CAPITOLO I
LA STORIA DEL DIRITTO NATURALE NEI SECOLI:
DALL ANTICA GRECIA AD OGGI
1.7. Il Rinascimento.
Nuovo mondo culturale nato nel XVI secolo e portatore di una nuova concezione della filosofia e del diritto, il Rinascimento é il prodotto di una classe sociale originaria: la congiuntura economico-politica consente alla borghesia, che si è arricchita ed ha qualche nobile che non è più gravato dagli antichi obblighi militari, di costituire un altro tipo di élite colta, portatrice di preoccupazioni molto diverse da quelle dei chierici delluniversità medievale.
"...Linteresse dei circoli umanistici - sostiene Villey - mi sembra che sia piuttosto indirizzato verso i problemi della vita privata, verso le questioni morali (piuttosto che per le questioni di carattere religioso, che sono troppo scottanti), per lerudizione storica, larcheologia; un po più tardi lumanesimo si interesserà anche alla tecnica, alla fisica, alle matematiche e dará un forte impulso - questa volta assolutamente reale- alle scienze esatte. Tutto ció non comporta alcun rischio di turbare lordine costituito o di recar ombra al sovrano". Il Rinascimento é essenzialmente creatore in campo artistico, scientifico, morale, psicologico.
"...I circoli umanistici, soprattutto in Francia e in Germania, si sono infatuati delle dottrine avverse allo spirito della Scolastica, e di quelle piú apertamente nemiche ad Aristotele ed al suo pensiero" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit. pp.354-355 e 359).
Mentre la filosofia medievale si rifà soprattutto alle fonti greche, loggetto di studio fondamentale degli umanisti diventa la letteratura latina. La lingua dotta é, di norma, il latino, poiché la maggior parte della gente colta non ha più il tempo di dedicarsi allo studio del greco: graeca non leguntur (la lingua greca non viene più letta).
In ambito filosofico, é Cicerone lautore preso a modello, sicuramente perché scrive i trattati più completi, ma soprattutto perché risulta strumentale allo status di vita civile che si va diffondendo dalle grandi conquiste di Alessandro Magno.
Lo Stoicismo, lEpicureismo, e un po più tardi lo Scetticismo della Nuova Accademia, a cui si rifanno i filosofi del Rinascimento, provocano un mutamento di studio di oggetti da parte della filosofia.
NellAtene del IV secolo, tra i diversi gruppi politici, il compito del filosofo, anche se privato cittadino, é quello di intervenire attivamente nella vita politica, negli affari di governo, nellagorá o nei consigli, e perfino negli affari giudiziari...mentre, nei grandi Imperi, costituitisi dopo le conquiste di Alessandro Magno, molti dei rappresentanti più significativi sono di origine orientale (come Zenone e Crisippo). Di conseguenza, la cultura del tempo perde il carattere tipicamente greco, ed il filosofo, recandosi dal sovrano in qualità damico, può divertirlo o dargli consigli, ma non ha più alcuna possibilità di discutere il nuovo regime politico trionfante.
Verso la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo, i filosofi si trovano in una situazione del tutto simile a quelli dellimpero romano: alcuni costruiscono ancora utopie di tipo idealistico, che, però, a differenza di quella della Repubblica di Platone, non hanno mai la pretesa di poter essere poste in pratica; altri, la maggior parte degli intellettuali, restano, con molta saggezza, lontani dalla politica.
"...Si sposta, di conseguenza, lasse della filosofia: linteresse dello Stoicismo e dellEpicureismo é la morale, la condotta di vita privata del cittadino singolo. Zenone indica ai propri discepoli le vie della virtù, Epicuro, i mezzi per raggiungere il piacere" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., p.361).
Nel Cinquecento, le dottrine ellenistiche si sviluppano in tutta lEuropa moderna, fino alla critica kantiana della conoscenza e così, nei filosofi delletà ellenistica ed in quelli della borghesia moderna, si riscontrano i medesimi interessi e problemi.
Può sembrare inverosimile che, nel tempo, filosofie in origine indifferenti al diritto -le filosofie morali come lo Stoicismo- o, più tardi, filosofie della scienza e dei sistemi critici della conoscenza, si siano potute mutare in filosofie giuridiche, eppure é proprio così: dallo Stoicismo, dallEpicureismo e dallo Scetticismo dellantichità, il movimento umanistico deduce i principi di un sistema giuridico.
Si assiste ad una metodologia della filosofia del diritto ben diversa da quella realistica di Aristotele, caratterizzata per essere nata dallesperienza giuridica: la filosofia umanistico-rinascimentale é dedotta alla maniera del moralista o del logico, é applicata artificialmente allesperienza giuridica ed ha, nel pensiero giuridico, una rilevanza "ahimè" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., p.365) considerevole, in quanto tende a soffocare il diritto naturale autentico.
1.7.1. Lo Stoicismo.
Stoici sono quei filosofi che si riconoscono parte della filosofia dellUmanesimo: essi influenzano il pensiero di molti moralisti delletà moderna.
Si distinguono tre fasi dello Stoicismo: quello antico, dei fondatori, Zenone e Cizio, e dei loro successori, Cleante e Crisippo; quello medio, che non riesce a conservare la dottrina nella sua purezza e vi introduce tematiche desunte da altre fonti, ed i cui più famosi esponenti sono Panezio di Rodi, autore di un grande trattato di etica, e Posidonio, forse, maestro di Cicerone; ed infine, quello nuovo, di Seneca, Epitteto, Marco Aurelio, la cui tendenza è di rifarsi alle fonti prime della dottrina o, almeno, al rigore morale dei suoi fondatori.
Delle opere degli stoici, molte sono andate perdute, soprattutto quelle dellepoca antica: ricostruire lo Stoicismo antico, con laiuto dei frammenti che si trovano, sparsi in autori molto diversi tra loro (come Plutarco e Diogene Laerzio) è impresa difficile ed incerta. Le opere dello Stoicismo recente, a loro volta, hanno il difetto di dare, di questa filosofia, unimmagine incompleta: sono quasi tutte di argomento strettamente morale e "...troppo letterarie" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit. p.368). La fonte più utile, quindi, é la stessa che occupa il posto principale negli studi degli umanisti, cioè, Cicerone.
Cicerone, che per temperamento ed inclinazione è attratto dal diritto e dalla politica, pone in rapporto, o meglio in contrapposizione, lo Stoicismo ed il diritto naturale.
Si insegna molto spesso il contrario, e cioè, che i giuristi romani sarebbero debitori del Giusnaturalismo professato ai loro maestri di scuola stoica e che da questa fonte sarebbe derivata la nozione di diritto naturale. "...Il fatto è - spiega Villey - che le espressioni díkaion Kata physin, jus naturae, naturale, -e più spesso lex naturalis- appaiono certamente nelle opere stoiche che possediamo; forse erano già presenti nei fondatori del movimento stoico, e in ogni caso le ritroviamo in Cicerone" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., p.370). Ma é un grande errore storiografico, anche se diffuso, quello di affermare che la dottrina del diritto naturale sarebbe nata con lo Stoicismo: esso, non solo non è il vero padre del diritto naturale, ma ne è addirittura la negazione; almeno due nozioni, infatti, sono indispensabili per costruire una dottrina giusnaturalistica: in primo luogo quella di diritto, in secondo luogo quella di una natura che possa essere fondamento del diritto.
Ebbene, lo Stoicismo ignora sia luna che laltra poiché é una filosofia morale, che, solo nel XVI secolo, muta in filosofia giuridica.
Quanto poi alla nozione di natura, la questione é ancora più controversa. Si può fondatamente ritenere che, se lo Stoicismo non può far sua la nozione classica di diritto, è perché le vie del diritto naturale sono rese impraticabili dalla sua stessa concezione di natura. Allinterno della stessa, infatti, gli stoici concepiscono solo esseri individuali materiali e non entità spirituali: é impossibile, quindi, che da una natura concepita in termini strettamente materialistici si possano dedurre norme giuridiche.
Tra le cose di cui è costituito il mondo, lo Stoicismo dà spazio ad un elemento dinamico e non privo di valore, che è lalito, lo spirito (pneuma), il fuoco, altrimenti chiamato ragione (lógos), che " mantiene e contiene tutte le cose abbracciandole". Il termine natura, nel senso proprio, designa preferibilmente questo elemento privilegiato, che produce ed organizza il mondo: essa è un " fuoco artista" (cicerone, De natura deorum, II.22.58 e II.22.57 (Cicerone attribuisce questa definizione a Zenone)), che genera i corpi, li fa crescere, li unisce. Allo stato puro, il lógos si trova negli dei ed anche nelle anime umane, dato che la ragione costituisce la natura specifica delluomo.
Di conseguenza, sia nelluniverso sia nelluomo, la natura è solo una causa efficiente che determina il corso delle cose e le attività umane.
Ed allora, che cosa può significare, una volta trapiantato nello Stoicismo, il termine "giusto naturale"? Significa, anzitutto, che le istituzioni umane, le regole morali e giuridiche, provengono dalla natura, intesa come lógos (ragione).
Cicerone, nella sua Repubblica, afferma: "...Esiste una legge veritiera, che é la retta ragione e che é in accordo coi dettami della natura, presente in tutti, immutabile, imperitura; che ci esorta imperiosamente ad adempiere ai nostri doveri e che ci proibisce linganno e ce ne tiene lontano; una legge di cui luomo retto seguirà sempre i comandamenti e le proibizioni, e che resterà invece lettera morta per i malvagi. É un sacrilegio cercare di modificare questa legge, né é lecito abrogarla o sopprimerla del tutto. Da essa non possiamo essere dispensati, né per ordine del Senato, né per ordine del popolo e non cè bisogno di cercare al di fuori di noi per trovare chi ce la esponga o ce la interpreti. E questa legge non é diversa a Roma piuttosto che ad Atene, oggi piuttosto che domani; ma é una sola e medesima legge immutabile, eterna e che si rivolga in tutti i tempi ad ogni nazione" (cicerone, Repubblica, III.22).
Ciò che non si può mai trovare, nel diritto naturale stoico, é un metodo di ricerca per la soluzione dei problemi giuridici (per stabilire la giusta proporzione dei rispettivi beni dei cittadini) che sia fondato nella natura esteriore, cioè, nella osservazione delle comunità politiche.
Una legge morale e razionale: ecco ciò che la maggior parte dei teorici del pensiero giuridico, tra i quali Guido Fassó, intende oggi per diritto naturale. Questultimo afferma che "...lo Stoicismo é la prima grande dottrina giusnaturalistica, che doveva poi esercitare, direttamente o indirettamente, un influsso immenso sulle dottrine posteriori" (guido fassó, Il diritto naturale, ERI classe unica, Torino 1972, p.26). " Tanto peggio per lopinione comune -controbatte Villey-, ma io non riesco a trovare nello Stoicismo nulla della autentica dottrina classica del diritto naturale" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., p.378).
In merito allorigine del diritto, gli stoici proclamano che é la particella di lógos, presente negli uomini, la fonte che fa nascere la società ed il diritto, e che é luomo, e solo lui, colui che costituisce i raggruppamenti sociali. Luomo non é più un animale politico e la città non é più considerata naturale: la persona é socievole grazie alla ragione posta in lei dalla natura che crea il diritto.
Fonte di questultimo é lopinione degli uomini, il loro arbitrio, poiché la ragione imprime nellanima di tutti alcune "nozioni comuni", alcuni principi generali sui quali si dà un accordo pressoché universale, ma essa non è presente in egual misura nellanima di tutti: nelluomo comune essa è in germe, ma lungi dal giungere a piena maturazione; solo i "sapienti" la possiedono allo stato puro. La legge, quindi, é la " ragione del sapiente", ratio mensque sapientis; é " perfetta solo nellanima del sapiente", perfecta in mente sapientis (cicerone, De legibus, II.4 e II.5); é una "...forza della natura...; é la stessa ragione del sapiente; é la medesima regola del giusto e dellingiusto". É la ragione del filosofo; ecco perché il diritto si può " dedurre dalla filosofia", ex intima philosophia (cicerone, De legibus, I.6 e I.5).
Luomo crea da solo il diritto, lo sviluppa e lo modifica nel corso della storia, senza che alcun limite si opponga da parte della natura esterna alla sua potenza creatrice.
Questo é ciò che si definisce "Positivismo giuridico".
1.7.2 Lo Scetticismo.
Sotto il termine di Scetticismo si è soliti raccogliere gli insegnamenti di diversi autori. Esso nasce già con i Sofisti; Gorgia, Callide, Trasimaco e Protagora, dubitando del valore assoluto delle leggi della città, gettano i fondamenti del Relativismo, del Positivismo, del Soggettivismo.
In epoca ellenistica, lo Scetticismo diviene un corpo dottrinale omogeneo e limitato ai circoli intellettuali, in quanto la filosofia é ormai interdetta alla politica.
Se lunico vero problema è quello di regolare la propria vita privata nel modo più piacevole, che bisogno c'è della sapienza? E perché darsi da fare per codificare unetica? Il filosofo si accontenta di dissertare con eloquenza sullimpotenza della ragione umana, anche se tali disquisizioni non sono di per sé affatto utili e non apportano nulla di positivo.
In unepoca di decadenza, la filosofia diviene un gioco chiuso in se stesso.
Si possono distinguere tre fasi nella storia delle filosofie scettiche dellantichità: durante lepoca di Alessandro, emerge il filosofo Pirrone, la cui dottrina, redatta dal discepolo Timone, si conclude nellaffermazione per la quale non si puó conoscere nulla, poiché i sensi ingannano: si crede di vedere il sole ben più piccolo di come i sapienti dicono che sia nella realtà.
Ma forse la scienza è più sicura? Le credenze umane sono relative: ci sono popoli, per esempio, per i quali lincesto o il furto non sono delitti. "...Pirrone sosteneva che nulla è buono e nulla è cattivo; nulla è giusto e nulla ingiusto; e che per tutto il resto si può dire la stessa cosa; nulla è come ci appare; gli uomini agiscono così come agiscono solo per abitudine o perché sono indotti dalle istituzioni a tenere un certo comportamento; e le cose in verità non sono più così che così (ouden mallon)". Ed aggiunge: "...non cè mai una ragione alla quale non se ne possa sempre opporre unaltra contraria" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit. p.412).
In unepoca più tarda si afferma unaltra forma di scetticismo: essa è sostenuta da alcuni sedicenti discepoli di Platone, raccolti nella "Nuova Accademia". Forse proprio perché Platone ha il senso della problematicità ed il gusto della discussione, la sua scuola é destinata a diventare il centro dello Scetticismo e del dubbio.
Nascono le filosofie di Arcesilao, di Carneade e di Clitomaco che insistono, con compiacimento, sullimpotenza della nostra ragione a raggiungere la certezza e sul carattere di ogni nostra conoscenza, che, invece di essere sicura, al più, appare ragionevole (eúloga, secondo Arcesilao) o credibile (píthana, per Clitomaco).
Infine, il tardo scetticismo degli Empiristi, che nutrono la loro filosofia con alcune esperienze pratiche di carattere scientifico, soprattutto medico; Aldesideno, Agrippa, e principalmente il medico e scrittore greco della fine del secondo secolo dellera cristiana, Sesto Empirico, sono tra i piú importanti.
"...Non credo che lo Scetticismo abbia influenzato profondamente il diritto romano" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., p.413), esordisce Villey. Peraltro, come tutti i sistemi filosofici (quando sono recepiti come tali, e divengono visioni dinsieme del mondo), anche esso è suscettibile di dire qualcosa a proposito del diritto, sebbene solo in chiave negativa. Lo Scetticismo diventa anche una poderosa macchina bellica contro ogni dottrina che, negando che una stessa parola (díkaion, justum) possa designare le due nozioni, pretende di scoprire razionalmente il giusto, sia pure, come nella dottrina aristotelica, ricorrendo allaiuto dellosservazione della natura esterna.
Lo Stoicismo tende a distruggere lambizione naturale delluomo di poter conoscere ciò che è giusto; nega, quindi, che il diritto possa coincidere con esso.
Su esempio di Cicerone, si afferma che "...la giustizia, come già ritenevano i sofisti, non è altro che leffetto di convenzioni transitorie", oppure "...ciò che la dittatura dei forti ha arbitrariamente indotto il popolo a credere" (cicerone, Repubblica, III.8 e III.13): non cè una fonte obiettiva della giustizia, non cè diritto naturale: jus naturale nullum (cicerone, Repubblica, III.13).
Gli Scettici non ammettono, quanto al diritto, altro che le leggi effettivamente vigenti ed accettate dallopinione pubblica, quali che siano le loro fonti e senza preoccupazione circa i loro fondamenti assiologici. "...Questo è il Positivismo attuale: dittatura del fatto scientifico (positivo, in senso comtiano); adorazione da parte del giurista delle istituzioni vigenti, rinuncia pressoché totale alla ricerca della giustiza" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., p.414).
1.7.3. LEpicureismo.
LEpicureismo è, essenzialmente, una morale della condotta individuale.
Mentre lo Stoicismo assegna come regola alla vita delluomo lubbidienza alla ragione ed alla natura, e come bene supremo la virtù, Epicuro propone come modello la felicità: é una dottrina molto più semplice e più facile, e - così egli pensa - molto più naturale.
Non esiste altro che la materia, fatta di atomi, che sono eternamente in movimento nel vuoto (lanima stessa è composta di atomi, anche se particolarmente piccoli). Tutte le conoscenze delluomo provengono dalle irradiazioni che i corpi proiettano su di lui, e che lasciano segni nello spirito (così si spiegano la memoria, le illusioni e le ingannevoli immaginazioni). Gli atomi sono eterni e conservano indefinitamente la materia di cui sono composti; "...nulla si crea e nulla si distrugge" (lucrezio, De rerum natura, I.60; III.3). Non cè alcuna intenzione né intelligenza nel processo che casualmente ha portato alla formazione dei mondi: non è necessario supporre alcuna Provvidenza divina, alcuna finalità naturale.
Quali possono essere i rapporti di questa filosofia col diritto? La si può definire una filosofia del diritto? No, se si considera nella sua elaborazione originale: così come il sapiente stoico, anche il discepolo di Epicuro non si mescola alla vita pubblica, non si interessa agli onori ed alla ripartizione dei beni; egli conduce la sua vita individualisticamente e non si occupa del diritto.
Quanto alla questione principale della filosofia del diritto, quella della definizione del diritto, lEpicureismo non è che una morale e, come tale, tende a confondere il diritto con quella comune.
Esso insegna ai suoi seguaci non a seguire la virtù - che è solo un mito -, ma il piacere, fatto di assenza di preoccupazioni e di presenza di agio, di sicurezza, di arricchimento (ed allora leconomia politica prende il posto della morale). "...Della giustizia non si può dire che vada ricercata di per sé. Ciò che ce la raccomanda, è la grande abbondanza di piaceri che essa ci apporta" (lucrezio, De rerum natura, I.16).
Il diritto, divenuto così lagente tecnico della morale del piacere, proibisce le azioni nocive e prescrive azioni utili, secondo i dettami del calcolo utilitarista.
Tra gli Epicurei si ricorda Hobbes, ma anche Locke, che mostra di aver subito le medesime influenze, e si può dire che, in Bentham, si ritrovino tutti i principi tipici di tale dottrina antica, che si diffonde largamente nella "filosofia" francese del Settecento, influenzando la scuola economica inglese, ispirando Marx e dominando ancora oggi nel pensiero americano.
1.8. La filosofia giuridica Moderna.
Nel XVII secolo "...nasce un nuovo movimento" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit. p.473).
La vecchia scienza di carattere aristotelico, recepita dalla Scolastica, é ancora parte integrante del sistema filosofico; quella moderna, però, fin dallinizio, pretende di rendersi autonoma ed indipendente da ogni filosofia, sebbene questo divorzio sia solo apparente: è tale il bisogno dello spirito umano di unificare tutte le sue conoscenze, che essa finisce per esigere e per costruire, a sua volta, una dottrina nuova, che meglio si accorda alla sua struttura.
Scienza moderna e filosofia aristotelica si contrappongono in primo luogo sul piano del metodo: Aristotele fonda la sua scienza su di una esperienza integrale, vicina allesperienza comune, che gli consente di percepire nel reale le qualità (il caldo, il freddo, il pesante, il leggero) ed i valori, mentre lesperienza della scienza moderna è artificiale e ricorre, significativamente, alluso di particolari strumenti (il cannocchiale di Galileo, il barometro di Torricelli, il microscopio, la bilancia).
Questo tipo di osservazione scientifica non consente di percepire la totalità del reale, ma ne coglie solo alcuni aspetti privilegiati e principalmente ciò che è misurabile, ciò che è atto a calarsi in formule matematiche: "...Il libro della natura -dice Galileo- è scritto in simboli matematici".
Questa visione del mondo, fredda e puramente obiettiva, fa a meno anche dei valori per cui la scienza moderna, pur pretendendo di invadere tutto il campo del sapere umano, mal si adatta ad alcuni settori della conoscenza. "...Si rammenti la celebre frase del chirurgo, che dichiarava di non aver mai trovato l'anima servendosi del bisturi" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., p.474).
Il mondo non viene più concepito dal punto di vista delle cause finali, bensí da quello delle cause efficienti, governato unicamente dalle leggi della meccanica; il cosmos cessa di costituire unopera compiuta.
Tra i fondatori di questa filosofia moderna, vi é Francesco Bacone, giurista e, per qualche tempo, professore di diritto, uomo politico, scrittore celebre e, nellopinione dei posteri, filosofo della scienza. "...È meglio sezionare la natura che risolverla in astrazioni, per poter applicare lintelletto agli oggetti particolari" (bacone, Novum Organon, I.3).
Sullo scopo del diritto, Bacone afferma che esso deve concernere non il giusto, ma lutile: "...Il fine che le leggi si propongono, cioè, lo scopo cui esse indirizzano i loro precetti e le loro sanzioni, non è altro che quello della felicità", (non alius est quam ut cives feliciter degunt, bacone, Tractatus de justitia universali, aforisma n.5), e la sua creazione spetta solo allo Stato, non più al filosofo.
"...Il diritto consiste nelle leggi, in questi fatti positivi" (bacone, Tractatus de justitia universali, aforisma n. 77). Il cancelliere Francesco Bacone si preoccupa che esse siano "...ben redatte, certe e chiare" (bacone, Tractatus de justitia universali, aforismi nn.7, 66, 67, 68), che "...vengano messe bene in ordine sistematico fino a comporre un nuovo codice" (bacone, Tractatus de justitia universali, aforismi nn. 60, 62); pretende che "...linterprete si limiti alla stretta esegesi del testo" (bacone, Tractatus de justitia universali, aforisma nn. 81 e ss., 10 e ss., 42 e ss.) e che "...non ci sia alcuno spazio per la cosiddetta equità" (bacone, Tractatus de justitia universali, aforisma n. 93), insomma che "...la dottrina non pretenda di esercitare una funzione creatrice di diritto" (bacone, Tractatus de justitia universali, aforisma n. 80).
Cosa sono questi pensieri in relazione al diritto naturale? Nuove prove della totale estraneità dallo spirito della scienza moderna al diritto naturale e della difficoltà di individuare una giustizia che abbia validità universale: "...bella giustizia, quella che è divisa da un fiume" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., p.481), afferma ironicamente M. VILLEY.
Cartesio, il filosofo del Cogito ergo sum, divide artificialmente ed arbitrariamente il mondo in due categorie diverse di enti: da una parte cè il pensiero, la res cogitans, il mondo delle anime, supporto del pensiero, della volontà, dellatto libero; daltro lato, si trova la materia.
La metafisica cartesiana distrugge la nozione unitaria di natura: mette da un lato il dover essere, dallaltro i fatti.
Ora, se si adotta questo modo di considerare il mondo, non si può più pensare al diritto come presente nelle cose, nella natura e contemporaneamente provvisto di valore normativo; si perde inevitabilmente la chiave dellautentico diritto naturale.
Per Grozio, invece, lelemento predominante è la tradizione stoica, per la quale le regole giuridiche vanno dedotte dalla natura delluomo: questo riferimento alla natura permette alla scuola nata dallinsegnamento di Grozio di conservare letichetta del diritto naturale. Il giusto non può riscontrarsi che nelluomo, ove ha la sua fonte, e nella sua ragione, essenza della natura umana. Il diritto naturale è dictamen rectae rationis (il precetto della retta ragione, grozio, De jure belli, I.1.10).
Da chi egli deduce la sua dottrina? Da Pufendorf e dai suoi successori, da Leibniz, dalla Scuola del diritto naturale, dal Codice Civile francese.
Hobbes conosce e medita lopera di Cartesio e condivide il gusto per lordine, anche se rigetta il suo dualismo, la sua concezione della materia e la pretesa di costruire la scienza su idee innate.
Ecco il nuovo ambito del "giuridico" per la mentalità moderna. La sua logica ed il suo sistema tendono alla piena realizzazione dei diritti privati dei cittadini, ma attraverso il sacrificio dei diritti "pubblici" nei confronti dello Stato.
Quando si chiede allIndividualismo di dare una giustificazione allordine sociale, esso è obbligato ad autoconfutarsi ed a sostenere i regimi più oppressivi nei confronti del cittadino.
1.8.1. La situazione italiana: Gianbattista Vico.
In Italia, la corrente filosofica Moderna é molto forte: il Positivismo, infatti, costituisce ancora oggi la maggior parte del substrato culturale giuridico, sebbene la concezione classico-tomista non sia mai morta. Esempio di questultima é Gianbattista Vico, filosofo napoletano del Settecento, che avanza una forte critica contro il metodo more geometrico utilizzato da Cartesio, ripudiando anche tutto ció che é espressione del suo formalismo. Il Realismo di Vico, allora, risulta essere molto simile a quello di San Tommaso dAquino, in quanto é frutto del medesimo rifiuto di qualsiasi forma di concettualismo.
LAutore approfondisce lo studio della giurisprudenza antica, operando una netta demarcazione tra giurisprudenza e scienza: questultima é austera e totalmente inderogabile; la prima, invece, é scienza del giusto ed arte dellequità. Vico, però, non vuole tenere una lezione, bensì, mettere in risalto come la giurisprudenza, le leggi, i giureconsulti, la magistratura ecc...abbiano assunto significati diversi a seconda delle diverse epoche storiche.
La storia, allora, é di fondamentale importanza per capire lepoca in cui si vive, e questo rispetto é caratteristica che accomuna non solo Gianbattista Vico a San Tommaso, ma anche entrambi questi autori a Vallet de Goytisolo.
Vico, allora, sebbene sia uno dei pochi filosofi che rimane ancorato alla concezione classica del diritto, assume una posizione ben lontana dal giusnaturalismo filosofico moderno: il suo mondo civile, infatti, non ha nulla a che vedere nemmeno con lo stato civile ipotizzato da Hobbes, secondo il quale lo stato naturale, ossia primitivo, viene cancellato dallo stato civile attraverso il contratto sociale. Il mondo civile di cui parla Vico, invece, é costruito dalluomo nella storia, partendo dal mondo naturale sul quale poggia.
1.9. Lo Storicismo.
Un altro avversario del diritto naturale, forse ancora più agguerrito del primo, é lo Storicismo del XIX e XX secolo.
Il movimento dello Storicismo nasce come polemica al presunto fissismo del diritto naturale.
In realtà, ci sono giusnaturalisti rigidi e conservatori che, come dice Guido Fassó "...non si rassegnano a concepire un diritto naturale relativo, mutevole, non solennemente scolpito in tavole eterne". Vero é, però, che questi giusnaturalisti sono contrapposti a quelli classici della Scolastica.
Si può confutare, quindi, ciò che afferma Guido Fassó, e cioè che: "... non é vero che non ci sia continuitá tra il Giusnaturalismo medievale e quello moderno".
Come M. VILLEY, infatti, anche Juan Vallet de Goytisolo, é di tuttaltra opinione e segnala una netta spaccatura tra i due giusnaturalismi: il giusnaturalista autentico, a differenza di quello moderno, é privo di ogni carattere antistorico, anzi, trova solo nella storia la sua possibilità di esistenza.
Contrariamente a ciò che scrive Fassó, quindi, il diritto naturale autentico non vuole "...essere un complesso di norme assolutamente giuste, indipendentemente da circostanze particolari" (guido fassó, Il diritto naturale, ERI classe unica, Torino, pp.94, 45 e 87).
Kantorowicz commenta sul punto: "...Il Positivismo del XX secolo, che sorse proprio come superamento del diritto naturale, pontificò che non esisteva altro diritto che quello riconosciuto dallo Stato. Si perseguì il diritto naturale fino ai suoi nascondigli più reconditi, posto che, da un lato, si credeva che il diritto naturale affermasse un diritto non statale, che reggesse ovunque e sempre, e, dallaltra parte, si rifiutava tale idea come assurda. Però, il Positivismo non teneva in considerazione che la sua descrizione del diritto naturale era completamente errata e che, ancor più, essa diceva ciò che il diritto non era e neppure poteva essere: il diritto immutabile nel quale si sognava inutilmente" (juan vallet de goytisolo, Qué es el derecho natural, Speiro, Madrid, 1997, pp.20-21).