Apocalisse e rivoluzione
Conferenza tenuta il 18-5-1967 presso la camera di commercio di Milano
Il tema centrale della mia esposizione sarà quello della struttura della rivoluzione. Noi oggi viviamo in un'epoca di rivoluzione, ma, pur vivendo in essa, non abbiamo una completa comprensione della struttura della realtà nella quale viviamo. Cercherò, in questa sede, di analizzare la peculiare struttura delle forze che concorrono a determinare la nostra esistenza.
Se getto uno sguardo retrospettivo sulla mia vita, devo concludere che più anni di essa sono stati determinati, nella loro formazione, più da eventi rivoluzionari che da normali assetti costituzionali. E' quindi di estremo interesse per noi tutti acquisire una conoscenza almeno approssimata della natura e del carattere di questi eventi e del loro sviluppo nel futuro.
Questo contesto rivoluzionario, nel quale ci troviamo tutti coinvolti, affonda le sue radici lontano nel tempo, fin nell'antichità, ed ha come sua base quella che potremmo definire una motivazione di senso comune della rivoluzione, che è stata fatta oggetto di analisi da parte dei grandi filosofi politici dell'antichità: Platone e Aristotele.
A questo fenomeno di base della rivoluzione, descritto dai classici, se ne è sovrapposto un secondo, derivato dalla storia di Israele e degli ebrei e trasmessoci in eredità dal cristianesimo e dai movimenti settari del Medio Evo. A questi due "strati" del fenomeno rivoluzionario se ne è poi aggiunto nei tempi moderni un terzo, sul quale mi soffermerò più avanti.
Rifacciamoci, dunque, per il momento, alla concezione classica. Nella politica classica — e mi riferisco a questo proposito soprattutto alla visuale aristotelica — il punto di partenza è costituito dalla concezione di un ordine costituzionale. Ogni società deve vivere in un qualche ordine e, per realizzare quest'ordine, essa deve sempre tener conto di certe caratteristiche della natura umana. Queste caratteristiche sono essenzialmente due e, per quanto appaiano logicamente in conflitto tra loro, tuttavia, nella realtà della vita, dobbiamo fare i conti con entrambe.
Il primo di questi principi relativi alla natura umana è che tutti gli uomini sono uguali per natura; il secondo è che tutti gli uomini sono disuguali nella realizzazione, nell'attuazione o nell'uso che essi fanno della loro natura. Perciò, tanto l'uguaglianza quanto la disuguaglianza degli uomini sono tratti fondamentali della realtà ed ogni società deve tener adeguato conto di entrambi questi princìpi nella costruzione del suo ordine costituzionale.
Questi due princìpi fondamentali sono stati analizzati e posti in evidenza da Aristotele (1). Per lui non si può parlare di ottima costituzione quando si ha un governo di élite; infatti, se il governo è formato da un'elite fondata su alcune particolari caratteristiche in base alle quali si presume che essa si distingua privilegiatamente dal resto del popolo, per ricchezza o virtù o qualche particolare capacità, in tal caso, si offende la comune umanità di tutti gli altri. Mentre non bisogna offendere gli altri, perché, quando questi si sentono offesi nella loro umanità, cominciano ad agitarsi e finiscono col provocare una rivoluzione e col darsi alla violenza.
D'altra parte, non basta tener adeguatamente conto del fatto che tutti gli uomini sono uguali, proprio perché essi sono anche disuguali nella loro capacità e nella loro disponibilità a cooperare, a ordinare e a reggere una comunità: se non si tien conto anche della disuguaglianza di fatto fra gli uomini, si finisce col perseguire un egualitarismo utopistico che equivale a un totale disordine.
Noi, infatti, ci proclamiamo democratici, ci proclamiamo repubblicani, facciamo funzionare il Parlamento, poniamo in essere un governo rappresentativo, ma non eleggiamo i nostri rappresentanti tirandoli a sorte, perché, se così facessimo in ossequio al principio dell'eguaglianza di diritti per tutti, rischieremmo di avere al governo persone disadatte.
Per questo la struttura egualitaria, rappresentata dal suffragio generale, dev'essere sempre temperata da organizzazioni che nella democrazia moderna sono chiamate partiti, che svolgono una funzione selettiva e permettono di scegliere a ragion veduta fra gli uguali (in diritto) quelli che sono disuguali (di fatto), in modo che accedano alle posizioni di comando della società uomini dotati e capaci. Insomma, ci devono essere in ogni costituzione, delle istituzioni che, da una parte, rappresentino l'elemento della uguaglianza negli uomini e, dall'altra, tengano conto dell'elemento della disuguaglianza.
Questa, in sostanza, è stata la concezione dell'ordine costituzionale elaborata dai classici e, in particolare, da Aristotele. Orbene, come mai si verificano delle rivoluzioni nell'ambito di un ordine costituzionale? Molte sono le cause di rivoluzione e di disordine e mi limiterò ad accennare alle principali, indicate da Aristotele. In primo luogo, l'abuso di potere da parte del governo: tale abuso provoca la paura nei soggetti che, appunto dalla paura, possono essere spinti alla rivolta contro il governo; inoltre, chi abusa del potere finisce con l'essere dominato da un senso di colpa e si trova anch'esso in uno stato di paura e questa paura tende a crescere, perché l'abuso del potere ha la proprietà dell'escalation, della crescita in quantità, sicché, quando tale abuso è cominciato, può sempre con facilità maturare una situazione rivoluzionaria (2).
Un'altra causa di rivoluzione, spesso non considerata tale, è il progresso sociale ed economico. Quando c'è progresso economico nel senso stretto del termine, cioè quando si sviluppano nuove branche produttive di un'economia o cambia la struttura economica di una società, allora vengono in luce numerosi fattori di squilibrio. Se, per esempio, si ha, come ad Atene, ancora intorno al 500 a. C., un governo aristocratico sulla base della proprietà terriera e ci si trova nella necessità di allestire una grande flotta in vista di una guerra, allora un ruolo decisivo, nella realizzazione di tale programma, svolgono i lavoratori dei cantieri, gli armatori, i marinai, ecc., e quando la maggioranza della popolazione è impegnata nello sforzo bellico in vista della realizzazione di un grande impero marittimo, non è più possibile che il potere resti nelle mani di un'aristocrazia fondata sulla proprietà terriera.
Perciò, in casi siffatti, diventa inevitabile il passaggio da un governo aristocratico a un governo democratico e infine a un governo del popolo, dal popolo, come avvenne nell'Atene del IV secolo, quando maturò quella situazione politica nei confronti della quale Platone elevò la sua protesta, contrapponendole il suo paradigma di una polis ideale.
In sostanza, il progresso economico, che normalmente è considerato un vantaggio, sotto questo profilo, cioè dal punto di vista di una società e del suo ordine, non rappresenta affatto un vantaggio; anzi, di norma, se si verifica un progresso considerevole, se si registra davvero un decisivo sviluppo economico, allora anche matura una situazione rivoluzionaria: la costituzione non può restare tal quale, perché si vanno sviluppando strati sociali interamente nuovi i quali pretendono di essere adeguatamente rappresentati, e questo mutamento nella struttura rappresentativa, con accesso di nuovi strati della società alla rappresentanza, è appunto un fatto rivoluzionario. Dunque, il progresso economico e i mutamenti sociali sono una fonte potenziale di rivoluzione.
Possiamo riassumere in termini generali il pensiero aristotelico dicendo che quando perviene a un certo livello quella che si può definire "saturazione di civilizzazione" (civilizational saturation), quando cioè il progresso economico e i mutamenti sociali giungono a un certo stadio, allora si aprono prospettive di rivoluzione, e il risultato è quello del passaggio rivoluzionario da un tipo di governo, rappresentativo di un certo gruppo economico, a un altro tipo di governo, rappresentativo dei nuovi gruppi economici venuti alla ribalta per effetto del suddetto processo di saturazione.
Altro importantissimo fattore nella determinazione di spinte rivoluzionarie è rappresentato dal progresso della tecnica militare. Ho or ora accennato a quel periodo della storia greca che fu caratterizzato dall'affermazione dell'impero marittimo di Atene. Ebbene, allora fu introdotta una nuova tecnica militare e nel ruolo prima ricoperto dalla fanteria subentrò la nuova grande flotta: con questo mutamento negli strumenti militari, nuovi gruppi sociali acquistarono rilevanza nella società, quelli cioè costituiti dalla popolazione impegnata nella costruzione e nel funzionamento della flotta, in luogo dei gruppi sociali che avevano rilevanza nel contesto del vecchio sistema, caratterizzato dal predominio delle forze di terra. Questi nuovi gruppi sociali venuti alla ribalta rivendicarono un'adeguata rappresentanza e così si attuò il trapasso dall'aristocrazia della vecchia fanteria alla democrazia di un nuovo popolo marinaro.
Altro fattore di decisiva importanza nel determinare squilibri rivoluzionari nell'ordine costituzionale e nell'ordine internazionale è la crescita demografica. Tanto per limitarci a un esempio moderno, ricordiamo che nel 1870 la Gran Bretagna, la Francia e la Germania avevano tutte la stessa popolazione: 40 milioni di abitanti. Ma nel 1914 la popolazione della Francia risultava ancora di circa 40 milioni, quella della Gran Bretagna era di circa 45 milioni e quella della Germania era salita a 65 milioni, sicché l'equilibrio delle forze in atto nel 1870 era cambiato senza che nessuno intervenisse deliberatamente a romperlo, per effetto soltanto di una differenziazione nel ritmo di crescita della popolazione.
Siffatti mutamenti, dovuti a incrementi demografici, hanno effetti rivoluzionari. Nel caso citato, il mutamento generò il fenomeno della paura al quale si riferisce Aristotele, e quando la gente ha paura diventa nervosa e tende a interpretare, senza particolari motivi, qualsiasi gesto come una minaccia e un pericolo, per la semplice ragione che è mutata la situazione psicologica nel suo complesso: nessuno è intervenuto a modificare deliberatamente le condizioni generali, ma l'intera struttura di potere è stata alterata dal mutamento di consistenza demografica delle rispettive popolazioni.
Un problema analogo va emergendo oggi. L'area di più rapido incremento demografico non è affatto quella, come talvolta si crede, dei paesi asiatici, come la Cina, ma quella dei paesi dell'America Latina questa, fra vent'anni, sarà probabilmente la più popolosa area del mondo e, naturalmente, tale mutamento nella struttura demografica del mondo farà sentire i suoi effetti sia sul piano dei rapporti interni dei paesi dell'America Latina, sia sul piano dei rapporti internazionali.
Queste, dunque, sono le principali cause di rivoluzione secondo la concezione classica, e di fronte a tali cause di rivoluzione, si può reagire in parecchi modi. Si può reagire opponendosi al mutamento: in questo caso abbiamo quella che i greci chiamavano "stasis", che significa resistere, insistere nella posizione di potere quale essa è, mantenere lo status quo e non consentire i necessari mutamenti nelle strutture della rappresentanza governativa, col risultato di provocare una sollevazione.
Al fenomeno della "stasis" si contrappone così il fenomeno della "metabole", cioè del mutamento violento. Nell'ambito di ogni area di civilizzazione si manifesta una quasi naturale legge di successione delle forme di governo e dei regimi, che è stata messa in luce anche essa dai filosofi classici. Per esempio, in condizioni di vita relativamente primitive e in comunità relativamente piccole, si può avere la monarchia; ma, quando il livello di civilizational saturation cresce per effetto del diffondersi dell'educazione, riesce difficile mantenere in vita la monarchia, la quale cede il posto all'aristocrazia, perché risultano molto più largamente diffuse le qualità necessarie alla gestione del potere in un più avanzato stadio di civilizzazione; e quando si perviene a un considerevole grado di interdipendenza, per effetto dello sviluppo delle tecniche militari, dell'attività economica, degli scambi, ecc., allora inevitabilmente tutte le categorie impegnate nel funzionamento di questo sistema di interdipendenza pretendono di partecipare alla gestione del potere, e così danno vita a un regime di tipo democratico.
Questa è dunque la concezione classica della rivoluzione, rimasta sempre valida attraverso i tempi: essa fu elaborata e messa a punto dai classici ed ha avuto continuità storica attraverso il rilancio di nuove formulazioni, l'uso di nuovi materiali storici e la sua rielaborazione moderna ad opera di Machiavelli, di Vico, di Mosca e di Pareto che hanno messo in luce nuove forme di mutamento e di successione delle élites. E' una branca dello studio dei fenomeni politici alla quale si sono dedicati soprattutto pensatori italiani, probabilmente per il fatto che in Italia, data l'emergenza di un gran numero di Stati-città, tutti i fenomeni di mutamento e di successione delle élites si sono potuti osservare prima e più frequentemente che nei grandi Stati territoriali come la Francia, la Gran Bretagna e la Germania. Certo si è, comunque, che, sotto questo profilo particolare, la continuazione della dottrina politica classica è di marca specificamente italiana.
Il complesso classico resta, in genere, alla base di tutte le rivoluzioni anche oggi: quando si registrano nuovi balzi innanzi in fatto di progresso e di civilizzazione in generale, quando si registrano mutamenti nella struttura sociale per l'applicazione di nuove tecniche militari o economiche, si determinano mutamenti di governo e tali mutamenti, se non avvengono per via pacifica, si realizzano per via di esplosioni rivoluzionarie.
Ma, a questa base tradizionale, a questo "strato" classico sì è sovrapposto uno strato radicalmente diverso di motivazioni rivoluzionarie. Tutte le motivazioni fin qui elencate si riferiscono soltanto alla struttura pragmatica, economica, personale, sociale degli esseri umani; ma c'è anche un'altra area, quella della loro struttura spirituale e questa struttura spirituale degli uomini e le motivazioni che, nell'ambito di essa, determinano situazioni rivoluzionarie sono maturate nel contesto della storia israelitica, giudaica e cristiana (3) e, grazie alla continuità del cristianesimo e alla funzione di rilancio delle tradizioni rivoluzionarie esercitata specialmente dalle sette medioevali, questa particolare "carica" rivoluzionaria si riscontra come componente essenziale in tutte le rivoluzioni moderne (4).
Cercherò ora di illustrare brevemente ciò che caratterizza questo complesso giudeo-cristiano della rivoluzione. Non posso qui passare in rassegna l'intera storia di Israele, ma devo limitarmi a enuclearne quei fattori che si riscontrano attivi nelle situazioni rivoluzionarie attraverso i tempi fino ai giorni nostri. Al primo di questi fattori di importanza generale ho tecnicamente dato il nome di "metastasi". Con il termine di metastasi mi riferisco alla antica credenza dei profeti che, con la fede in Dio, fosse possibile cambiare la struttura della società e della storia e tutte le regolarità della condotta pragmatica della politica.
Un esempio tipico di prospettiva metastatica ci è offerto dal profeta Isaia, il quale disse al re di Giuda, che stava ispezionando le mura di Gerusalemme e i serbatoi d'acqua per predisporre la città in vista di un assalto dell'esercito nemico, che non doveva preoccuparsi delle mura e dei serbatoi d'acqua, ma soltanto aver fede in Dio. Perché, se aveva fede in Dio, allora, grazie all'intervento divino, i nemici sarebbero stati travolti da un panico mistico o dall'esplosione di un'epidemia che avrebbe loro impedito di combattere. Si sarebbe insomma verificato un miracolo. Così la fede e la fiducia in Dio avrebbero consentito al popolo eletto di uscire vittorioso dalla guerra, senza che si dovesse tener conto degli svantaggi pragmatici determinati dal fatto che l'esercito nemico era infinitamente superiore, meglio equipaggiato e che Gerusalemme era una piccola città, non adeguatamente fortificata, e così via. Orbene, a questa credenza in un mutamento nella struttura della società e della storia, capace di cambiare il corso degli eventi, ho dato il nome di metastasi: la fede metastatica implica la convinzione nella possibilità di un mutamento nella natura degli uomini e nella struttura della società e della storia, onde, per effetto di un miracolo, i credenti usciranno vittoriosi dal confronto con i loro più potenti nemici. Ma una metastasi, un mutamento metastatico nella natura degli uomini non si. è mai verificato nella storia: noi non abbiamo esperienza alcuna di un evento del genere. Nella situazione illustrata, il profeta Isaia cercava di convincere il re di Giuda, ma il re di Giuda, che era un pragmatico e non credeva nel miracoloso intervento divino, preparò il suo esercito, fortificò le mura, riparò i serbatoi d'acqua, onde far fronte all'urto imminente (5).
Alla fine Gerusalemme cadde e l'esperienza della caduta di Gerusalemme, nel 586, ebbe considerevoli conseguenze per questa interpretazione della struttura della storia, perché, nei successivi due o tre secoli, emerse un nuovo tipo di interpretazione degli eventi politici che possiamo designare col termine di "apocalittica". Una interpretazione apocalittica della storia procede lungo queste linee: i sistemi di potere che risultano operanti nella storia sono gli imperi (l'impero babilonese, l'impero egiziano, l'impero assiro, l'impero persiano, l'impero greco) e la politica è fatta esclusivamente da questi potenti imperi. Orbene, in questa struttura della storia, che è determinata dal potere degli imperi, il popolo eletto non ha alcuna possibilità di successo. Perciò, la vita nel mondo e la politica del mondo si identificano con un potere che è spoglio di giustizia e, se una vittoria della giustizia dovesse verificarsi nell'ordine degli imperi nella storia, essa potrebbe avvenire soltanto per effetto di uno speciale intervento divino.
La differenza tra il precedente atteggiamento profetico della metastasi e l'interpretazione apocalittica sta in ciò, che nel precedente atteggiamento profetico dell'VIII secolo, di Isaia, il re doveva credere; ma, nel frattempo, il popolo di Israele aveva sperimentato che non bastava aver fede e fiducia in Dio, perché, nonostante ciò, il più potente esercito degli Assiri e dei Babilonesi era riuscito vittorioso. Insomma, la fede non è di aiuto: fede o non fede, si può solo aspettare che l'intervento divino si compia. Quella che talvolta oggi si chiama la realtà di potere della politica, cioè la concezione apocalittica, non era esistita prima di allora, prima del II secolo a.C.; d'altra parte, la concezione per cui la politica è potere e nient'altro che potere non è affatto una concezione specificamente moderna, ma una concezione antica, una concezione apocalittica, specificamente israelitico-giudaica, che dispera totalmente di vedere realizzarsi, per effetto dell'azione umana nel mondo, un ordine giusto e aspetta l'attuazione di un ordine giusto nel mondo per opera di uno spirituale, miracoloso intervento della divinità.
Quest'attesa apocalittica del II secolo a.C. andò pur essa delusa, perché nulla avvenne di ciò che si attendeva e, dopo la breve rinascita di Giuda sotto i Maccabei, il regno fu riconquistato e cadde infine in mano romana. Perciò, la fede apocalittica, cioè l'attesa che presto siffatto intervento divino avrebbe avuto luogo e il potente impero sarebbe stato spazzato via, si spense, cedendo il posto alla nuova fede, quella cioè del distacco dal mondo, della secessione dalla realtà, in base alla premessa che il giusto ordine non può essere in alcun modo realizzato su questa terra, neppure per effetto dell'intervento divino; e, quindi, la sola possibile reazione all'ingiustizia della storia, della politica, della società, al ruolo degli imperi, è l'evasione dal mondo attraverso una speciale conoscenza salvifica, una speciale conoscenza che rende possibile la salvezza della propria anima spirituale in un mondo che è oltre il mondo.
Questa speciale conoscenza che rende possibile l'evasione dalla realtà del mondo è la "gnosi". Il movimento gnostico ebbe origine approssimativamente nel I secolo a. Cristo e continuò poi, sotto varie forme, fino al IV secolo d. Cristo (6). Questa credenza gnostica, questa attesa di una evasione dal mondo attraverso una speciale conoscenza della salvezza, è rimasta una componente essenziale della struttura sociale, dal tempo di Cristo ai nostri giorni.
I vettori di questa conoscenza, che cambia nei dettagli a seconda del contesto di cultura in cui si manifesta, sono stati i movimenti delle sette gnostiche, attivi dall'antichità fino al Rinascimento. Gli anelli principali della catena sono stati per la prima volta descritti dal Gibbon nella sua opera Decline and fall of the Roman Empire: si comincia con le sette gnostiche che nell'VIII secolo si uniscono all'Islam nella lotta contro l'impero bizantino; quindi, si passa nei Balcani, dove operano i Bogomili; poi, questo movimento settario si diffonde in Italia, e uno dei maggiori centri del movimento eretico di questo tipo di politica gnostica è Milano; successivamente si propaga nella Francia del Sud e quindi in Inghilterra nel periodo che precede la Riforma (7).
Abbiamo, dunque, un'ininterrotta catena di movimenti settari, nel periodo preriformistico, nei quali la componente gnostica risulta in un modo o nell'altro presente. Un importante filone secondario di questi movimenti settari, come, ad esempio, il movimento di Gioacchino da Fiore, era in pieno vigore agli inizi della Riforma. Si tratta, dunque, di una corrente continua che, a un certo momento, diventa clandestina, finché confluisce nei moderni movimenti rivoluzionari del XVIII secolo, secolarizzandosi (8).
Cerchiamo, a questo punto, di precisare meglio in che cosa consistano e per che cosa si differenzino tra loro la reazione apocalittica e la reazione gnostica. La reazione apocalittica è l'attesa che, per effetto di un intervento divino, un ingiusto ordine del mondo sarà mutato in un giusto ordine della storia; l'atteggiamento gnostico è caratterizzato dalla convinzione che non ci sarà mai un giusto ordine della società nella storia e che, quindi, ci sono regole di condotta per evadere dalla realtà del mondo in un mondo spirituale aldilà: queste ricette salvifiche sono caratteristiche dei movimenti gnostici.
Entrambi questi elementi, oltre agli elementi fondamentali classici, si riscontrano nelle rivoluzioni moderne, sulle quali concentrerò ora la mia analisi. Il maggior mutamento nella forma delle rivoluzioni moderne o dei movimenti intellettuali con implicazioni rivoluzionarie (si pensi a Condorcet, Comte, Marx), è rappresentato dall'elemento metastatico e dall'elemento gnostico, fattori costanti in tali rivoluzioni e movimenti. Che si tratti di Condorcet, di Comte o di Marx, si riscontra in tutti l'aspettazione che nella storia del mondo sarà raggiunto uno stato di perfezione con un perfetto ordine della società, in cui la natura degli uomini sarà trasformata in maniera tale che tutte le passate cause di ingiustizia scompariranno. Dunque, l'attesa di un regno finale perfetto è la caratteristica di tutte queste costruzioni ideologiche. Ma, oltre a questo elemento metastatico, c'è anche un elemento gnostico per il fatto che, per poter pervenire a questo stato perfetto della società, bisogna conoscere la via da seguire, o favorendo la lenta e pacifica emergenza di quei fattori della situazione presente che porteranno progressivamente all'instaurazione dell'ordine nuovo, o ricorrendo all'azione violenta, per cui l'avvento del regno della perfezione si compie per effetto di un piano rivoluzionario. Questa conoscenza delle ricette della salvezza è l'elemento gnostico (9).
Ma non si tratta affatto di una gnosi di evasione dalla realtà; la metastasi è attesa come un mutamento nella natura degli uomini, nella struttura della società e della storia nel mondo terreno: non nell'aldilà, ma proprio in questo mondo della storia. Dunque, una trasformazione totale per cui l'esistenza diventa perfetta grazie all'applicazione di una ricetta umana che richiede l'azione umana: questa è la componente essenziale entrata nelle moderne costruzioni ideologiche della storia. E questa peculiare combinazione della componente metastatica, che in origine presupponeva un mutamento per mezzo della fede, con la componente apocalittica di un mutamento nella struttura della storia, e con la componente gnostica di una ricetta sul modo di realizzare il mutamento nella storia, costituisce la miscela esplosiva delle rivoluzioni moderne. Per la presenza di questa miscela esplosiva, le rivoluzioni moderne si differenziano dalle vecchie rivoluzioni dei tempi classici e anche da tutte le rivoluzioni settarie dei vecchi movimenti di tipo gnostico o apocalittico, perché nessuna di quelle rivoluzioni si proponeva di cambiare alcunché nella struttura del mondo per mezzo dell'azione dell'uomo (10).
Questa miscela esplosiva si combina con i fattori realistici di tipo classico. Persistono tuttora gli stessi problemi relativi al mutamento delle forme costituzionali in un ciclo di civilizzazione: nella moderna civilizzazione occidentale persistono gli stessi problemi che si riscontrano nella civilizzazione cinese dell'antichità o nella civilizzazione di Platone o di Aristotele; persiste il problema per cui, in seguito ai fenomeni di civilizational saturation, diventano necessari mutamenti nella struttura sociale e nelle forme costituzionali, e tali mutamenti, se vengono ostacolati, si realizzano per via di azioni rivoluzionarie nell'ambito della sfera sociale. Ma tutti questi eventi politici di natura meramente pragmatica che si ritrovano a livello classico sono ora complicati ed esasperati dall'aggiunta della miscela esplosiva or ora accennata.
L'essenziale caratteristica di questa miscela esplosiva è che un mutamento nella natura degli uomini e della società può essere prodotto dalla violenza, o si presume possa essere prodotto dalla violenza. Quest'elemento della violenza non è molto antico: apparve per la prima volta nel XV secolo, quando una setta di tipo apocalittico pensò di intraprendere una guerra, al fine di realizzare un regno di perfezione sulla terra. Abbiamo un'altra analoga setta apocalittica di tipo gnostico, con ricorso alla violenza, per la prima volta in Inghilterra durante la rivoluzione puritana (11), quando si riscontra un frequente richiamo all'Apocalisse di Giovanni come documento di legittimazione della rivoluzione, con la sola variante che nell'Apocalisse di Giovanni è un angelo del Signore che discende dal cielo a sbaragliare il nemico e ad instaurare il regno della perfezione, mentre nella rivoluzione puritana l'angelo del Signore è sostituito da Cromwell e dal suo esercito. Una variante analoga si riscontra in Marx: in luogo dei mutamenti normali a livello pragmatico, viene introdotto un angelo terreno (in questo caso il proletariato) capace di realizzare il regno della perfezione.
Fermiamoci un momento su un punto che, nella interpretazione delle rivoluzioni moderne, non è ignoto, ma tuttavia non nel senso che il pubblico in genere ne sia al corrente. Marx troppo spesso passa per un pensatore isolato. In realtà, Marx non è un pensatore isolato, ma un pensatore tedesco che si inserisce con continuità nel filone dei pensatori del XVIII e XIX secolo; per comprendere Marx, è estremamente utile leggere la famosa prolusione di Schiller sulla storia. Schiller tenne questa prolusione inaugurale sul significato e sul fine della storia a Jena, negli anni della Rivoluzione Francese. In tale occasione egli si propose di tracciare un quadro complessivo della storia universale, compiendo un tentativo che successivamente sarebbe stato compiuto anche da Marx, con la differenza, però, che, mentre per Marx l'elemento determinante è il proletariato, per Schiller, invece, l'elemento determinante è la classe media, quella cioè che svolge attività industriale e commerciale (12).
Orbene, perché mai questa classe media in Germania sente il bisogno di sviluppare una concezione di storia universale? Per tale concezione Schiller intende una costruzione della storia capace di armonizzare il significato generale della storia con le idee razionali della classe media. Si tratta di costruire la storia sotto la specie di un movimento perenne che giunge significativamente al suo culmine nelle attività svolte dalla classe media. Questa costruzione della storia viene tentata perché la classe media si senta a suo agio: essa si sente importante e vuoi essere e sentirsi partecipe del corso significativo della storia. Schiller afferma che l'uomo della classe media ha bisogno di una siffatta costruzione razionale della storia per sentirsi partecipe del corso della storia, di una storia che deve avere un significato, perché solo in questo caso tutta la sua vita acquista un senso.
Ma perché mai la vita acquista un senso solo se ci si sente partecipi di questo corso della storia? A questa domanda Schiller risponde: l'uomo della classe media ha bisogno di un credo siffatto, che conferisce senso e importanza alla sua esistenza e alla sua attività, perché non crede più nell'immortalità. La costruzione di un corso storico, dunque, è il surrogato dell'immortalità e in esso l'uomo della classe media si immerge, invece di immergersi nell'illusoria immortalità della vecchia fede cristiana. Schiller, dunque, ha chiaro in mente un aspetto essenziale del problema, quando afferma esplicitamente che a credere nel senso della storia è un gruppo sociale che ha perduto la fede. In Marx, il ruolo che Schiller attribuisce alla classe media è attribuito al proletariato: anche il proletariato è costituito da persone che hanno perso la fede e che conferiscono rilevanza e significato alla propria vita realizzando una rivoluzione che sarà il punto culminante di tutto il corso della storia e porterà a salvazione il genere umano nella sua interezza (13).
Le stesse idee di Schiller si ritrovano in Kant. Ma Kant era convinto che, anche se riusciamo a dare un senso alla storia e a costruire una storia per la classe media, tuttavia non possiamo non restare sconcertati di fronte al quadro generale che abbiamo tracciato, perché quale profitto mai ritrarrebbero tutte le generazioni che sono vissute prima di noi dal fatto che hanno contribuito a una gloria che non è neppure nostra, ma che nel corso degli eventi sarà la gloria delle future generazioni? Che profitto ricavo io dal fatto di essere partecipe di un processo che culminerà nel perfetto regno della ragione in un indeterminato futuro? Assolutamente nessuno! Kant aveva visto con chiarezza che nessuna costruzione della storia può risolvere il problema di una filosofia critica della storia. Che senso ha l'esistenza delle precedenti generazioni? Kant parla di loro "contributi al progresso moderno", ma esse non traggono alcun profitto da questi contributi. Insomma, una costruzione della storia è completamente insensata se non risponde alle esigenze del senso comune e alle domande di sempre: che fine perseguivano le generazioni precedenti, che fine perseguono le generazioni seguenti e che profitto traggono dal fatto che la storia abbia un senso? La risposta è: esse non traggono profitto alcuno! Kant su questo punto non ha dubbi. Schiller, invece, viveva già nell'illusione della creazione di quella che oggi si dice una seconda realtà, con la differenza, tuttavia, che, per lui, la costruzione di una seconda realtà rappresenta un'illusione soddisfacente per un uomo che ha perso la fede.
Insisto particolarmente su questo punto, perché uno dei più importanti aspetti della crisi che attraversano i paesi dell'Europa Orientale è oggi la crisi nella quale si dibattono gli intellettuali socialisti i quali hanno scoperto che il più perfettamente realizzato marxismo-leninismo non risolve il problema del significato della vita e della morte personale. In questi casi, l'esistenza di un partito socialista non è di alcun aiuto: io vivo ora; io muoio ora e il partito non ha senso in termini di vita eterna. Insomma, il problema della morte, e il problema dell'immortalità che gli è connesso, continua a riproporsi in tutto il suo peso anche quando si realizzano concretamente cedesti sistemi ideologici. La questione, come si è visto, era già stata dibattuta nel secolo XVIII. Schiller è un pensatore quanto mai interessante: egli aveva coscienza del fatto che si può costruire un senso della storia tanto più facilmente quanto meno si conoscono i fatti. Quanto maggiori sono le lacune della nostra conoscenza, quanto meno sappiamo, tanto meglio si può costruire un quadro generale; e, inversamente, quanto più si conosce, tanto più difficile riesce costruirlo.
Affrontiamo ora un problema di fondamentale importanza per i nostri tempi. Le varie costruzioni ideologiche della storia che si sono imposte politicamente e storicamente, come quello di Comte, di Hegel, di Marx, sono tutte superate, invecchiate perché noi oggi conosciamo molti aspetti della storia che erano ignoti all'epoca in cui quelle costruzioni furono realizzate. Da ciò trae origine l'accennato problema, fondamentale per la società, non solo per quella socialista, ma per ogni società, per esempio anche per quella americana, nella quale predominano le correnti sociologiche che si ispirano al positivismo, al behaviorismo, al positivismo logico, ecc.
Il problema non è quello di conoscere lo sviluppo delle scienze storiche da Marx in poi, perché se si prende cognizione di tutto ciò che oggi conosciamo della storia, non si può più credere né nel positivismo, né nel marxismo, né in alcun'altra delle costruzioni ideologiche della storia: si tratta, infatti, di puri non-sensi in termini di storia critica.
Quindi, una delle caratteristiche delle rivoluzioni moderne (e intendiamo per moderne quelle del secolo XX in contrapposizione a quelle dei secoli XVIII e XIX) sta nel fatto che, per mantenere in piedi un regime a base ideologica, si devono sviluppare speciali tecniche per non conoscere i fatti della storia (14).
Ciò non è sfuggito ai più acuti pensatori del XX secolo. Sartre, per esempio, nel suo L'Essere e il Nulla, nel capitolo sulla "malafede" ha rivolto speciale attenzione al fatto che, per vivere in quel certo stato mentale che è caratteristico degli ideologi, si deve sviluppare una facoltà speciale per non conoscere i fatti che contrastano con le illusioni che si nutrono a proposito della realtà: a questo fenomeno egli dà appunto il nome di malafede. Quello della malafede, nel senso dell'analisi sartriana, è un problema tipico dell'atteggiamento degli ideologi del XX secolo, mentre non era un problema, per esempio, per Schiller o per Engels, perché costoro non sapevano, sulla storia, più di quanto mostravano di conoscere. Ma oggi che sappiamo più di quanto essi sapevano, le ideologie non possono più resistere sulla base di questo contrasto.
Di qui il nuovo fenomeno della malafede, con tutte le negative conseguenze d'ordine mentale e psichico che ne derivano, dovute al fatto che, naturalmente, la gente che vive in malafede sa di vivere in malafede e ha coscienza di tutti i problemi che tuttavia vuol ignorare e di cui non vuoi ammettere l'esistenza. Si tratta di un problema complesso, che non è stato ancora scandagliato in tutti i suoi aspetti, ma che, in certi casi, ha già raggiunto il livello della pubblica consapevolezza, anche se è ancora una consapevolezza appena incipiente. Il capitolo di Sartre sulla malafede è estremamente interessante, proprio perché Sartre stesso vive nella più assoluta malafede per quanto riguarda il suo atteggiamento verso il socialismo. Infatti, non è possibile fornire una così perfetta analisi della malafede e, nello stesso tempo, esserne una vittima. Sartre, a un certo livello, vive nella malafede che poi analizza ad un altro livello: il suo è un caso che solleva nuovi problemi per quanto riguarda la struttura del XX secolo, per esempio il problema della menzogna multipla, espressione con la quale intendiamo riferirci alla situazione per cui si può dire una menzogna ad un certo livello, sapendo che si tratta di un falso alla luce delle cose che si conoscono ad un altro livello. E' necessario disporre di un complicatissimo sistema di menzogna e di verità per mantenersi a galla in qualche modo nella realtà effettuale in cui si vive. Si tratta di un problema pratico che si pone a tutti gli ideologi ad ogni livello. Io ho spesso incontrato studiosi i quali sanno perfettamente che ciò che dicono è un non-senso, ma nondimeno persistono a usare clichés ideologici.
In conclusione, una rivoluzione può trarre origine o dal piano della politica pragmatica o da ragioni spirituali o da una combinazione della prima e delle seconde. A questo punto si impone un breve richiamo al complesso problema dell'alienazione. L'alienazione è diventata molto popolare attraverso Marx ed Engels, ma si tratta di un fenomeno antichissimo, come pure antichissima ne è la terminologia. Evidentemente, sconvolgimenti dell' assetto pubblico tali da determinare situazioni in cui non ci si trova più a proprio agio e ci si sente privati di una propria funzione nella società si sono verificati prima del XIX secolo.
Su questo fenomeno dell'alienazione, pur senza l'uso di questo termine, disponiamo di una descrizione che risale all'Egitto del III millennio a.C.: si tratta di una descrizione dettagliata dei vari aspetti dell'alienazione, compresa la ricetta per sottrarvisi. Lo stesso problema si pose nel periodo apocalittico. Con il trionfo degli imperi e con la perdita dell'indipendenza politica e dell'autonomia nazionale delle varie comunità nazionali e la loro riduzione a province di più vasti aggregati politici, coloro che erano membri di queste comunità sono ridotti senza patria, privati di pubblica rappresentanza, spogliati di ogni funzione in quanto cittadini politici, perché l'amministrazione imperiale è subentrata ai vari governi, ecc. E si ripresenta così sempre lo stesso fenomeno dell'alienazione. In una situazione siffatta incontriamo per la prima volta nelle opere di Piotino il termine di allotriosis: dunque, già nel III secolo d.C. il termine di alienazione comincia a imporsi con riferimento ai problemi specifici di una particolare situazione storica e a entrare nell'uso.
Esattamente lo stesso problema si pone quando si verifica una rivoluzione industriale che disgrega le comunità agricole e provoca massicci moti migratori. Insisto su questo punto, perché molto spesso il problema dell'alienazione nell'opera di Marx è così strettamente connesso con i fenomeni e gli squilibri della società industriale, che si finisce col dimenticare che la società industriale e la posizione dei proletari non hanno assolutamente niente a che fare, in senso specifico, con l'alienazione: esattamente gli stessi fenomeni di alienazione si possono verificare in ogni altra struttura sociale, anche indipendentemente dall'industrializzazione, per effetto di generali squilibri dell'ordine politico; non c'è assolutamente alcuna differenza fra i fenomeni di alienazione del III millennio a.C. in Egitto e i fenomeni di alienazione in un quartiere operaio di una città industriale del XX secolo in Europa e in America. E ai problemi dell'alienazione non offre alcuna prospettiva di soluzione l'instaurazione di un regime socialista: essi si possono risolvere solo gradualmente, attraverso un processo di stabilizzazione della società, che consenta agli individui, sradicati dalle loro posizioni tradizionali, di ritrovare un posto e una funzione nell'ambito della nuova struttura costituzionale di carattere permanente.
Ma questa è solo una dimensione del problema: l'altra dimensione — anch'essa toccata da Marx — è quella spirituale e a questo proposito va segnalata la peculiare involuzione subita dal problema classico dell'alienazione, involuzione che mette in evidenza, anche sotto questo profilo, la struttura tipica delle rivoluzioni moderne. Infatti, Marx segue, nella sua psicologia dell'alienazione, Feuerbach, il quale aveva elaborato la teoria che tutte le idee religiose, l'idea di Dio e il senso della vita in relazione a Dio, sono proiezioni dell'anima umana (fatto significativo: questo termine di proiezione è stato fatto proprio successivamente dalla psicanalisi). Ma Marx, come pensatore, era di statura nettamente superiore a Feuerbach e a Freud. Egli pensava: se Dio è il prodotto di una proiezione dell'anima umana, allora, per riportare a normalità quest'ultima, non c'è altro da fare che ricondurre la proiezione di Dio all'interno dell' anima umana e rendere Dio l'uomo stesso (16).
L'idea del superuomo, come risultato di tale operazione inversa — prima, la proiezione di Dio all'esterno, che produce il male dell'alienazione dell'uomo da se stesso e poi l'atto per cui l'uomo riporta in se stesso l'oggetto di questa proiezione che è Dio, cioè l'atto per cui l'uomo si trasforma in uomo-Dio, — l'idea del superuomo ci viene dunque da Marx. Questa è la concezione marxiana dell'alienazione spirituale, che è naturalmente diversa dalla concezione classica dell'alienazione che si ritrova già in Platone, anche se Platone non fa uso del termine specifico. L'alienazione in questo nuovo senso implica perdita della fede in Dio, perdita di contatto con Dio. Ma non si può restaurare un'autentica relazione con Dio riconducendo Dio dentro di noi, identificandolo con la nostra propria persona e negandogli un'esistenza autonoma. Dunque, la costruzione del superuomo, muovendo dalla psicologia della proiezione e invertendo la proiezione stessa, è il presupposto della peculiare costruzione di Marx, presupposto poi divenuto proprietà comune di tutte le ideologie moderne e, specialmente in America, di quella che è l'ideologia di quanti si definiscono intellettuali.
Gli intellettuali in America non si definiscono più esplicitamente come marxisti o positivisti o psicanalisti e così via, ma, a qualunque ideologia si richiamino, ciò che li accomuna e in cui tutti concordano, è la negazione di qualsiasi realtà al di fuori dell'uomo e la riduzione della realtà divina all'uomo stesso. La realizzazione del superuomo ne è, insomma, il denominatore comune. Naturalmente, ciò comporta serie conseguenze di disordine mentale che, per gli intellettuali americani, sono esattamente le stesse che per i migliori intellettuali russi, quelli cioè che sono spiritualmente più sensibili.
In America esiste oggi un movimento estremamente interessante, del quale fanno parte anche personalità del mondo accademico: si tratta del movimento "Dio è morto" che si ricollega ad una precedente fase dello stesso movimento affermatesi in America al tempo del romanticismo e del marxismo in Europa. Il fenomeno è interessante per la considerevole estensione che presenta: infatti, lo stesso tipo di movimento si riscontra, oltre che in America, anche nell'ambito dei paesi dell'Europa Orientale. Questo parallelismo è significativo in un'epoca nella quale le ideologie sono entrate in crisi e nuovi problemi sorgono. I fenomeni patologici che ne derivano diventano visibili in movimenti di questo tipo, nettamente caratterizzati.
Un altro movimento analogo, che ho avuto occasione di osservare recentemente, è il cosiddetto movimento LSD: l'uso degli allucinogeni, nell'ambito di esso, ha lo scopo di provocare, con mezzi tecnici, percezioni di realtà illusorie per colmare il vuoto determinato in tutto il campo delle esperienze spirituali dal lungo predominio, nell'insegnamento accademico, del marxismo, del positivismo, della psicanalisi, e così via. Si potrebbe, insomma, concludere affermando che, se per Marx la religione è l'oppio dei popoli e se per Aron il marxismo è l'oppio degli intellettuali, siamo ormai giunti al punto che oggi la gente preferisce prendere l'oppio allo stato puro. La disgregazione delle costruzioni ideologiche, con il vuoto che determina, da luogo a fenomeni patologici di questo tipo.
Note
(1) Cfr. ARISTOTELE, Politica, Laterza, Bari 1972, specie V e VIII libro; ID., Etica nicomachea, commento a cura di G. Reale, Loffredo, Napoli 1978, 1. X. Sulla politica dello Stagirita, cfr. W. L. NEWMAN, The politics of Aristotle, 4 vv., Oxford 1902.
(2) Cfr. ARISTOTELE, Politica, ed. cit., 1. V, c. 2.
(3) Cfr. E. VOEGELIN, Configurazioni della storia, in Trascendenza e gnosticismo, Astra, Roma 1979.
(4) Cfr. E. VOEGELIN, La nuova scienza politica, Boria, Torino 1968; ID., Il mito del mondo nuovo, Rusconi, Milano 1978. Come durante i primi secoli dell'era cristiana sorsero, ai margini della Cristianità, certe eresie millenaristiche tipiche dei "tempi forti", così, in coincidenza con l'avvento dell'anno mille dopo Cristo, alcune sette tardomedioevali riproposero la tematica chiliastica e sovversiva dell'avvento del nuovo mondo divinizzato. Cfr. G. BAKDY, art. Millenarisme, in Dictionnaire de Théologie Catholique, v. X, coll. 1700-1763; N. COHN, I fanatici dell'Apocalisse, Comunità, Milano 1976; K. LOEWITH, Significato e fine della storia. Comunità, Milano 1972; J. TALMON, Political Messianism, Praeger, New York 1960; R. KNOX, Enthusiasm, Clarendon Press, Oxford, 1950; R. MANSELLI, Studi sulle eresie del XII secolo, Ist. .Storico per il Medioevo, Roma 1972.
(5) A onor del vero, ci sembra che qui Voegelin sia passibile di una critica: egli tende a confondere la concezione (biblica), del miracolo — cioè l'"eventus sensibilis praeter communem cursum naturae, divinitus factus" (cfr. AA.VV., Sacrae theologiae summa, B.A.C., Madrid 1962, v. I, c. II, pp. 161-3) che è semplice sospensione momentanea, a fin di bene, delle leggi di natura che però restano tali — con la concezione rivoluzionaria (d'origine ebraica post-biblica, cioè gnosticheggiante) della possibilità-necessità del superamento definitivo di ogni legge di natura al fine della creazione di un nuovo mondo cosmico; tra queste due concezioni nessuna parentela è possibile. Cfr. M. LÉPICIER, Le miracle, Paris 1936; A. ZACCHI, Il miracolo, Milano 1943.
(6) Nato con carattere speculativo, lo gnosticismo si è poi applicato al campo sociale diventando ben presto, specie dalla fine del medioevo, immanentista e rivoluzionario. Cfr. S. IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, rist. Ed. Cantagalli, Siena 1972; E. DE FAVE, Gnostiques et gnosticismo, Paris 1925; H. JONAS, The gnostic religion, Beacon Press, Boston 1963; ID., Gnosis und Spaetantiker Geist, 1954; J. TAUBES, Abendlaendische Escatologie, 1947; E. VOEGELIN, Il mito del mondo nuovo, cit.; T. MOLNAR, L'utopia, eresia perenne. Borla, Torino 1968.
(7) E' interessante vedere come il pensiero gnostico, già verso la fine del medioevo, si trasformi in movimento rivoluzionario, nella convinzione che il modo migliore per liberarsi dal mondo materiale (ritenuto maligno) sia quello di redimerlo, purificandolo con l'azione rivoluzionaria vuoi dei singoli, vuoi delle collettività. Abbiamo così, tra il 1,100 e il 1500, gli sconvolgimenti sociali crescenti causati da gioachimiti, bogomili, amauriani, fratelli del libero spirito, albigesi, etc., fino ai seguaci di Wycliff e di Huss, che precorsero quella rivolta dei contadini che scoppiò, durante la Riforma, in Germania, e che fu alimentata dal protestante Muentzer, e fino all'esperimento anabattista di Muenster. Cfr. N. COHN, op. cit.; J. TALMON, op. cit.; R. KNOX, op. cit.; W. WATTENBACH, Ueber die Sekte der Brueder von freien Geiste, in Sitzngsberichte der K. preussischen Akademie der Wissenschaften, Berlin 1887, v. XXIX, pp, 517-544; H. HAUPT, Die religioesen Sekten in Franken, Wurzburg 1882; K. SCHMIDT, Histoire et doctrine de la secte des Cathares, 2 vv., Paris 1894; J. STACEY, J. Wycliff and Reform, London 1964. Per alcuni testi dell'epoca, si veda ad es. ECKBERT VON SCHOENAU, Sermones contra Catharos, in Patrologia latina, Migne, v. CXCV; J. WYCLIFF, Tractatus de civili dominio, ed. Poole, London 1885; T. MUENTZER, Politische Schriften, Hinrichs, Halle 1950.
(8) Al tema dei movimenti gnostici secolarizzati è dedicato proprio il già citato Il mito del mondo nuovo, dello stesso Voegelin.
(9) Cfr. L. PELLICANI, I rivoluzionari di professione, Vallecchi, Firenze 1976; T. MOLNAR, op. cit. Com'è noto, in Condorcet l'aspirazione messianica al "regno della libertà" è sostenuta dalla fede in un progresso scientifico graduale dell'umanità determinato da leggi rigorose; essendo però la perfettibilità dell'uomo indefinita, questo progresso può essere accelerato dagli uomini stessi al fine di realizzare presto la piena e definitiva eguaglianza sociale, prodotta soprattutto dalla tecnologia avanzata, che saprà rendere l'uomo addirittura immortale. Come si vede, il vecchio mito millenaristico è qui secolarizzato e fondato non su Dio ma sulla Scienza; sulla Scienza, beninteso, come gnosi salvifica che non redime più nell'altra vita, ma in questa: la palingenesi è immanente. Gli ambienti nei quali l'influenza esercitata da queste idee, in forma sempre più secolarizzata, svela che - da Condorcet a Saint-Simon e a Comte, fino a Marx – lo stesso Condorcet era affiliato (assieme a Voltaire, D'Alembert, Helvétius e Franklin) alla loggia massonica "Les Neuf Soeurs"; che Saint-Simon, oltre ad aver avuto D'Alembert come precettore, aveva aderito alla settadella Teofilantropia, ed aveva fondato egli stesso alcuni circoli di filosofi-tecnici per l'edificazione della nuova "Repubblica Universale"; che appunto in uno di questi circoli si formò dottrinalmente e spiritualmente Auguste Comte; e che Marx, infine, fu influenzato dalle società operaie saintsimoniane e dalla setta passata alla storia col nome di "Lega dei Giusti", cui Marx ed Engels aderirono (1842-1844) e che poi trasformarono nella "Lega dei Comunisti" (1845).
(10) La Rivoluzione Francese ebbe la convinzione millenaristica di essere l'attuazione storica del "regno della libertà", ed ebbe perfino le sue profetesse e i suoi "miracoli", e volle rivoluzionare anche il calendario, tanto che il 1789 diventò l’Anno Primo della nuova era, e tutti i secoli che l'avevano preceduto caddero nella "preistoria". (Cfr. P. GAXOTTE, La rivoluzione francese, Rizzoli 1964). Lo stesso accadde durante la Rivoluzione socialista del 1917. Si tratta di casi tipici di "immanentizzazione dell'eschaton cristiano", in cui la Rivoluzione sostituisce la Grazia e l'uomo "totale" (o il superuomo, o l’Umanità) sostituisce Dio. L'errore che suggerisce — remotamente— agli uomini dotti questi squilibri intellettuali è quello panteista, unito qui a quello chiliastico. Cfr. M. LIBERATORE, Cursus philosophiae, Marietti, Torino 1864, e T. CALMEL, Per una teologia della storia. Borla, Torino 1967.
(11) Voegelin si riferisce qui all'ala estrema del movimento puritano, cioè agli "uomini del Quinto Potere": cfr. La nuova scienza politica, cit., e Trascendenza e gnosticismo, cit.
(12) Cfr. N. MERKER, Alle origini dell'ideologia tedesca, Laterza, Bari 1977.
(13) Sono surrogati ai quali l'uomo moderno ricorre allorché non riesce più a sostenere la tensione psicologica e l'impegno morale che gli sono imposti dalla fede nelle realtà spirituali e trascendenti (anima, Dio) per cui egli preferisce ripiegare nell'assolutizzazione (mistificante) delle reatà terrene, esaurendosi nella problematica meramente umanistica e laicistica della "coscienza", della "socialità", dell'"efficienza", etc. Cfr. C. FABRO, art. Ateismo, in Enciclopedia Cattolica, Roma 1958, v. II, coll. 265-280; si vedano anche i celebri scritti di De Corte, Thibon e Sciacca.
(14) Il "divieto di far domande", di porre cioè le grandi questioni esistenziali, non basta più; si vuole eliminare anche le occasioni concrete possibili che potrebbero spingere l'uomo a porre domande imbarazzanti sulla verità o falsità — e sui fallimenti dottrinali e storici — delle istanze rivoluzionarie gnostiche; da qui la necessità, per il la nuova scienza politica, di impedire lo sviluppo della coscienza critica, e le pratiche affannose per cercare di estinguere o "allargare" la coscienza (Kafka). Cfr. il romanzo futuribile di ORWELL, 1984, Mondadori, Milano 1977.
(15) Cfr. J. HYPPOIITE, Studi su Marx ed Hegel, Bompiani, Milano 1970; C. FABRO, Feuerbach, Japadre, L'Aquila 1977; M. Rossi, Il giovane Marx, Feltrinelli, Milano 1978. Possiamo dire che la concezione marxista del superamento dell'alienazione (cioè l'operazione che permetterà all'uomo di risolvere in sé tutte le contraddizioni e di riappropriarsi di tutte le infinite potenzialità sovrumane prima proiettate in Dio) non è certo un'operazione semplicemente intellettuale ne meramente psicologica, bensì "magica" (secolarizzata), da cui nascerà il nuovo "golem", cioè l'uomo-Dio, l'"uomo totale".
(16) Cfr. H. LEFEBVRE, II materialismo dialettico, Einaudi, Torino 1977; K. LOEWITH, Da Hegel a Nietzsche, Einaudi, Torino 1970; A. DEL NOCE, Lezioni sul marxismo, Giuffré, Napoli 1973.