Intervista con il professor Russell Kirk
Dove vanno gli Stati Uniti?
La politica estera nordamericana
e il "Nuovo Ordine Mondiale"
Il conflitto scoppiato, e poi rapidamente conclusosi, nei primi mesi del 1991 fra le forze armate della coalizione delle Nazioni Unite e lesercito della Repubblica Democratica Popolare Irakena a seguito dellinvasione da parte di questultima dellEmirato del Kuwait ha coinvolto in prima persona il governo degli Stati Uniti dAmerica.
Svolgendo di fatto il ruolo di guida della coalizione anti-irakena, gli Stati Uniti si sono posti al centro dellattenzione mondiale. I mass media e i vertici politici statunitensi hanno quasi unanimemente offerto soprattutto durante le fasi "calde" del conflitto unimmagine monolitica e stereotipata del consenso popolare e intellettuale del loro paese di fronte allintervento armato in Medio Oriente, spesso riducendo al silenzio ogni forma di dissenso interno, quasi aggiornata versione "occidentale" del "divieto di fare domande" che, secondo il politologo tedesco-americano Eric Voegelin, è tipico della struttura ideologica del totalitarismo socialcomunista (cfr. Il mito del mondo nuovo. Saggi sui movimenti rivoluzionari del nostro tempo, trad. it., con una Introduzione di Mario Marcolla, Rusconi, Milano 1970, pp. 87-94).
In questo clima di "conformismo del consenso", imposto dalle esigenze della "ragion di Stato" americana, alcune autorevoli voci della cultura statunitense hanno rotto la cortina del silenzio, senza tuttavia rivolgere critiche alloperato del proprio governo secondo gli schemi ideologici peculiari al progressismo, al pacifismo e a un certo "anti-americanismo" di marca tutta americana, come quello esploso allepoca della contestazione studentesca in Europa e nei campus universitari nordamericani.
Fra queste voci spicca quella del pensatore conservatore Russell Kirk, già protagonista, nel 1989, di una tournée, organizzata da Alleanza Cattolica in alcune città italiane (cfr. Russell Kirk, Le due anime dellAmerica, intervista a cura di Marco Invernizzi, in Cristianità, anno XVII, n. 170, giugno 1989, al quale rimando per gli elementi bio-bibliografici).
Durante un breve soggiorno in Italia con la moglie Annette anchessa impegnata soprattutto nel campo delleducazione scolastica , il professor Russell Kirk ha tenuto, la sera del 5 giugno 1991, nella Sala Nuovo Spazio Guicciardini, a Milano, una conferenza dal titolo Dove vanno gli Stati Uniti? La politica estera nordamericana e il "Nuovo Ordine Mondiale", organizzata da Alleanza Cattolica.
Lintervento dell'oratore americano è stato preceduto da una mia breve relazione intesa a illustrare le ragioni dellinteresse di Alleanza Cattolica per la politica estera nordamericana, partendo da considerazioni di principio e di metodo circa la virtù della prudenza e il conseguente approccio realistico quindi non astrattamente ideologico nonché contemplativo della realtà, che deve animare luomo desideroso di comprendere per agire su un piano latamente politico. Tali considerazioni dopo il crollo dellelemento statuale in alcuni paesi a regime socialcomunista, che ha lasciato gli Stati Uniti unici eredi del precedente sistema bipolare mondiale, e sulla scorta di quanto accaduto in Medio Oriente dopo la Guerra del Golfo sono state svolte nel solco degli studi del professor Russell Kirk in tema di "democrazia" e di egemonia mondiale del "modello" politico americano nonché con riferimento alla cultura e al pensiero conservatore statunitense.
Quindi Mario Marcolla, scrittore e studioso del pensiero conservatore statunitense, grazie alla cui collaborazione Alleanza Cattolica ha potuto invitare il professor Russell Kirk a Milano, ha presentato loratore, assicurando anche la traduzione simultanea del suo intervento. Egli ha illustrato la biografia intellettuale dellospite americano, situandolo fra le personalità di maggior spicco nella cultura statunitense del secondo dopoguerra e ricordandone gli studi filosofici e letterari nonché le differenze che lo separano dai cosiddetti "neo-conservatori" di diversa origine.
Mario Marcolla ha pure segnalato che lo stesso tema che il professor Russell Kirk avrebbe trattato, era già stato da lui affrontato presso The Heritage Foundation di Washington, subito dopo la conclusione della Guerra del Golfo, in un ambiente frequentato anche da molte personalità politiche, fra cui esponenti del Partito Repubblicano attualmente al governo negli Stati Uniti , a prova della tempestività, della puntualità e del coraggio intellettuale delloratore.
Ha poi preso la parola il professor Russell Kirk, che ha illustrato il possibile scenario mondiale inaugurato da questo nuovo dopoguerra, una stagione forse sempre più avviata verso lespansione planetaria del dominio americano, che si esercita non solo politicamente, economicamente e militarmente, ma anche attraverso influenze e mode culturali. Il panorama del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale, data la difficoltà di inquadrare schematicamente una realtà di per sé sfuggente e mal rispondente a rigidi schemi interpretativi, è stato presentato dalloratore con una serie di immagini e di suggestioni letterarie, dal momento che appunto la letteratura è parte integrante della sua formazione intellettuale. I contenuti specifici del suo intervento sono stati ripresi nellintervista che mi ha concesso.
La serata seguita da un pubblico numeroso è stata conclusa dal dottor Marco Invernizzi, esponente nazionale di Alleanza Cattolica, che ha richiamato i tratti salienti degli interventi.
Alla manifestazione ha fatto eco lintervista rilasciata dal pensatore statunitense al giornalista Maurizio Blondet, apparsa in Avvenire, del 9 giugno 1991, con il titolo La sindrome Saddam.
D. Quali sono stati, a suo avviso, i motivi che hanno spinto il governo degli Stati Uniti a entrare tanto sollecitamente in guerra alla testa della coalizione delle Nazioni Unite contro la Repubblica Democratica Popolare Irakena?
R. Allinizio era implicito linteresse americano per le risorse petrolifere, in un momento in cui leconomia nazionale richiedeva bassi prezzi per questo prodotto: perciò, se necessario, occorreva colpire duramente. Poiché la guerra per un barile di petrolio non pareva popolare, il presidente George Bush si è trasformato in moralista, dichiarando di impegnarsi in una guerra per la redenzione del sangue sparso. La distruzione dellIrak doveva essere linizio di un "benefico" Nuovo Ordine Mondiale.
Tutto questo mi ricorda il rimprovero che il pensatore irlandese Edmund Burke rivolse al governo inglese del primo ministro William Pitt nel 1795, quando sembrava che la Gran Bretagna stesse per entrare in guerra con la Francia a causa dei problemi sorti per la navigazione del fiume Schelda, in Olanda. "Una guerra per la Schelda? Una guerra per un catino?", esclamava. Ora si potrebbe dire: "Una guerra per il Kuwait? Una guerra per un barile di petrolio?".
Edmund Burke era favorevole a una dichiarazione di guerra da parte dellInghilterra alla Francia che minacciava lordine civile con la Rivoluzione; ma si oppose a una guerra eventualmente scatenata per puri scopi commerciali.
Così, oggi, dovrebbero comportarsi gli uomini politici del Partito Repubblicano. Senza dubbio il leader irakeno Saddam Hussein è un uomo ingiusto, ma certo non è lunico despota nel mondo. Molti paesi dellAfrica sono amministrati da governi ingiusti; al Cremlino siedono ancora dei "duri"; la Cina è tuttora governata da torvi ideologi; e abbiamo forse dimenticato Fidel Castro a Cuba? Ritengo che anche nel mondo politico statunitense vi siano uomini ingiusti. Dovremmo riempire di bombe la maggior parte dellAsia e dellAfrica per portare questi paesi alla giustizia, alla libertà e alla democrazia?
Edmund Burke, nel secolo scorso, nella prima delle sue Letters on a Regicide Peace, scriveva: "Il sangue delluomo non dovrebbe mai essere versato se non per redimere il sangue delluomo". Esso, "è ben versato per la nostra famiglia, per i nostri amici, per il nostro Dio, per il nostro paese, per la nostra gente. Il resto è vanità, il resto è crimine".
D. Come vede oggi il ruolo degli Stati Uniti in Medio Oriente?
R. Si parla molto di ciò che verrà fatto con quanto resta dellIrak. Il segretario di Stato americano James Baker parla di ricostruire il paese, mentre altri vorrebbero smantellarlo con varie spoliazioni. Prima dello scoppio della Guerra del Golfo, il governo degli Stati Uniti si è servito di corruzione e di promesse per assicurarsi il consenso di alcuni governi criminali della regione. È il caso dellex governo comunista dellEtiopia, utilizzato per rafforzare le misure anti-irakene. Fra laltro, la collaborazione dellUnione Sovietica, vecchio sostegno del governo etiopico, è stata ottenuta con la prospettiva di massicci aiuti economici. Il governo egiziano ha aderito alla coalizione anti-irakena dopo che il suo debito estero di diversi miliardi di dollari è stato condonato, mentre ladesione del governo della Siria è stata guadagnata ignorando loccupazione del Libano e il conseguente massacro dellesercito regolare libanese guidato dal generale Michel Aoun.
Quanto è iniziato con la determinazione di restaurare il legittimo anche se alquanto arbitrario governo del Kuwait può sfociare nel rovesciamento di diversi governi legittimi nel Medio Oriente.
Gli Stati Uniti non hanno dovuto sostenere un lungo conflitto nei deserti dellIrak e del Kuwait; ma certo dobbiamo attenderci un lungo periodo di diffusa ostilità nei confronti dei cittadini americani, in particolare da parte dei popoli di certi Stati che lAmerica ha corrotto oppure che ha costretto a unirsi alla coalizione. Le masse dei paesi musulmani considerano gli Stati Uniti come un avversario arrogante, mentre lUnione Sovietica, in virtù dei suoi sforzi per mediare il contenzioso nelle ultime fasi, può nuovamente atteggiarsi a unica amica di tali paesi.
D. Sono state esercitate pressioni sul governo degli Stati Uniti per indurlo a un atteggiamento favorevole allintervento armato in Irak?
R. Credo che la politica del presidente George Bush sia uno strumento di un progetto più ampio, che forse lo stesso presidente non ha ben chiaro. Per quanto riguarda la guerra, vi è da rilevare che in America, allinizio del conflitto, gran parte della comunità costituita dai cittadini di origine ebraica era entusiasta di una soluzione che avrebbe ridimensionato o eliminato la minaccia costituita dallIrak di Saddam Hussein. Certo vi sono state pressioni da parte della lobby ebraica sulla gestione americana della situazione...
D. Cosa pensa in questi frangenti del presidente George Bush, Lei che era ed è amico dellex presidente Ronald Reagan?
R. Senza dubbio George Bush è animato da buoni sentimenti: è un uomo dordine, diligente, rispettoso, onesto, amante della famiglia, ma manca d"immaginazione" e di capacità di visione prospettica e spesso appare molto "possibilista"; e il potere intossica: come diceva lord John Emerich Dalberg Acton lo storico britannico, capo del gruppo inglese dei cattolici romani liberali , il potere tende a corrompere. Lamore per il potere finisce per intaccare tanto le parole quanto le azioni: può trasformare unimpresa seria in una vendetta personale, ammantandola di toni cavallereschi. Durante la campagna elettorale per la presidenza, nel 1988, George Bush veniva spesso definito un indeciso: ora ha mostrato cosa sa fare...
Del resto, i media tendono sempre a offrire unimmagine parziale della realtà. Per esempio, il presidente ha tenuto un ottimo discorso allUniversità del Michigan, nella cittadina di Ann Arbor, contro lideologia della cosiddetta political correctness, una pretesa "correttezza politica", una nuova forma di progressismo che in America pretenderebbe il positivo riconoscimento sociale dei gruppi cosiddetti "marginali" come gli omosessuali o le femministe e che punta allatomizzazione della società nonché alla distruzione dellidentità nazionale, scagliandosi contro quanti vi si oppongono. Purtroppo il discorso è stato tenuto il 4 maggio 1991 e nel pomeriggio dello stesso giorno il presidente ha avuto un malore. Così i giornali di tutto il mondo hanno parlato della salute del presidente ignorando quellimportante intervento pubblico.
Sul tema della guerra nel Golfo Persico, lex presidente Ronald Reagan un uomo indubbiamente attaccato a certi valori "tradizionali" è stato uno dei pochissimi a mantenere un eloquente silenzio in mezzo a tanta euforia...
D. Come è stato vissuto il successo militare delle armi americane dalla gente comune?
R. Allinizio vi è stato grande entusiasmo per la guerra; ora qualcosa sta cambiando. Certo le vittime americane sono state poche: ma ora la gente ha potuto finalmente vedere lo scempio compiuto in Irak e le pesantissime perdite inflitte al nemico. Ci si sta rendendo conto che, per schiacciare una persona certamente ingiusta come Saddam Hussein, si è usata una forza eccessiva. Lopinione pubblica americana ha saputo tutto questo dopo la conclusione del conflitto, perché una sorta di censura attuata inizialmente con lo scopo di evitare il ripetersi delle campagne denigratorie orchestrate sulla stampa durante la guerra del Vietnam, dunque con intenti positivi ha finito per soffocare ogni pur legittimo dibattito interno.
Comunque, negli Stati Uniti ci si è visti costretti ad anticipare i festeggiamenti per la vittoria nel Golfo Persico ai giorni fra l8 e il 10 giugno; non si è potuto aspettare come si voleva in un primo tempo la data del 4 luglio, in coincidenza con la festa dellindipendenza nazionale, perché lentusiasmo sta scemando vistosamente...
D. Si parla molto di Nuovo Ordine Mondiale e lazione del governo americano sembra orientata verso la costruzione di un ordine politico sovranazionale a guida unica. Lei ha affrontato questo tema nella sua patria e anche in Italia, in occasione della conferenza organizzata da Alleanza Cattolica a Milano, il 5 giugno 1991. Cosa pensa del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale?
R. Lespressione "Nuovo Ordine Mondiale" risale alla prima guerra mondiale. Il contenuto dellespressione, per quel che riguarda lattualità, sembra essere la spinta verso un"americanizzazione" forzata dellintero pianeta, voluta si dice per portare la democrazia a popoli e in luoghi che non lhanno mai conosciuta, almeno nellaccezione odierna. Una sorta di "dispotismo democratico", insomma. In questottica gli Stati Uniti sembrano diventare i propagatori di unideologia radicale che vuole cambiare il mondo piuttosto che i difensori di un pensiero di natura conservatrice. Questa nuova ideologia avanza di pari passo con la massiccia industrializzazione e con la distruzione di tutto quanto essa trova sul proprio cammino. Ricordiamoci che il Partito Democratico americano è sempre stato il propugnatore della "democrazia astratta" e dellinterventismo americano nel mondo. Un esempio classico è quello costituito dal presidente Lyndon Johnson e dallintervento militare americano in Vietnam. Il Partito Repubblicano, invece, ha sempre cercato di stare il più possibile al di fuori degli affari interni di altri paesi. Ora sembra che il presidente George Bush, pur provenendo dal Partito Repubblicano, si stia comportando come Lyndon Johnson, Woodrow Wilson e Franklin Delano Roosevelt, tutti democratici di spicco. Ma già nel 1940 i Repubblicani presentarono alle elezioni presidenziali un candidato "mondialista", Wendell L. Willkie, e furono sonoramente battuti. Generalmente, in questo secolo, essi sono stati i rappresentanti della moderazione, della prudenza e anche della parsimonia nella conduzione della politica estera. A meno di improvvisi capovolgimenti, lamministrazione guidata da George Bush sta perdendo la sua precedente reputazione di morigeratezza, appunto tipicamente "repubblicana", per abbandonarsi a spese sconsiderate secondo lo slogan "Burro e cannoni". Lamministrazione Bush aveva belle prospettive per ridurre le spese governative, contenendo il deficit federale e forse anche eventualmente riducendo le forze armate in rapporto alla diminuzione della minaccia sovietica, e anche per ridurre il debito nazionale. Invece ci si è gettati in una guerra che è costata un miliardo di dollari al giorno...
Intanto pare che la resistenza della popolazione ad atti di politica estera avventati sia molto diminuita. Una volta erano le città della costa orientale le più interventiste, mentre nel Middle West vi era maggior prudenza. Ora questa situazione sembra radicalmente mutata: tale suddivisione è molto meno definita.
In questo secolo sono scomparsi tutti gli imperi, sia quelli sovranazionali che quelli coloniali. Anche l"impero" sovietico grazie a Dio si sta disgregando. Rimane però l"impero" americano, una realtà ancora in crescita che si espande con lacquisizione di Stati-clienti. Sebbene non se ne parli mai, esso si è realizzato grazie a una specie di eccesso di distrazione da parte delle altre nazioni; con lindebolimento dellUnione Sovietica, nessun potente contrappeso sembra essere rimasto a bilanciare legemonia americana nel mondo.
D. Ha menzionato lintervento militare americano in Vietnam alla fine degli anni Sessanta e durante gli anni Settanta, come esempio di politica "mondialista" incipiente: si trattava comunque di una buona causa, mirante a fermare e a sconfiggere la Rivoluzione socialcomunista in Indocina...
R. Certo, ma rispetto a un diretto coinvolgimento americano, che porta con sé il progetto di "americanizzazione", credo sia molto meglio la cosiddetta "dottrina Nixon", cioè il sostegno economico e militare alle Resistenze anticomuniste senza intervento diretto. Uno dei più gravi errori della nostra politica estera fu quello di far intervenire le forze armate degli Stati Uniti in Vietnam, anche se il presidente del Vietnam del Sud, Ngô Dinh Diem, non lo voleva.
D. Ritiene che nel Nuovo Ordine Mondiale à la George Bush vi sia posto per lideologia e il sistema socialcomunista "ristrutturati"?
R. Da quel che appare finora, credo che il presidente americano la cui politica ho detto essere forse solo uno "strumento" miri alla supremazia statunitense attraverso la diffusione la più estesa possibile dellamerican way of life, e che in questo quadro il Cremlino figuri solamente come un nemico sconfitto e subito dimenticato.
D. Ha definito la cosiddetta "americanizzazione" unideologia imperialistica americana. Ma la filosofia politica tradizionale dellAmerica, quella espressa anche dal Conservative Movement, ha una matrice diversa: qualè la radice culturale di tale "ideologia americana"?
R. Essa ha origine nel pensiero del filosofo e pedagogista statunitense John Dewey, allinizio del Novecento. Negli anni Trenta i pedagogisti della sua scuola avevano già trionfato nei settori delleducazione pubblica americana. I seguaci di John Dewey erano sistematicamente ostili alla dottrina cristiana e tentavano di separare lordine politico da quello religioso. "Democrazia" fu un termine esaltato dalla scuola di John Dewey e inteso come uguaglianza di condizione: una piattaforma sociale e intellettuale assai vicina al "dispotismo democratico" denunciato negli scritti dello storico e uomo politico francese del secolo scorso Alexis de Tocqueville. I pragmatisti deweyani disprezzavano il passato e guardavano a una democrazia universalistica e utilitaristica. Avevano costruito un sistema di umanesimo secolarizzato.
D. Dunque, il sistema deweyano origina una sorta di "pragmatismo ideologico", ben diverso dal realismo tipico della politica americana, che pure spesso viene definito con il termine "pragmatismo"... In molti studi recenti, Lei ha affrontato il delicato tema della democrazia, un tema tornato di grande attualità dopo la Guerra del Golfo, anche secondo quanto ha detto in merito all"americanizzazione" del pianeta. Può riassumere schematicamente il suo pensiero in proposito?
R. Le dottrine di John Dewey hanno introdotto in America un linguaggio nuovo. Si è iniziato a intendere la democrazia come qualcosa di automaticamente buono, virtualmente senza errore, e dunque a giudicare le altre forme di governo, passate o presenti, come cattive. Apparve così una concezione monolitica della democrazia, che negava ogni distinzione fra i diversi modi possibili di intendere tale concetto. In questo senso sono sintomatiche parole del presidente americano Woodrow Wilson nel 1917, durante il primo conflitto mondiale, incitanti a "salvare il mondo per la democrazia", così fornendo del termine una chiave di lettura prettamente ideologica.
Lo slogan del filosofo utilitarista inglese Jeremy Bentham, "un uomo, un voto", trionfò alla Corte Suprema degli Stati Uniti durante il mandato come presidente del giudice Earl Warren, dal 1953 al 1969. Già linsegnamento pubblico, imbevuto delle tesi della pedagogia deweyana, aveva preparato il terreno per la propaganda della "democrazia assoluta" propugnata dai giudici supremi statunitensi. Linterferenza della Corte Suprema nel campo dei diritti legislativi federali e statali aveva già danneggiato, in pratica, lesercizio di una corretta democrazia rappresentativa. Si preferì, quindi, unastrazione ideologica a una prassi politica desunta dal concreto vissuto.
Tutte le ideologie, compresa quella democratica, portano i loro seguaci allintolleranza. Questo accade perché ideologia comporta fanatismo e irrealismo; lideologia democratica, lungi dal preservare le nostre libertà, indebolisce la struttura costituzionale americana e, per il futuro, arrecherà danno alla causa della libertà ordinata. Infatti, il democratismo indebolisce la democrazia statunitense, subordinandola praticamente al sentimento; in altre occasioni, poi, lo stesso democratismo spinge lAmerica a decisioni avventate in politica estera e addirittura la porta a guerre condotte su larga scala. La democrazia, intesa come astrazione ideologica, non può sostituirsi con esito soddisfacente allautorità di Dio. La mentalità moderna è caduta nelleresia della democrazia, ossia nel rovinoso errore secondo il quale vox populi, vox Dei, sulla cui base il popolo diventa "divino" per assioma e le verità relative al mondo e alla politica vengono estratte dalle urne elettorali.
Il grande poeta anglo-americano Thomas Stearns Eliot ne Lidea di una società cristiana, del 1939, scrive: "[...] il termine "democrazia" non ha un contenuto positivo sufficiente per opporsi, solo, alle forze che avversiamo e che possono snaturarlo troppo facilmente. Chi non desidera Dio (ed è un Dio geloso) non ha che da inchinarsi davanti ad Hitler o a Stalin" [trad. it., Comunità, Milano 1983, p. 71].
Il prevalere dei costumi cristiani in terra dAmerica è stata la ragione del successo della politica della "democrazia territoriale" secondo lespressione del pensatore conservatore americano del secolo scorso Orestes Brownson, un pensatore che finì per convertirsi al cattolicesimo dopo aver aderito a numerose denominazioni protestanti come riconobbe Alexis de Tocqueville circa un secolo e mezzo fa. Oggi, solo il rafforzamento di questi fondamenti religiosi può rinnovare la Repubblica federale americana.
In generale, la forma di governo più indicata per un popolo dipende necessariamente dalla storia, dal costume, dalla fede, dalla condizione della cultura, dalla legislazione precedente e dalle circostanze materiali di quel singolo popolo; e queste variano da territorio a territorio, da epoca a epoca. Per esempio, la monarchia può difendere lordine nel più alto grado, nonché la giustizia e la libertà della gente; laristocrazia, in altre circostanze, può risultare più vantaggiosa per il benessere generale... Il modello politico statunitense, certo, non potrebbe tradursi come tale in Uganda o in Indonesia. Come afferma lo storico contemporaneo Daniel J. Boorstin, la Costituzione degli Stati Uniti non è fatta per lesportazione, né la semplicistica formula "un uomo, un voto" guarisce i mali che luomo eredita nascendo. Noi soffriamo di fronte allipotesi che la democrazia debba essere concepita o ricostruita a immagine e somiglianza dei più recenti modelli forniti dalla democrazia americana. Ma la democrazia non è una filosofia politica, né un piano di organizzazione politica. È piuttosto una condizione sociale che può avere conseguenze politiche.
D. Dunque, ci troviamo di fronte a una situazione irrimediabilmente compromessa o sussiste ancora qualche alternativa che permetta di abbandonare questo pericoloso e irrazionale dogmatismo ideologico?
R. Come la filosofia politica riceve il suo crisma dalletica e letica dalla verità della religione, così solo tornando alla fonte eterna della verità possiamo sperare in uneffettiva organizzazione sociale che non ignori nella sua definitiva costituzione alcun aspetto essenziale della realtà. La parola democrazia è ovunque usata e venerata, ma per esempio allEst non si è realizzato in più di settantanni lobiettivo della fratellanza fra gli uomini e della federazione delle nazioni del mondo... In America dovremmo ritornare allintuizione di Thomas Stearns Eliot, che ho citato. Dobbiamo ricordarci che la politica non è altro che larte del possibile e che essa non è la fonte della salvezza eterna. La politica del democratismo, come tutte le ideologie, è una pseudo-religione che immanentizza i simboli della trascendenza, per dirla con il politologo Eric Voegelin. La terapia contro lideologia è il recupero della comprensione religiosa della condizione umana: non dobbiamo dunque adorare unastrazione chiamata democrazia. Essa può essere utile pragmaticamente, ma non rappresenta un ideale morale. Le forme politiche democratiche sono un mezzo per conseguire un tollerabile ordine civile e sociale: ma queste forme non sono le uniche che abilitano lessere umano a convivere pacificamente con gli altri. Gli obiettivi di una comunità umana accettabile sono lordine, la giustizia e la libertà; la democrazia di per sé non è lo scopo dellumana esistenza, ma piuttosto un mezzo possibile per il raggiungimento di questi tre obiettivi reali. Può derivare grande danno dalla confusione dei mezzi con il fine.
Per questo guardo con scetticismo coloro che mi presentano il culto del grande "dio" Demos, dimenticando che luomo è una creatura. Si dia a Cesare ciò che è di Cesare; unicuique suum, dicevano gli antichi romani. Attraverso la legge romana la dottrina della giustizia che garantisce le differenze e che implica la responsabilità verso gli altri e la libertà personale, sintetizzata da tale motto, passò alle genti europee e da esse agli Stati Uniti.
D. I recenti avvenimenti bellici in Medio Oriente hanno avuto come riflesso un notevole rimescolamento dei ruoli e degli schieramenti politici e culturali americani. Può fornirmi un quadro sintetico della situazione attuale?
R. Viviamo in unepoca piuttosto confusa; i sistemi educativi necessitano di ampie revisioni, dopo essere stati lasciati in balìa di quanti, negli anni Sessanta e Settanta, si definivano "democratici" e che hanno introdotto princìpi educativi folli. Questo clima di grande permissivismo interessa pure lambito teologico, dove sia fra i cattolici che fra i protestanti si stanno verificando fenomeni di decadenza speculativa. La citata ideologia della political correctness, poi, favorisce la disgregazione culturale. Alcuni gruppi attenti alla cultura multirazziale e cosiddetta "minoritaria" vorrebbero sovvertire lidentità culturale nazionale. Nelle fondazioni e nelle università sono ancora fortemente arroccati i liberal. Fra i conservatori la vicenda della guerra contro lIrak ha portato scompiglio. A parte i sostenitori coscienti dell"americanizzazione", molti autentici conservatori patrioti forse non hanno ben colto la portata degli avvenimenti in corso, determinando forti lacerazioni nellambito del movimento di pensiero conservatore. Vi sono pensatori conservatori amici miei sia fra gli oppositori della guerra che fra i suoi sostenitori.
D. Unultima domanda sulla cultura statunitense. In Italia le forze "di sinistra", o comunque quelle laiche, stanno trasformando le celebrazioni per il quinto centenario della scoperta dellAmerica, previste per il 1992, in unoccasione straordinaria per demolire la lunga e difficile opera di evangelizzazione del Nuovo Continente: succede qualcosa di simile anche nel suo paese?
R. Sì. Lattacco principale viene portato proprio sul piano culturale, per minare le radici della nazione. Attraverso il tentativo di abbandonare il retaggio classico e cristiano su cui si fonda la nostra autentica cultura, a favore magari di nuove esperienze culturali, che pongono laccento sullidentità latinoamericana o africana, si cerca di frammentare lidentità americana. Già diversi gruppi lavorano attivamente in questo senso. Molto spesso in questa lotta, cui il 1992 offre semplicemente unoccasione concreta, i fautori della political correctness e i gruppi favorevoli a discutibili soluzioni multiculturali si fiancheggiano.
a cura di
Marco Respinti