebbe apparire sorprendente e di fatto lo è. Dopo la mia tesi sul concetto di Chiesa di sant’Agostino, il mio maestro Gottlieb Söhngen mi propose di dedicarmi al medioevo e in particolare alla figura di san Bonaventura, che fu il più significativo rappresentante della corrente agostiniana nella teologia medievale.
Per quanto riguarda il contenuto, ho dovuto affrontare la seconda importante questione di cui si occupa la teologia fondamentale, ovvero il tema della Rivelazione. A quel tempo, in particolare a motivo della celebre opera di Oscar Cullmann "Christus und die Zeit [Cristo e il tempo]" (Zürich, 1946), il tema della storia della salvezza, specialmente il suo rapporto con la metafisica, era diventato il punto focale dell’interesse teologico. Se la Rivelazione nella teologia neoscolastica era stata intesa essenzialmente come trasmissione divina di misteri, che restano inaccessibili all’intelletto umano, oggi la Rivelazione viene considerata una manifestazione di sé da parte di Dio in un’azione storica e la storia della salvezza viene vista come elemento centrale della Rivelazione. Mio compito era quello di cercare di scoprire come Bonaventura avesse inteso la Rivelazione e se per lui esistesse qualcosa di simile a un’idea di "storia della salvezza".
È stato un compito difficile. La teologia medievale non possiede alcun trattato "de Revelatione", sulla Rivelazione, come invece accade nella teologia moderna. Inoltre, dimostrai subito che la teologia medievale non conosce neanche un termine per esprimere da un punto di vista contenutistico il nostro moderno concetto di Rivelazione. La parola "revelatio", che è comune alla neoscolastica e alla teologia medievale, non significa, come si è andato evidenziando, la stessa cosa nella teologia medievale e in quella moderna. Per questo ho dovuto cercare le risposte alla mia impostazione del problema in altre forme linguistiche e di pensiero e addirittura modificarla rispetto a quando mi ero avvicinato all’opera di Bonaventura. Innanzitutto bisognava condurre difficili ricerche sul suo linguaggio. Ho dovuto accantonare i nostri concetti per capire cosa Bonaventura intendesse per Rivelazione. In ogni caso si è dimostrato che il contenuto concettuale di Rivelazione si adattava a un gran numero di concetti: "revelatio", "manifestatio", "doctrina", "fides", e così via. Soltanto una visione d’insieme di questi concetti e delle loro asserzioni fa comprendere l’idea di Rivelazione in Bonaventura.
Il fatto che nella dottrina medievale non esistesse alcun concetto di "storia della salvezza" nel senso attuale del termine, è stato chiaro fin dall’inizio. Tuttavia due indizi dimostrano che in Bonaventura era presente il problema della rivelazione come cammino storico.
Innanzitutto si è presentata la doppia figura della Rivelazione come Antico e Nuovo Testamento, che ha posto la questione della sintonia fra l’unità della verità e la diversità della mediazione storica posta sin dall’età patristica e poi affrontata anche dai teologi medievali.
A questa forma classica della presenza del problema del rapporto tra storia e verità, che Bonaventura condivide con la teologia del suo tempo e che tratta a suo modo, si aggiunge in lui anche la novità del suo punto di vista storico, nel quale la storia, che è proseguimento dell’opera divina, diviene una sfida drammatica.
Gioacchino da Fiore (morto nel 1202) aveva insegnato un ritmo trinitario della storia. All’età del Padre (Antico Testamento) e all’età del Figlio (Nuovo Testamento, Chiesa) doveva seguire un’età dello Spirito Santo, nella quale con l’osservanza del Discorso della Montagna si sarebbero manifestati spirito di povertà, riconciliazione fra greci e latini, riconciliazione fra cristiani ed ebrei, e sarebbe giunto un tempo di pace. Grazie a una combinazione di cifre simboliche l’erudito abate aveva predetto l’inizio di una nuova età nel 1260. Intorno al 1240 il movimento francescano si imbatté in questi scritti che su molti ebbero un effetto elettrizzante: questa nuova età non era forse iniziata con san Francesco d’Assisi? Per questo motivo all’interno dell’Ordine si venne a creare una tensione drammatica fra "realisti", che volevano utilizzare l’eredità di san Francesco secondo le possibilità concrete della vita dell’Ordine quale era stata tramandata, e "spirituali", che invece puntavano alla novità radicale di un periodo storico nuovo.
Come ministro generale dell’Ordine, Bonaventura dovette affrontare l’enorme sfida di questa tensione, che per lui non era una questione accademica, ma un problema concreto del suo incarico di settimo successore di san Francesco. In questo senso la storia fu improvvisamente tangibile come realtà e come tale dovette essere affrontata con l’azione reale e con la riflessione teologica. Nel mio studio ho cercato di spiegare in che modo Bonaventura affrontò questa sfida e mise in rapporto la storia della salvezza con la Rivelazione.
Dal 1962 non avevo più ripreso in mano lo scritto. Quindi per me è stato entusiasmante rileggerlo dopo così tanto tempo. È chiaro che l’impostazione del problema così come il linguaggio del libro sono influenzati dalla realtà degli anni Cinquanta. Oltre tutto per le ricerche linguistiche non esistevano i mezzi tecnici che abbiamo ora. Per questo motivo l’opera ha i suoi limiti ed è evidentemente influenzata dal periodo storico in cui è stata concepita. Tuttavia, rileggendola ho ricavato l’impressione che le sue risposte siano fondate, sebbene superate in molti dettagli, e che ancora oggi abbiano qualcosa da dire. Soprattutto mi sono reso conto che la questione dell’essenza della Rivelazione e il fatto di riproporla, che è il tema del libro, hanno ancora oggi una loro urgenza, forse anche maggiore che in passato.
Al termine di questa prefazione desidero aggiungere al ringraziamento alla professoressa Schlosser anche quello al vescovo di Ratisbona Gerhard Ludwig Müller, che attraverso la fondazione dell’Institut Papst Benedikt XVI. ha reso possibile la pubblicazione di quest’opera e ha seguito, con attiva partecipazione, il processo editoriale dei miei scritti. Ringrazio inoltre i collaboratori dell’Istituto, il professor Rudolf Voderholzer, il dottor Christian Schaller, i signori Franz-Xaver Heibl e Gabriel Weiten. Non da ultimo ringrazio l’editrice Herder, che si è occupata della pubblicazione di questo libro con l’accuratezza che la caratterizza.
Dedico l’opera a mio fratello Georg per il suo ottantacinquesimo compleanno, grato per la comunione di pensiero e di cammino di tutta una vita.
Roma, solennità dell’Ascensione di Cristo 2009.
(fonte:  [chiesa.espresso.repubblica.it]
L'articolo Prefazione al secondo volume dei miei scritti proviene da J. Ratzinger's Fan Club.
Tratto da Avvenire del 9 maggio 2008
Trent’anni fa, il 6 giugno 1978, entrò in vigore la legge 194. Pubblicata nella Gazzetta ufficiale il 22 maggio, cominciò ad essere applicata dopo il rituale periodo di “vacatio legis”: 15 giorni dopo. Ci separano da quella data cinque milioni di aborti timbrati dallo Stato ed eseguiti nella forma del servizio sociale. Sono stati anche trent’anni di discussione sulla legge. Quanto meno il “popolo della vita” ha impedito che il capitolo fosse chiuso. È valsa e vale la pena? Questa domanda la pose Benedetto XVI, allora cardinale Ratzinger, il 19 dicembre 1987, concludendo un convegno su “Il diritto alla vita e l’Europa”. Oggi quando la discussione sulla Legge 194 è diventata più vivace, la rilettura di quel discorso è particolarmente opportuna. Nell’impossibilità di riportare l’intero testo, ne riprendiamo soltanto qualche brano.Ad una diffusa opinione pubblica di benpensanti può sembrare esagerato e inopportuno, anzi addirittura fastidioso che si continui a riproporre come questione decisiva il problema del rispetto della vita appena concepita e non ancora nata. Dopo i laceranti dibattiti concomitanti alla legalizzazione dell’aborto (avvenuta nell’ultimo quindicennio in quasi tutti i paesi occidentali) non si dovrebbe considerare ormai risolto il problema ed evitare quindi di riaprire ormai superate contrapposizioni ideologiche?
Perché non rassegnarsi ad aver perso questa battaglia e non dedicare invece le nostre energie ad iniziative che possono trovare il favore di un più grande consenso sociale? Restando alla superficie delle cose, si potrebbe essere convinti che, in fondo, l’approvazione legale dell’aborto ha cambiato poco nella nostra vita privata e nella vita delle nostre società. In fondo tutto sembra continuare esattamente come prima. Ognuno può regolarsi secondo coscienza: chi non vuole abortire non è costretto a farlo. Chi lo fa con l’approvazione di una legge – così si dice – forse lo farebbe comunque. Tutto si consuma nel silenzio di una sala operatoria, che almeno garantisce condizioni di una certa sicurezza dell’intervento. Il feto che non vedrà mai la luce è come se non fosse mai esistito. Chi se ne accorge? Perché continuare a dare voce pubblica a questo dramma?
Non è forse meglio lasciarlo sepolto nel silenzio della coscienza dei singoli protagonisti? (…) Il riconoscimento della sacralità della vita umana e della sua inviolabilità senza eccezioni non è un piccolo problema o questione che possa essere considerata relativa, in ordine al pluralismo delle opinioni presenti nella società moderna. Il testo della Genesi orienta la nostra riflessione in un duplice senso, che ben corrisponde alla duplice dimensione delle domande che ci eravamo posti all’inizio:
(…) Nella sua prefazione al noto libro del biologo francese Jaques Testart, L’oeuf transparent, il filosofo Michel Serres (apparentemente un non credente), affrontando la questione del rispetto dovuto all’embrione umano, si pone la domanda: «Chi è l’uomo?». Egli rileva che non vi sono risposte univoche e veramente soddisfacenti nella filosofia e nella cultura. Tuttavia egli nota che noi, pur non avendo una definizione teorica precisa dell’uomo, comunque nell’esperienza della vita concreta chi sia l’uomo lo sappiamo bene.
Lo sappiamo soprattutto quando ci troviamo di fronte a chi soffre, a chi è vittima del potere, a chi è indifeso e condannato a morte: «Ecce Homo!». Sì, questo non credente riporta proprio la frase di Pilato, che aveva tutto il potere, davanti a Gesù, spogliato, flagellato, coronato di spine e ormai condannato alla croce. Chi è l’uomo? È proprio il più debole e indifeso, colui che non ha né potere né voce per difendersi, colui al quale possiamo passare accanto nella vita facendo finta di non vederlo. Colui al quale possiamo chiudere il nostro cuore e dire che non è mai esistito.
E così, spontaneamente, ritorna alla memoria un’altra pagina evangelica, che voleva rispondere ad una simile richiesta di definizione: «Chi è il mio prossimo?» Sappiamo che per riconoscere chi è il nostro prossimo occorre accettare di fare il prossimo, cioè fermarsi, scendere da cavallo, avvicinarsi a colui che ha bisogno, prendersi cura di lui. «Ciò che avrete fatto al più piccolo di questi miei fratelli lo avrete fatto a me» (Mt 25,40).
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