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L'arte così moderna, così diabolica
Hans Sedlmayr,
considerato tra i maggiori storici dell'arte del secolo XX e all'origine della critica strutturale, nasce
il 18 gennaio 1896 a Hornstein, al confine orientale dell'Austria. Nel
1921 si laurea con lo storico dell'arte austriaco Julius von
Schlosser (1866-1938), di cui sarà assistente e, dal 1936, successore all'Università
di Vienna. Dal 1951 al 1964 insegna all'università di Monaco
di Baviera e dal 1964 al 1969 è professore onorario all'università di
Salisburgo, città dove muore il 9 luglio 1984. Oltre alla sua opera principale,
Perdita del centro. Le arti figurative del diciannovesimo e ventesimo secolo come
sintomo e simbolo di un'epoca, del 1948, in italiano sono usciti
L'architettura di Borromini. La figura e l'opera con un'appendice storico-stilistica
(1939), Arte e Verità. Per una teoria e un metodo della storia
dell'arte (1958), La morte
della luce. L'arte nell'epoca della
secolarizzazione (1964), Johann Bernhard Fischer von Erlach
architetto (1976), La luce nelle sue manifestazioni artistiche (1979).
L'anno scorso la casa editrice Cantagalli ha ripubblicato dopo molti
anni dalla prima uscita in italiano La rivoluzione dell'arte moderna,
accompagnato da un inedito Memorandum sull'arte ecclesiastica cattolica in
riferimento ai Punti 23 e 41 delle raccomandazioni per il Concilio, inviato dall'autore
nel 1962 al Concilio Vaticano II. Come fa notare nella premessa monsignor
Mauro Piacenza, già presidente della Pontificia commissione per i Beni Culturali,
significativa è la sostanziale convergenza del pensiero del grande storico
dell'arte con le celebri frasi rivolte da Paolo VI agli artisti nella
Cappella Sistina, il 7 maggio 1964.
I
n quali condizioni un'opera d'arte o l'arte di un artista o di un' epoca può essere chiamata demoniaca (che significa, come avevamo convenuto, 'cacodemoniaca', ossia derivante dallo spirito maligno), diabolica o infernale.Ma non facciamoci illusioni:
una tavola come l'Angelus Novus di Klee appartiene alla stessa famiglia di
prodotti attraenti d'una immaginazione diabolica, checché ne dica un'
interpretazione ad usum delphini dell'arte di Klee.
Infatti, qualunque forma possa assumere
l'immagine di un angelo nella rappresentazione umana, mai potrebbe rivestire
quei tratti grotteschi e idioti. Il leggero tocco di umorismo sardonico, piuttosto
che attenuare, accentua l'orrore dell'apparizione.
Un
quadro di Max Ernst, tra i protagonisti del sedicente surrealismo, mostra la
Vergine che bastona il Bambino Gesù coricato sulle sue ginocchia. La freddezza
glaciale dell'esecuzione accentua il carattere blasfemo del soggetto
fino al livello di ironia sacrilega.
Accanto al 'rovesciamento' dell'immagine del Cristo, degli
Angeli, della Vergine, quasi tutte le scuole di 'arte moderna' fanno apparire una
deformazione dell'immagine dell'uomo, del volto umano e del mondo
familiare che circonda l'uomo, deformazione tendente al demoniaco.
Le
varianti di tale 'demonificazione' sono sterminate, come le negazioni della
verità, ma è possibile raggrupparle in alcuni cicli infernali.
L'uomo viene sfigurato
sotto le sembianze: dell'insetto (Ensor); della maschera vuota senza
sguardo (Picasso); del fantoccio cavo (George Grosz); del congegno (de Chirico);
del robot (Archipenko); della macchina (Duchamps); della chimera (Max Ernst);
del mostro (Picasso, Moore, Dalì); del demonio (Max Ernst, Dalì e soci).
Ciò significa che, attraverso l'immagine, si trasferiscono
sull'uomo
tutti quei tratti che la concezione occidentale dell'inferno
aveva attribuito agli esseri dalle smorfie sataniche che popolavano il
luogo di dannazione. E ciò che fa subire all'uomo, l'immaginazione dell'
arte moderna può ugualmente applicarlo al mondo che ci
circonda e a ogni creatura solidale con l'uomo. L'universo dell'
uomo si perverte in un tipico paesaggio infernale (basti ricordare i
'paesaggi' dei surrealisti).
Se
parliamo, a giusto titolo, di deformazione, non intendiamo una deviazione
dal canone naturalista. Nel quadro stesso di un'arte sovra-realista si
osservano deformazioni della figura umana: in tal caso si tratta di
veicoli che devono sollecitare lo spirito, attraverso l'immagine, a elevarsi su
un piano superiore a quello 'meramente umano'. Pensiamo all'Angelo dell'
Apocalisse di Bamberga, che scaglia la macina in mare: la sua mano, quattro volte più
grande di quella di un uomo, simboleggia la potenza sovrumana del gesto. Pensiamo
all'Angelo dell'Apocalisse di Dürer: le sue gambe sono colonne
fiammeggianti, il corpo rilascia raggi immateriali, ma la testa è puro volto
d'uomo. Assimilare tali figure agli angeli di Ensor o di Klee equivarrebbe
a rinnegare e falsare le distinzioni più certe. E tale osservazione vale in
maniera assolutamente generale.
Ci sono poi deformazioni dell'essere umano, della sua figura, del
suo volto, che restano ancora nella sfera dell'umano.
Ontologicamente
parlando, l'uomo nello stato di
decadenza è al tempo stesso sublime e infranto, grande e miserabile, piacevole e
brutto. Se dunque altri artisti moderni mostrano l'uomo afflitto da
tutti i segni della sua miseria deformato, sfigurato, infranto, talvolta sul
punto di decomporsi, segnato da tratti oscuri del nulla dove si
trova proiettato, stilizzato sotto le apparenze del criminale, dell'idiota o dell'
alienato ciò è unilaterale, ed è molto rischioso mostrare all'uomo
immagini simili del suo essere. Ma non è ontologicamente falso, e dunque
non è illegittimo. È infatti pregiudizio meschino credere che l'uomo
debba abbellire una realtà presunta oggettiva.
Se il
Rinascimento e il Barocco hanno
mostrato, unilateralmente, l'uomo nella sua nobiltà, magnificenza e
divinità astraendo dalla morte e dal peccato, e questo comportava a sua volta
dei rischi non è meno legittimo farlo apparire nella sua condizione infranta
e precaria. Il Medioevo conosce bene l'immagine del Cristo sfigurato
dalla sofferenza e persino brutto, un Uomo-Dio il cui aspetto è privo di
bellezza.
Ma le deformazioni dell'uomo sopra
menzionate sono di tutt'altro ordine. Si tratta di enunciazioni ontologicamente false, sotto
forma d'immagine e attraverso l'immagine, che si rapportano
alla natura, all'essenza stessa dell'uomo. Rimproverare tale deformazione
verso l'infra-umano alle tendenze dell'arte moderna
che la rappresentano, non significa volerla misurare secondo il canone
naturalista dell'immagine umana, come insiste a ripetere chi difende tali
tendenze. Quella deformazione corrisponde invece a una falsa enunciazione attraverso
l'immagine.
Poiché, per quanto in basso sia caduto, mai e poi mai
neanche nelle sue degradazioni estreme l'uomo è diventato insetto, maschera,
manichino, congegno, macchina, robot, fantasma, chimera, demone.
Tuttavia bisogna riconoscere
che questi sono altrettanti pericoli che aspettano al varco l'essere
umano; essi non sono apparsi mai così visibili come ai nostri giorni. Ma
se dovessimo interpretare in tal senso tutti quei dipinti, le deformazioni plastiche
e grafiche dell'uomo dovrebbero venir mostrate con tono di lamento,
compianto o minaccia. Ebbene: nella maggior parte dei casi, è proprio quel che
non accade.
(traduzione di Anna Maria Brogi)
© Avvenire-Agorà, 4-11-2007