CAPITOLO 3
IL PENSIERO FILOSOFICO-GIURIDICO DI
JUAN VALLET DE GOYTISOLO

  

3.3.2 Il presupposto criteriologico del diritto naturale.

Per Vallet, il primo presupposto della attività giuridica é costituito dal fondamentale principio: "...si deve perseguire e compiere il bene ed evitare il male, perché il bene costituisce ciò che tutti gli esseri desiderano, e corrisponde alle inclinazioni conformi alla natura" (san tommaso d'aquino, Suma teológica, 1.ª-2.ª, q.94, a.2, risp. (BAC, Madrid, 1956, p.129)). Per raggiungere tale scopo, egli considera necessaria la "...conoscenza della realtà naturale nel suo aspetto ontologico" (J. Vallet de Goytisolo, "Perfiles jurídicos del derecho natural en Santo Tomás de Aquino", in Estudios jurídicos en homenaje al profesor Federico de Castro, Tecnos, Madrid, 1976, vol.II, p.714), assieme a quella "...criteriologica ed etica, di ciò che é buono e cattivo, il che viene fornito dalla Legge Naturale" (J. Vallet de Goytisolo, "La ley natural según Santo Tomás de Aquino", in Verbo, Speiro, Madrid, nn.135.136, mayo-julio 1975, pp. 648 e 650; "Las fuentes del derecho según Santo Tomás de Aquino", in Estudios sobre fuentes del derecho y método jurídico, Montecorvo, Madrid, 1982, p.227). Essa "...non decide affatto il diritto, perché la legge non é il diritto" (J. Vallet de Goytisolo, "Observaciones en torno a la ley y la jurisprudencia de los tribunales", in Estudios sobre fuentes del derecho y método jurídico, Op. cit., pp.182-183), bensì é "...un giudizio della ragione pratica" (J. Vallet de Goytisolo, "Santo Tomás de Aquino y la lógica de lo razonable y de la razón vital e histórica", in Estudios sobre fuentes del derecho y método jurídico, Op. cit., p.792), "...una certa ragione del diritto" (san tommaso d’aquino, Summa Teologica, 2.ª-2.ª, q.57, a.1, ad.1, BAC, tomo VIII, Madrid, 1956, p.233 (lex non est ipsum ius, proprie loquendo, sed aliquis ratio iuris)) che permette di giungere alla soluzione giusta, che é ciò che costituisce il diritto" (J. Vallet de Goytisolo, "El derecho natural como arte jurídico", in Estudios sobre fuentes del derecho y método jurídico, Op. cit., p.726).

In relazione alle fonti gnoseologiche necessarie per raggiungere, nel possibile, la fonte ontologica del diritto naturale - che é l’ordine naturale - Vallet, seguendo San Tommaso, afferma che: "...a partire dalla conoscenza delle cose, disponiamo comparativamente sia dell’intellectus principiorum e della sinderesi - che in modo assoluto e senza mezzi termini captano i principi primi -, sia della ragione propriamente detta, speculatrice e discorsiva".

In merito al diritto, detta conoscenza si effettua su due piani differenti, ma connessi; "...il primo é costituito dalle norme o regole, o leggi in senso lato, che ci aiutano a determinare ciò che é giusto; il secondo é integrato dal giudizio concreto circa ciò che é giusto" (J. Vallet de Goytisolo, "Las fuentes del derecho según Santo Tomás de Aquino", in Estudios sobre fuentes del derecho y método jurídico, Op. cit., pp.225 e 227). Senza il primo non possiamo conseguire il secondo.

La relazione tra entrambi i piani rivela che il criterio assiologico é fornito dalla legge naturale, che si concreta definitivamente nel diritto naturale.

Sempre seguendo San Tommaso, Vallet distingue, nella legge naturale, i precetti puramente etici - morali e non giuridici - da quelli di ordine giuridico, a seconda che siano destinati o meno al bene comune, poiché solo quest’ultimo determina "...quando il non compimento di un dovere morale che interessa alla giustizia generale debba stimarsi come giuridicamente esigibile, cioè, quando é diritto naturale e non solo giustizia morale" (J. Vallet de Goytisolo, "La ley natural según Santo Tomás de Aquino", in Verbo, Op. cit., p.679; Metodología de las leyes, EDERSA, Madrid, 1991, pp.246-250).

 

3.3.2.1. Il senso strumentale delle norme giuridiche.

Vallet esclude il senso moderno della legge come volontà separata dall’ordine delle cose" (michel bastit, Naissance de la loi moderne. La penseé de la loi de Saint Thomas à Suarez, PUF, Paris, 1990, p.87), che la "...converte in mero strumento d’azione politica di partito" (serrano ruiz-calderón, "Consoderaciones sobre la ley y el Estado de Derecho", in Estado de Derecho en la España de hoy, Editorial Actas, Madrid, 1996, pp.295-315), "…tipico di chi ha una concezione dello Stato di Diritto come fondamento del principio di legalità, e che sostituisce questo alla legittimità, in modo che l’adeguamento ad un ordine morale e giuridico obiettivo sparisca, soppiantato dalla conformità a ciò che é stabilito dalla legge elaborata in modo formalmente corretto" (consuelo martínez-sicula y sepúlveda, Legalidad y legitimidad: la teoría del poder, Editorial Actas, Madrid, 2.ª ed., 1991, pp.216-236).

In un suo testo in merito a Montesquieu, volendo mostrare questo aspetto strumentale e, allo stesso tempo, la relazione tra natura delle cose-legge-diritto-equità, Vallet sottolinea che "...sia il legislatore…sia il giurista…nel determinare il giusto concreto, devono tenere in considerazione il resto delle norme giuridiche, specialmente i principi etico-giuridici e quelli derivati dalla natura delle cose" (J. Vallet de Goytisolo, Los principios generales del Derecho, Editorial Actas, Madrid, 1993, p.18) e, qualora non riescano ancora, per le situazioni contingenti che esulano dal caso generale, queste, data la mancanza di adeguamento, devono essere risolte per mezzo dell’equità" (J. Vallet de Goytisolo, Montesquieu. Leyes, gobiernos y poderes, Civitas, Madrid, 1986, p.195).

Tale senso strumentale presuppone un ordine per un fine determinato.

Se si volesse considerare la legge come il centro di tutto il ragionamento giuridico, invece che limitarla alla sua funzione di strumento, comparativamente si dovrebbe dire che la medicina é l’insieme dei medicinali, mentre essa é "...l’arte del conservare la salute e del curare gli infermi" (J. Vallet de Goytisolo, Metodología jurídica, Civitas, Madrid, 1973, p.69), "...ed i medicamenti non sono niente più che strumenti" (J. Vallet de Goytisolo, Panorama del derecho civil, Bosch, Barcelona, 1963; 2.ª ed., 1973, p.45).

Vallet, in ogni caso, rifiuta totalmente il moderno concetto del diritto inteso in senso oggettivo, che lo identifica con l’insieme di norme giuridiche applicabili agli atti umani della vita sociale. In quanto posto, "...cioè contenuto materialmente in patti umani, esso può contenere sia il giusto naturale - diritto naturale - sia il giusto positivo - diritto positivo -, e sia parte dell’uno che dell’altro" (san tommaso d’aquino, Suma teológica, 2.ª-2.ª, q.60, a.5, risp., BAC, Madrid, 1956, p.328; J. Vallet de Goytisolo, "Perfiles jurídicos del derecho natural en Santo Tomás de Aquino", nell’opera Estudios jurídicos en homenaje al profesor Federico de Castro, Tecnos, Madrid, 1976, vol. II, p.728). Quello che la legge umana contiene di giusto naturale non deriva dal fatto che così si sia convenuto, bensì dalla natura, limitandosi l’uomo a porre per iscritto ciò che é già giusto, per non lasciarlo al mero arbitrio.

Infatti, seguendo la stessa ottica di San Tommaso, Goytisolo afferma che la legge umana deve essere posta "...por la necessidad de salvaguardar la paz social, estableciendo una disciplina y una coacción para los mal dispuestos a seguir aquella voluntariamente" (per la necessità di salvaguardare la pace sociale, stabilendo una disciplina ed una coazione per coloro che sono maldisposti a seguirla volontariamente, J. Vallet de Goytisolo, Estudios sobre fuentes del derecho y método jurídico, Montecorvo, Madrid, 1982, p.397). Egli, quindi, dà molta importanza alla figura del legislatore.

Seguendo la Scuola del filosofo medievale, che si rifà ad Aristotele, Vallet è convinto che sia "...meglio che tutte le cose siano ordinate dalla legge, piuttosto che lasciate all’arbitrio dei giudici" (aristotele, Retorica, I, 1.; san tommaso d’aquino, Summa Teologica, I-II, q.95, a.1, ad2; J. Vallet de Goytisolo, Qué es el derecho natural, Speiro, Madrid, 1997, p.55), perché è più facile trovare poche persone sagge capaci di dettare buone leggi, che molte necessarie per giudicare rettamente i singoli casi che offre la vita quotidiana; e poi, perché i legislatori hanno bisogno di molto tempo per considerare che cosa stabilire con la legge, mentre il giudizio sui fatti particolari è dettato dai casi che capitano all’improvviso, ed infine, perché i legislatori valutano in astratto e di cose future, mentre i giudici di cose particolari e presenti, verso le quali nutrono passioni che deviano così il loro giudizio.

 

3.3.2.2. L’obbligatorietà della legge positiva giusta ed il diritto alla resistenza.

La legge positiva obbliga in coscienza, ossia, l’ubbidienza leale al potere civile da parte del cittadino è un dovere che deriva dalla legge naturale medesima, affinché la società possa raggiungere il suo fine; l’autorità, d’altro canto, ha il compito di permetterne l’esatta applicazione ed osservanza. Poiché "...ogni autorità viene da Dio" (Romani, 13,1), e la legge obbliga in coscienza, non vi è più da distinguere fra norme civili e religiose dal punto di vista dell’obbligatorietà. Quest’ultima, a sua volta, permette all’autorità di compiere la sua missione (realizzazione del bene comune) e, qualora abbia come misura la legge naturale, è assolutamente vincolante e va osservata, quali che siano i sacrifici richiesti per l’adesione al precetto da essa dettato: essa comporta "...una vera obbligatorietà morale davanti a Dio, che vincola gravemente le coscienze" (san tommaso, Summa Teologica, 1a-2ae, q.96, a.4).

Ma, quando la legge é ingiusta, essa "...è nulla", dice S. Agostino (sant’agostino, De libero arbitrio, I, 5; PL, XXXII, 1227; De Civitate Dei, IV, 4; PL, XLI, 115), e perciò non obbliga più in coscienza, anzi, il cittadino non deve più aderirvi poiché "...non è più legge, ma corruzione della stessa" (corruptio legis, san tommaso, Summa Teologica, 1a-2ae, q.95, a.2). Se la legge, infatti, è una ordinatio rationis ad bonum commune (comando della ragione per il bene comune), la legge ingiusta, non essendo più una vera ordinario rationis, e neppure ad bonum commune, perde il suo valore di legge e diventa un atto arbitrario, un atto di comando a capriccio, in quanto si oppone alla suprema ed inderogabile legge della giustizia naturale. In questi casi, allora, la disubbidienza e la resistenza alla legge possono essere non soltanto una possibilità, ma un dovere.

Parimenti, per ogni autorità che non si ispirasse più alla giustizia, la legge sarebbe solo un fatto di forza, "...una perversione della legge…un’iniquità" (quadeam perversitas legismagis esset iniquitas). Quindi, se è in-giustizia non è assolutamente vincolante, perché "...nulla che sia contro la ragione é permesso": (Nihil quod est contra rationem est licitum, san tommaso, Summa Teologica, 1a-2ae, q.90, a.1, ad 4; ad.3).

Occorre "...riconoscere, con Don Sturzo, che la morale è il fondamento del diritto: non c’è diritto che non sia morale; un diritto immorale…cessa di essere un diritto" (reginaldo pizzorni, Diritto naturale e diritto positivo in S. Tommaso d’Aquino, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1999, p.352).

Comunque sia, però, a meno che non si tratti di leggi totalmente contrarie al "bonum divinum" -che "...in nessun modo si possono osservare" (san tommaso, Summa Teologica, 1a-2ae, q.96, a.4) -, le leggi in generale obbligano per un "bonum" superiore, cioè, per salvare l’ordine e la "tranquillitas rei publicae" ("la tranquillità della cosa pubblica"): quando perseguono questo scopo, allora, anche quelle ingiuste vanno seguite. Socrate dà esempio di ciò quando accetta eroicamente, per il bene comune, la sua condanna a morte, nonostante l’evidente ingiustizia; egli, nello spirito dei suoi contemporanei, non vuole gettare discredito sulla legge umana e, nella propria difesa, qualifica la sua attività di insegnamento come una missione, una vocazione impostagli da Dio, al quale egli non può mostrarsi infedele per ubbidire a leggi umane.

 

3.4. Il diritto naturale in Vallet.

Per Vallet, il diritto naturale primario è la natura della cosa in sé medesima.

Egli lo considera evidente, e sostiene che "...é naturale, nel senso che corrisponde alla natura bruta, ma non é giuridico, cioè, non é diritto, rigorosamente parlando. É qualcosa di pregiuridico, che appartiene alla natura delle cose e che il giurista deve tenere molto in considerazione per realizzare il suo lavoro, in quanto costituisce l'insieme dei dati primari dai quali, di fatto, é necessario cominciare" (J. Vallet de Goytisolo, "Perfiles juridícos del derecho natural en Santo Tomás de Aquino", nella sua opera Estudios jurídicos en homenaje al profesor Federico de Castro, Tecnos, Madrid, 1976, vol. II, p.793).

A suo giudizio, il "...diritto naturale, nell’ambito sociale umano, ossia, il propriamente giuridico, é quello secondario, che determina il giusto in relazione alle conseguenze che derivano" (J. Vallet de Goytisolo, Estudios sobre fuentes del derecho y método jurídico, Montecorvo, Madrid, 1982, p.770).

Secondo Vallet, vi sono vari motivi -di indole non solo logica, ma anche gnoseologica, metodologica, ed ontologica- per considerare corretta questa interpretazione, il primo dei quali, partendo dal testo di San Tommaso nella soluzione prima dell’articolo 3 della questione 91 della 1.ª-2.ª, confuta la non necessità della legge umana. San Tommaso, a riguardo, afferma che "...La ragione umana non può partecipare pienamente del giudizio di quella divina, ma solo in maniera imperfetta e secondo la sua condizione umana. Pertanto…anche nell’ordine pratico, l’uomo non conosce le verità particolari dei casi concreti…Così, é necessario che la ragione umana proceda ulteriormente a sanzionare in particolare certe leggi" (san tommaso d'aquino, Suma teológica, BAC, Madrid, 1956, tomo VI, p.57).

Tale importanza della legge positiva trova spiegazione nella sua stessa esistenza: secondo la ragione logica, infatti, ogni parere emesso esige un giudizio od un ragionamento (e non solamente un’asserzione su ciò che si presenta come evidente, come succede invece per i principi generali, che appaiono di per se stessi come evidenti); secondo quella gnoseologica, legata all’accezione del diritto come arte del giusto, il diritto consiste nel fatto che il giusto giuridico -anche naturale- non é evidente, ma ragionato; secondo quella ontologica, infine, il diritto, come il giusto concreto, come la res justa, non consiste affatto nel giusto riguardo alla natura della cosa singola considerata in sé medesima ed in senso assoluto, poiché questa percezione sarebbe equivalente ad una considerazione astratta della cosa stessa.

Il secondo motivo sorge dalla comparazione tra il diritto naturale secondario ed il diritto naturale primario: quest’ultimo risulta precisato da quello.

E come, ad un esempio, in merito alla relazione tra i sessi, il matrimonio precisa maggiormente i termini di ciò che é giusto rispetto alla cosa nelle sue conseguenze, così Vallet afferma "...che il naturale in relazione alle sue conseguenze si sovrappone al naturale in relazione alla cosa in sé medesima...Perciò, il diritto naturale secondario non solo si aggiunge, ma, nel necessario, modifica e limita ciò che é qualificato come primario".

Il terzo motivo non é più di precisione e delimitazione, ma di sufficienza o di insufficienza: esclusa la possibilità che sia giusto ciò che é contrario alla natura della cosa in sé, Vallet osserva che "...non si può neppure dire, in concreto, che una cosa sia giusta senza altri dati che quello di corrispondere al cosiddetto diritto naturale primario". Inoltre, il fatto che "...gli uomini debbano convivere tra loro perché le persone sono animali sociali, é un principio pregiuridico: il giuridico comincia quando, partendo da questa necessaria comunione di vita, si consegue, per esempio, la giusta regola delle compravendite" (J. Vallet de Goytisolo, "Perfiles juridícos del derecho natural en Santo Tomás de Aquino", Op. cit., pp. 766, 792,793 e 794).

 

3.4.1. La critica di Victorino Rodríguez alla interpretazione di J. Vallet de Goytisolo sul pensiero di San Tommaso.

La non considerazione del diritto naturale primario come vero diritto naturale, e la interpretazione secondo cui quello secondario limiterebbe, aggiungerebbe e si sovrapporrebbe al primario, é motivo di un commento di Victorino Rodríguez che, però, non ha altra spiegazione se non "...la sua confusione...tra legge naturale e diritto naturale" (teófilo urdanoz, "Introducción a la cuestión 57. El derecho, objecto de la justicia", in Suma teológica, BAC, tomo VIII, Madrid, 1956, pp.178-230; ed in niceto blázquez, Los derechos del hombre. Reflexión sobre una crisis, BAC, Madrid, 1980, pp. 59-68).

La critica dell’"...illustre e dotto autore" (estanislao cantero núñez, El concepto del derecho en la doctrina española (1939-1998). La originalidad de J. Vallet de Goytisolo, Fundación Matritense del Notariado, Madrid, 2000, p.606) si solleva contro la negazione della giuridicità ai principi primi; eppure, sostiene Rodríguez: "...I primi sono più radicati in noi, più universali e perenni, rispetto ai secondi; e, siccome i principi intellettuali di azione della sinderesi sono propriamente legge, anche il diritto naturale fondato in essi sta’ propriamente dentro la giuridicità naturale, anzi, addirittura in grado superiore a quella del diritto delle genti e del diritto positivo". Così, anche se: "...I diritti naturali secondari canalizzano molte volte la forza del diritto naturale primario, ne chiariscono semplicemente il disposto, ma non lo annullano, modificano o limitano", piuttosto "…può succedere l’inverso: i principi secondari possono essere limitati in certi casi, per salvare il vigore di quelli primari" (victorino rodríguez, "Santo Tomás en el pensamiento juridico de Vallet", Speiro, Madrid, in Homenaje a Juan Berchmans Vallet de Goytisolo, IV, pp.843-845).

Vallet, a riguardo, asserisce che, nel "...terreno filosofico e nel campo della etica, ha ragione Victorino Rodríguez: i principi primi della legge naturale sono più radicati, più umani, più universali e perenni" (J. Vallet de Goytisolo, Metodología de las leyes, EDERSA, Madrid, 1991, p.380).

In relazione alla seconda obiezione di Rodríguez, e cioè, alla presunzione di superiorità dei precetti di secondo grado rispetto a quelli primari, Vallet si limita a specificare di non voler in alcun modo impostare una contrapposizione filosofica tra principi: ciò, infatti, concluderebbe che i principi primi si impongono sempre, perché immutabili e non limitabili. Egli intende dire che la giustizia deve essere applicata ai casi concreti e, rispetto ad essi, i principi primi generali si potrebbero contrapporre, oppure si potrebbe invocare lo stesso principio, ma con esiti differenti; a ciò si può aggiungere la specificità del caso, che potrebbe causare la sua esclusione dalla generalità del principio che apparentemente lo include. Perciò, "...l’applicazione dei principi secondari, e ancor più di quelli di terzo grado, risulta più giusta e concretamente più adeguata al caso di cui si tratta" (J. Vallet de Goytisolo, Metodología de las leyes, Op. cit., pp.508-509).

Inoltre, vero è che i principi primi sono comuni, in parte, agli uomini ed agli animali, quelli di secondo grado, invece, sono propri del genere umano. Questi, in quanto specifici dell’uomo, risultano superiori a quelli, dato che l’uomo é superiore all’animale e, quindi, i principi primi necessari, ma non sufficienti, assieme a quelli secondi determinano concretamente il giusto, il diritto.

 

3.4.2. Il diritto naturale come metodo, come arte giuridica.

Il Giusnaturalismo di Vallet é in armonia con la concezione del diritto come arte del giusto, considerato un "...metodo per il raggiungimento di soluzioni giuste" (J. Vallet de Goytisolo, Metodología jurídica, Civitas, Madrid, 1988, pp.167-184).

Questo, a suo giudizio, é lo stesso metodo che segue San Tommaso, come spiega nelle Primeras Jornadas Hispanica del derecho natural (Le Prime Giornate Spagnole sul Diritto Naturale), nel discorso di chiusura intitolato "El derecho natural como arte juridico" (Il diritto naturale come arte giuridica). Vallet, affermando che la scienza del diritto naturale classico "...contempla, come realtà viva, la natura, ontologicamente e criteriologicamente, per dedurre in ciascun caso l’ordine che ha insito…osserva sia ciò che permane sia ciò che é storico".

Infatti, il diritto naturale è metodo che "...combina la conoscenza della cosa in sé medesima con l’esame delle conseguenze derivanti dalle cose" (J. Vallet de Goytisolo, Estudios sobre fuentes del derecho y método jurídico, Montecorvo, Madrid, 1982, pp.707-708 e 1028-1029): per mezzo di questo metodo é possibile, cioè, conoscere principi sociali e vedere se l’azione umana sia adeguata alla natura e, nel caso, evitare e correggere gli errori di concezioni parziali che si impongono come totalizzanti.

Affrontando la gnoseologia utilizzata da San Tommaso, Vallet afferma di aver osservato e fatto notare la duplice via da lui impiegata per il conseguimento del diritto naturale, induttiva nel Tratado de la justicia, II.a-II.a, q.57 e deduttiva nel Tratado de la leyes, I.a-II.a, q.94, nel giudicare se qualcosa é giusto rispetto alle conseguenze dimananti. "A mio giudizio, é necessario seguire complementariamente entrambe le vie" poiché "…la determinazione della res justa, secundum absolutam sui considerationem (la cosa giusta, considerata in senso assoluto) richiede la sua prospettiva illuminata dalla proiezione del giudizio della legge naturale, e la sua concezione secundum aliquid quod ex ipso consequitur (secondo le sue stesse conseguenze) necessita la conseguente induzione dai principi prudenziali, sebbene entrambe le considerazioni confluiscano ad essere apprezzate secundum rationem naturalem (dalla ragione naturale)" (J. Vallet de Goytisolo, "El profesor Federico de Castro y el derecho natural", Anuario del Derecho Civil, tomo XXXVII, fascicolo IV (1983), pp.1701-1702). Questa é la differenza piú importante di Vallet rispetto al Neotomismo ed anche rispetto a Villey, per i quali, rispettivamente, il diritto naturale andrebbe ricercato solo nella legge naturale (non distinguendo, essi, la legge dal diritto) oppure solo nella natura. La rilettura che il Nostro elabora di San Tommaso permette di considerare la cosa in sé medesima e, attenendosi alle sue conseguenze, di trovare il giusto concreto conseguendolo per mezzo di conclusiones e di determinaciones: "...serve, allo stesso tempo, captare i principi primi della natura in sé e, per mezzo di prove, confronti e ponderazioni di certe opinioni con altre" (J. Vallet de Goytisolo, Metodología de la determinación del Derecho, Centro de Estudios Ramón Areces - Consejo General del Notariado, 1996, vol.II, pp.376-383), determinare in ciascun caso il giusto giuridico concreto poiché il confronto delle idee con la natura costituisce un’autentica verifica delle conclusioni che la ragione trae dalla realtà, e la prova dei nostri successi e dei nostri errori. Vallet, senza dimenticare il secondo dei cammini - quello deduttivo, discendente -, insiste sul primo - quello induttivo, ascendente -, giacché "...quando é maggiore la corruzione morale e mentale degli uomini, per aiutarli, diventa più necessario mostrare loro la prima via, affinché vedano la verità e si convertano" (J. Vallet de Goytisolo, Más sobre temas de hoy, Speiro, Madrid, 1979, p.16; in Estudios sobre fuentes del derecho y método jurídico, Op. cit., p.880).

Per mezzo del primo, si adeguano le idee alle cose, attraverso il cammino "...della induzione e dei giudizi prudenziali che appartengono alla conoscenza delle cose e dei fatti singoli e che ascendono all’universale fino a raggiungere (...), rispettivamente, i principi teorici e quelli pratici della nostra ragione, elevandosi dagli effetti alle cause" (J. Vallet de Goytisolo, "Las enseñanza de la historia", in Más sobre temas de hoy, Op. cit., p.15; o in Estudios sobre fuentes del derecho y método jurídico, Op. cit., p.879). Per mezzo del secondo, "...si captano, non soggettivamente, ma nella realtà delle cose (...), i primi principi teorici (...) ed i primi principi operativi, etico-naturali" (J. Vallet de Goytisolo, "Razón teórica y razón pratica", in Más sobre temas de hoy, Op. cit., p.4; cfr. Metodologia juridica, Op. cit., pp.27-28), il che permette di conoscere l’essere e la verità, e di giudicare il buono ed il cattivo.

Vallet, nella sua opera Qué es el derecho natural, datata 1997, afferma che il diritto naturale, in quanto metodo o arte per determinare il giusto, deve intervenire naturalmente, "...compiendo le seguenti finalità: a) Servire da modello per il legislatore per formulare le conclusiones del diritto naturale che é necessario concretare, e per effettuare le determinaciones che questo richiede nelle circostanze vive; b) Dotare le persone di criteri precisi per conoscere quando le norme legislate sono contrarie al diritto naturale e, perciò, non sono leggi, bensì corruzioni di legge, dovendo in questo caso i sudditi resistere al loro compimento; c) Interpretare il diritto positivo, specialmente quando le leggi devono essere conclusiones da ciò che é naturalmente giusto, rispetto alla natura di ciascuna istituzione e di ciascuna cosa determinata; d) Guidare per la utilizzazione dell’analogia; e) Determinare quando procede l’equità e quale é, in ciascun caso, la soluzione equitativa concreta" (J. Vallet de Goytisolo, Qué es el derecho natural, Speiro, Madrid, 1997, pp.67-72).

 

3.4.2.1. L’interpretazione del diritto.

La determinazione del diritto come ciò che é giusto pone il problema della sua interpretazione.

Per Vallet essa va intesa nel senso della interpretatio romana, cioè, "...il giusto concreto che sorge dalla realtà delle cose e dai fatti", di contro ad un concetto più ristretto che la limita alla comprensione delle norme legali.

Nel compito di determinazione del diritto, che presuppone l’interpretazione, interessa sottolineare quale é il ruolo mediatore e strumentale della legge positiva, che deve: "...1. comparare la fattispecie della norma con il diritto del caso, per osservare se esiste identità piena o meno...2. Se esistono certe differenze di sfumatura, queste possono provenire dalla condotta di qualcuno dei soggetti; e allora la norma dovrà essere coniugata con la falsariga del valore che corrisponde (buona fede, dolo, colpa)...3. Se esiste notevole somiglianza della fattispecie della norma con il fatto del caso, quella dovrà essere coniugata con le altre norme che apportano soluzioni adeguabili e sempre illuminata dai principi generali, essendo proiettati tutti questi elementi alla situazione del fatto d’accordo con la natura della cosa per raggiungere un migliore adeguamento...4. Se non c’è alcuna fattispecie di norma che risulti analogabile con il fatto del caso, bisognerà ricorrere ai principi generali, proiettati tipologicamente, concretandoli a questo fatto del caso, rispetto a tutte le sue particolarità...5. Se esiste apparente identità tra la fattispecie del testo della norma ed il fatto del caso, ma c’è una differenza sostanziale, si dovrà ricorrere all’equità" (J. Vallet de Goytisolo, Metodología de la determinación del derecho, Op. cit., p.1438).

 

3.4.3. L’equità.

Il giusto, nella sua ultima concrezione e nel suo caso più estremo di determinazione, é l’equità.

Vallet osserva che lo ius, il diritto, consiste propriamente nel realizzare l’equità -nella sua accezione di ars boni et aequi-: essa, in una prima approssimazione, sarebbe "...l’espressione perfetta della giustizia concreta" (J. Vallet de Goytisolo, Metodología de la determinación del derecho, Centro de Estudios Ramón Areces-Consejo General del Notariado, Madrid, 1996, vol. II, p.1566).

Secondo Vallet, in San Tommaso, oltre ai tre classici gradi del diritto naturale, é possibile apprezzarne un quarto, "...nel quale il giusto si adegua alle circostanze eccezionali": in alcuni casi "...non é possibile ricorrere alla legge né ad alcuna norma, ma solo all’equità, poiché, in caso contrario, si andrà contro il diritto naturale" (J. Vallet de Goytisolo, "Perfiles jurídicos del derecho natural en Santo Tomás de Aquino", nell’opera Estudios jurídicos en homenaje al profesor Federico de Castro, Tecnos, Madrid, 1976, vol. II, p.730).

Di norma, é necessario ricorrere all’equità quando la soluzione legale sarebbe ingiusta nel caso particolare: il giusto naturale, esaminando la cosa in relazione alle sue conseguenze più specifiche e concrete, esige una soluzione individualizzata che sia la più adeguata" (J. Vallet de Goytisolo, "Las fuentes del derecho según Santo Tomás de Aquino", in Estudios sobre fuentes del derecho y método jurídico, Montecorvo, Madrid, 1982, p.233).

 

3.4.4. Diritto naturale e diritto positivo: un ordine giuridico unico.

Le espressioni diritto naturale e diritto positivo, allora, alludono a due diritti? Si tratta di due ordini giuridici differenti, separati seppure connessi, oppure di un solo ed unico diritto?

Se si parte dal presupposto secondo cui -come dice Vallet- entrambi i diritti "...sono le due facce della stessa medaglia nella quale consiste il Diritto", e se si conferma che la relazione tra entrambi "...é il vincolo nato dalla totale unità dell’essere" (consuelo martínez-sicluna y sepúlveda, Del poder y la justicia, Editorial Actas, Madrid, 2.ª ed., 1991, vol.I, pp. 299 e 301), si sostiene l’intellezione propria del Giusnaturalismo classico, secondo la quale l’opposizione duale del positivismo manca di senso e ciò sarebbe sufficiente per concludere che si tratta di un diritto unico.

Ma come comprovarlo ai giorni nostri?

Per Vallet si tratta di un unico diritto, poiché quando appaiono le espressioni diritto naturale e diritto positivo, esse non hanno altro valore se non quello di distinzione formale, non certo ontologica, dal momento che non c’è che un diritto, quello giusto, che consiste nel giusto concreto. Insieme alla natura si trova la libertà e l’azione dell’uomo: la prima esprimerebbe il diritto naturale e la seconda il diritto positivo.

Posto che l’uomo fa parte della natura delle cose, il diritto positivo é anch’esso, in senso stretto, diritto naturale ("...l’unico autentico diritto", juan antonio martínez muñoz, "Sobre el sentido del Derecho natural", Anuario Jurídico y Económico Escurialense, época II, n.XXXI, 1998, pp.155-198), ma solo quando é giusto e la giustezza proviene dal fatto che si conclude una disposizione di diritto naturale oppure che se ne determina una che non é contraria al diritto naturale: cioè, il diritto positivo presuppone implicitamente che sia diritto naturale, per la sua necessaria conformità con esso.

Martínez-Sicluna sostiene, sulle relazioni tra entrambi i diritti, che "...il Diritto é, prima di tutto, Diritto naturale - perché c’è una classe di giustizia che nasce nella natura dell’individuo- e poi é Diritto positivo, poiché, essendoci una classe di Giustizia che sorge dal comune accordo, privato o pubblico, questa contiene in sé la Giustizia naturale e ne istituisce una positiva che non può contravvenire ciò che é stabilito nella prima;...tale visione sulla relazione tra entrambe le classi di Diritto é quella che Juan Vallet sottolinea studiando il pensiero di San Tommaso" (consuelo martínez -sicluna y sepúlveda, Del poder y la justicia, Op. cit., p.300).

"...Il diritto naturale ed il diritto umano, inconfondibili teoricamente, non formano mondi a parte né si trovano su piani totalmente separati, perché le conclusioni del primo devono essere scritte nella legge umana ed informare le soluzioni del secondo. Al contrario, le determinazioni di quest’ultimo, una volta effettuate entro i limiti corretti, sono riconosciute da quello come obbligatorie" (J. Vallet de Goytisolo, "Perfiles jurídicos del derecho natural en Santo Tomás de Aquino", nell’opera Estudios jurídicos en homenaje al profesor Federico de Castro, Tecnos, Madrid, 1976, vol. II, p.788) poiché il diritto naturale "...richiede l’esistenza e la contiguità del diritto umano, con il quale si intreccia" (J. Vallet de Goytisolo, Qué es el derecho natural, Speiro, Madrid, 1997, pp. 52 e 54).