CAPITOLO I
LA STORIA DEL DIRITTO NATURALE NEI SECOLI:
DALL’ ANTICA GRECIA AD OGGI.

 

 

1.4. Una svolta nella dottrina del diritto naturale.

Il 1277 é l’anno in cui vengono condannate parecchie delle tesi dell’Aquinate. "...La Scolastica francese, Scoto, Guglielmo di Occam, han cercato di far trionfare una nuova filosofia del diritto".

"…Anche se personalmente - dice il Villey - non attribuisco, per ciò che concerne il diritto, pari valore alla filosofia classica ed alla filosofia moderna, ciò non di meno ritengo essenziale studiare gli autori moderni senza pregiudizi sfavorevoli, ma con quella simpatia, senza la quale ricostruire la storia del pensiero sarebbe solo un esercizio sterile".

Ma che cosa si deve intendere esattamente per filosofia giuridica moderna? "...Si sa che non esiste una filosofia moderna, più di quanto non esista un sistema giuridico moderno" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit. pp.131, 135, 137). Sul Continente, principalmente in Germania, da una parte, ed in Inghilterra, dall’altra, si sono venuti a determinare climi intellettuali ben diversi: mentre, nell’Europa continentale, la scuola razionalistica subisce l’influenza di Cartesio e si sforza di costruire sistemi di diritto naturale, o razionale, basati su assiomi, sul modello della geometria, in Inghilterra, con Francesco Bacone e con Locke, tanto ammirati da Voltaire e da Montesquieu, viene adottato un metodo empirico.

Seguendo le indicazioni di Guido Fassó, "…si possono stabilire due elementi caratteristici della modernità: laicità ed individualismo" (guido fasso’, Il giusnaturalismo e la teoria moderna del diritto e dello Stato, in "Rivista trimestrale di diritto e procedura civile", 1962, p.813; anche in Scritti di filosofia del diritto, vol II, Giuffré, Milano, 1982, p.523).

In nome della laicità, il diritto moderno si oppone al diritto clericale dell’alto Medioevo, dello agostinismo. In realtà, però, sarebbe un grave errore pensare che questo laicismo vada di pari passo con un atteggiamento anticlericale, poiché esso é ricollegabile allo stesso San Tommaso, il quale avrebbe non solo l’audacia di ricorrere apertamente all’autorità di filosofi e sapienti del mondo pagano, e principalmente a quella di Aristotele, ma anche quella di assecondare la dialettica profana. Non si tratta di un ritorno puro e semplice alle posizioni dottrinali dell’antichità, poiché la fede mantiene il suo spazio, ma la ragione viene riconosciuta competente e legittimata all’esplorazione della natura.

Ma l’individualismo, più del laicismo, é l’aspetto caratteristico della filosofia giuridica moderna: primo oggetto della conoscenza é l’individuo, punto di partenza di ogni ulteriore dottrina (sia di quella cartesiana, in cui il sistema dell’evidenza soggettiva é dedotto dall’esistenza del soggetto, sia di quella di Hobbes, di Locke o di Spinoza, che ricostruiscono l’universo sociale a partire dall’uomo visto nello "stato di natura" e considerato atomisticamente per ottimizzare l’analisi).

Forma attenuata di questa tendenza é la "Scuola del diritto naturale", che procede, in tutte le sue teorie, dalla natura dell’uomo inteso individualisticamente, opponendosi in maniera radicale alla dottrina del diritto naturale classico, che, invece, parte dalla considerazione della natura vista nel suo complesso, dai gruppi sociali e dalla comunità politica.

Lo Stato, artificialmente creato per mezzo del contratto sociale, é pensato nell’interesse e per l’utilità degli individui ed il Positivismo giuridico é il corollario della tesi del contratto sociale e dello stato di natura come stato anarchico: infatti, se l’individuo é libero nello stato di natura e se la natura non regola affatto i rapporti sociali, non ci puó essere diritto se non posto dallo Stato. "...Infine, l’elemento primo del sistema giuridico (sia positivo che naturale) diviene ormai la nozione di diritto soggettivo, di cui la teoria del contratto non costituisce che un prolungamento" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., p.139).

 

1.4.1. Guglielmo di Occam: breve cenno sulla sua filosofia.

Guglielmo di Occam, le cui origini restano oscure, diviene un personaggio noto nei primi trent’anni del XIV secolo, come studente e poi come professore. Il giovane universitario del centro francescano di Oxford, esperto di dialettica aristotelica, é il fondatore di una nuova filosofia, di una "via nuova" (via moderna), cioè di una nuova maniera di filosofare, destinata ad una grande fortuna dal tardo Medioevo, fino ad oggi. É il nominalismo moderno, ed esso rappresenta, nella filosofia del diritto, una rivoluzione radicale, poiché da esso si sviluppano i temi fondamentali dei sistemi giuridici moderni: il Positivismo giuridico, ma più ancora la nozione di diritto soggettivo, inscindibilmente connessa all’individualismo occamistico.

Mentre la scienza di Aristotele é "del generale", cioè, è volta alla ricerca di nozioni generali e si fonda su di un ordine "cosmico", la scienza, per il Nominalismo, gravita attorno all’individuo. Solo quest'ultimo é dotato di esistenza reale: é l’unico centro di interesse, il solo oggetto di conoscenza.

Ne consegue che non può più esistere un ordine giuridico che non proceda dalla volontà individuale ed ogni attività deve tendere verso l’individuo.

Così, Guglielmo di Occam non può più rifarsi all’idea che hanno i classici in merito ai compiti del diritto, cioè, che il giurista vada alla ricerca del "giusto", che egli sia il "sacerdote della giustizia", e che ci sia la giustizia "particolare": la "parte giusta", nel Nominalismo, non é altro che un fantasma privo di realtà.

Ma quale é, allora, per Occam, lo scopo dell’arte giuridica? "...Temo che egli non se ne sia fatta un’idea precisa, -risponde Villey- dato che non ha mai avuto l’idea di un ordine sociale sovraindividuale, in quanto, un simile ordine, nella sua prospettiva, non ha alcuna realtà. Spesse volte mancherà ai moderni la definizione dell’ambito specifico del diritto…Mi sembra che, in fondo, Occam concepisca l’arte giuridica a partire dalla sua prospettiva nominalistica, non come protesa alla ricerca dell’armonia della comunità politica vista come un fine in sé, ma solo come al servizio dei singoli individui. Senza dubbio egli ha in mente soprattutto l’utilità individuale, il che é un presagio di quell’utilitarismo che é proprio del pensiero giuridico moderno, ma praticamente non stabilisce alcuna precisa frontiera del diritto. Lo scopo che alla fine egli riconosce al diritto é quello di assicurare all’individuo le condizioni per una vita libera e del tutto autonoma nei confronti degli altri; il diritto, anche se questo può sembrare proprio il contrario del suo vero compito, deve garantire alla persona, per quanto possibile, le libertà ed i poteri cui essa aspira" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit. p.218).

Inoltre, in opposizione alla morale classica dell’ordine naturale, Occam sostiene la tesi per cui esiste un’infinità di azioni che vanno considerate moralmente "indifferenti", libere, "...che l’individuo non é affatto tenuto razionalmente a compiere, ma che egli compie per amore". "...Bisogna dunque che ciascun individuo sia considerato come una potenzialità di condotta libera, dunque come un centro di poteri assoluti" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., p.219). Non vi é nulla di meno giuridico e di più moralista di un simile ideale.

Dopo Occam, non si riesce più a trovare, in tutta Europa, un filosofo che accetti di riconoscere un punto di partenza "reale" per la conoscenza diverso dall’esperienza individuale, sia quella delle cose del mondo fisico, sia quella soggettiva dell’io (da cui nasce poi l’idealismo moderno).

Il vecchio realismo tomista scompare del tutto di scena e non c’è che ironia, da parte dei benpensanti, per le "quiddità", le "nature", gli "universali" di Aristotele.

A partire dal XVII secolo, il Positivismo si esacerba e perde quel salutare limite intrinseco che é costituito, in Guglielmo di Occam, dalla preponderante autorità delle leggi positive divine. Al posto di queste, Hobbes e Locke pongono la legge puramente umana della coscienza, chiamandola legge naturale (morale) e fondando il diritto sulla sola volontà degli uomini.

Da qui il contratto sociale, l’idolatria collettiva -nutrita dall’opinione pubblica- per una mitica "democrazia", ed infine la dittatura della forza e dell’arbitrio e lo statalismo di chi detiene il potere.

"…Non sto a ripetervi - commenta il Villey - che, al giorno d’oggi, il Positivismo giuridico, anche se rimane la prospettiva cui aderisce il maggior numero di giuristi, é criticato dagli stessi teorici del diritto; insomma, é entrato a sua volta in crisi" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., p.230).

Anche la dottrina del diritto naturale, però, in seguito al Nominalismo, é andata corrompendosi nell’epoca moderna. Se ne é perduta la chiave. I suoi sostenitori cercano di rimodellarla in base alla filosofia vincente, che pure ne é l’esatto contrario; si viene a costruire una dottrina giusnaturalistica a fondamento nominalistico: si ha la pretesa di dedurre il diritto non più dalla natura del cosmo, ma dalla "natura umana" individuale.

Se San Tommaso riabilita la ragione - ma con piena consapevolezza dei suoi limiti e della sua debolezza - il Razionalismo moderno ha la folle ambizione di dedurre dalla natura dell’uomo individuale un sistema di regole giuridiche certe, immutabili, universali; regole giuridiche ipotizzate sullo stesso modello di quelle prodotte dalla legislazione positiva, ma alle quali viene attribuita, come fonte, non la volontà, bensì la Natura o la Ragione. Si tratta di un’informe commistione di diritto naturale e di Positivismo giuridico.

"…É un tentativo fallito in partenza, quello di voler costruire un ordine di relazione tra gli individui a partire dagli individui, così come ha tentato disperatamente di fare la filosofia moderna, ricorrendo all’aiuto di sofismi e di finzioni" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., p.231).

 

1.5. La riforma protestante: Martin Lutero.

Il XVI secolo vive ancora nella fede e tende a ricondurre ogni dimensione della realtá all’interno di tale tradizione, nonostante subisca una lacerazione religiosa che finisce per colpire ogni ambito sociale, anche quello del diritto.

Nel Cinquecento, il mondo occidentale si divide in grandi nazioni cattoliche (Francia, Spagna, Italia) ed in paesi per lo più protestanti, luterani (Germania, Paesi Scandinavi) e calvinisti (Paesi Bassi, Svizzera, parte della Valle del Reno, Scozia, parte degli Stati Uniti): gli uni e gli altri con un modo proprio di considerare il diritto.

Si può capire molto dei loro rispettivi sistemi giuridici, se si comprendono le implicazioni del Luteranesimo, del Calvinismo e delle altre correnti protestanti in tema di diritto.

Lutero nasce da una povera famiglia di minatori in Turingia, nel 1483. Dopo gli studi, orientati marginalmente anche al diritto, egli diventa monaco nel convento degli agostiniani ad Erfurt, dove continua ad approfondire la teologia, in un’atmosfera dominata dal Nominalismo e, in particolare, dal pensiero di Gabriel Biel, un seguace di Occam.

Nel 1512, Lutero attraversa una crisi religiosa e diviene ansioso per la salvezza eterna; "nella torre", in un’improvvisa e presunta rivelazione, egli trova la soluzione alla sua oppressione: l’uomo non riceve la salvezza per le opere, per i meriti che acquista mediante la sua condotta morale, ma, al contrario, secondo le affermazioni di San Paolo, egli é giustificato unicamente per la fede, per la fiducia in Cristo.

Il principio della giustificazione per mezzo della fede, e non per mezzo delle opere, viene a costituire il "principio materiale della Riforma".

É solo per la forza delle circostanze, -la guerra dei contadini e la necessità di fornire in tempi brevi al popolo luterano un surrogato delle vecchie direttive provenienti da Roma- che Martin Lutero é costretto ad occuparsi di questioni giuridiche.

Egli possiede quel gusto (che da allora in poi, si è soliti ritenere tipicamente tedesco) per un ordine sociale severo, basato sulla potenza e sulla violenza, e voluto dalla Provvidenza, così come la forza che lo mantiene in essere: "…Il riformatore ama fare l’elogio della spada…del mestiere del soldato e perfino di quello del boia" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit. p.250). "...Dio ha tanto in onore la spada da chiamarla Sua istituzione...Infatti, la mano che tale spada maneggia non è mano d’uomo, sibbene mano di Dio, né è l’uomo, ma Dio ad impiccare, a mettere alla ruota, decapitare, pugnalare ed uccidere. Sono tutte sue opere e suoi giudizi...Nell’ufficio della guerra, non si deve guardare come si pugnala, abbrucia, colpisce o depreda, poiché fanno così gli occhi dei fanciulli semplici e limitati, i quali, nel medico, non sanno vedere altro se non colui che taglia via la mano o sega la gamba, ma non osservano né intendono come ciò sia necessario per salvare il mondo intero. Orbene, anche l’ufficio della guerra si deve guardare con occhio virile, vale a dire, interpretando il perché di tale uccidere e ferocemente operare; allora si capirà senz’altro che ogni ufficio, in sé, è divino, utile e necessario al mondo, come il mangiare, il bere e qualsivoglia altra opera" (martin lutero, Scritti politici, Utet, Torino, 1959, p. 535).

Per Lutero, che sostiene il diritto soprattutto nel suo ambito penale e repressivo, lo scopo ultimo viene ad essere la repressione dei peccatori per preservare l’ordine in questo mondo.

In verità, egli non pensa più al diritto, ma alla morale ed alla politica; il tratto tipico del diritto naturale classico, e cioè la "giustizia particolare", il suum cuique tribuere scompare: l’ontologia del diritto moderno o, per meglio dire, l’assenza di ontologia del diritto nella filosofia moderna, è contenuta in germe in questa riduzione del diritto ad una tecnica di repressione al servizio dell’ordine sociale ed in questa spaccatura introdotta tra il diritto e la giustizia.

Una delle sue connotazioni essenziali, allora, è quella della sanzione, dell’uso della forza. Così, mentre nel diritto naturale classico, il compito essenziale del giurista é quello di scoprire quale sia la giusta parte che spetta a ciascun soggetto, e l’uso della forza per far rispettare la sentenza del giudice é di competenza delle forze ausiliarie della giustizia, con la Riforma protestante, é il giurista stesso, in quanto tale, a doversene occupare. Tale affanno, sia che riguardi le leggi divine positive contenute nella Scrittura, sia le leggi positive emanate dai sovrani, annulla il diritto come qualcosa che va ricercato e scoperto, come l’id quod justum est (ció che é giusto). L’identificazione moderna del diritto e delle leggi positive imposte dal legislatore è già tutta in Lutero.

Nella prospettiva di Lutero in merito al diritto, cosa resta del metodo giusnaturalistico? Si può affermare che egli sia uno dei maestri che contribuiscono all’affermazione, nel mondo moderno, del Positivismo giuridico? Villey sostiene che "...la teologia di Lutero, e la sua visione del mondo, impongono il rigetto del diritto naturale", ma molti filosofi non pensano in egual modo.

Nella dottrina del filosofo tedesco, d’altra parte, si concepisce il Regno di Dio radicalmente separato da quello di questo mondo, cioè, esso è come l’ambito in cui dovrebbe esercitarsi l’assoluta "libertà cristiana" ed in cui ogni altra legge sarebbe da considerare trascesa e superata, un ambito, quindi, assolutamente agiuridico.

Il regno di questo mondo, invece, é segnato dal peccato, "...ed anche se Lutero avesse ammesso in Dio la previsione originale di un ordine della creazione, la sua teologia del peccato gli avrebbe impedito di ritenerlo persistente nell’umanità corrotta, così come essa è divenuta dopo il peccato originale. Infatti, a seguito di questo, la natura umana, per Lutero, è distrutta, ancor più che malata o viziata" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., pp.253, 256) e, poiché essa è malvagia, il diritto non può prenderla a modello, ma deve andarle contro.

Il fondamento della dottrina del diritto naturale si basa su una certa fiducia nell’intelligenza dell’uomo: essa presuppone che la ragione umana sia ancora in grado di discernere le istituzioni naturali da quelle che vanno contro natura; che in essa non sia spenta quella "scintilla" (o più precisamente quella sinderesi) che le permette di discernere nelle cose il giusto dall’ingiusto.

La teologia di Lutero, invece, umilia la ragione umana, da lui stesso definita "...la più grande delle puttane del diavolo" (martin lutero, Scritti politici, Op. cit., p.142): ecco perché si deve ritenere che il pensiero di Lutero sia inconciliabile con la tradizione giusnaturalistica.

Nella logica del suo sistema -che non può ammettere altre fonti del diritto all’infuori delle leggi positive- vi sono le leggi positive divine, anche se la vera fonte del diritto effettuale, che regge il mondo, é la legge positiva umana, promulgata dai sovrani, non più sottomessa, come é in San Tommaso, al controllo dei giudici e della dottrina sulla giustezza del loro contenuto: per Lutero l’autorità della legge è incondizionata.

Lutero, servendosi di ciò che San Paolo predica ai cristiani, ossia, l’ubbidienza all’autorità superiore quale regola di condotta individuale, instilla nel popolo tedesco il germe di una forma originale di giuspositivismo fondata sulla fede religiosa, che risulta estrema nelle conseguenze e che si riassume nel culto dell’autorità, nell’apologia della sottomissione e della disciplina. Questo germe fruttifica con lentezza, nella filosofia tedesca e nel pensiero comune, tanto che lo si rinviene anche in Pufendorf, Kant, Stahl, Bismarck.

 

1.5.1. La riforma calvinista.

La Riforma calvinista del Cinquecento, attraverso l'Editto di Nantes nella seconda metà del XVI secolo, attrae una gran quantità di intellettuali della Valle del Reno, della Germania settentrionale, dell'Olanda, della Scozia, dell'Inghilterra, delle prime colonie americane e della Francia.

Essa si pone come continuazione di quella luterana e ne accetta i principi ispiratori.

Per formazione e temperamento, Calvino è davvero un intellettuale. La sua opera, di carattere dogmatico, si struttura nelle istituzioni, cioè nel libro intitolato scolasticamente Institution de la religion chrétienne, un libro scritto tutto a partire dal principio del primato della parola di Dio contenuta nella Sacra Scrittura, ed in cui si fa evidente la presenza della tendenza umanistica di rifarsi unicamente alle fonti. Da questo assioma, derivano alcune conseguenze logiche: la distruzione sistematica della maggior parte delle istituzioni della Chiesa cattolica, della sua gerarchia, della maggior parte dei Sacramenti ed anche la severa dottrina della predestinazione.

Commenta M. VILLEY: "...Con l’opera di Calvino, comincia a delinearsi pienamente la separazione radicale tra diritto e morale" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit. p.270).

Il Decalogo, il Deuteronomio, le massime morali dei profeti e la saggezza dei proverbi: ecco quali sono le fonti principali della morale calvinista.

Qual è, dunque, la novità di questa etica? Ciò che è davvero nuovo è l’esclusivismo, l’atteggiamento di ubbidienza letterale che Calvino adotta nei confronti di queste norme: la morale non è più il prodotto dell’opera autonoma della ragione, ma la sottomissione letterale ai comandi di Dio, alle leggi divine positive, emananti dalla volontà di Dio e promulgate nella Sacra Scrittura.

L’operazione di Calvino, di quest’uomo innamorato della Scrittura, consiste in un ritorno alla concezione ebraica: l’unica legge che conta veramente è quella morale, nella quale non entra a far parte la giustizia distributiva.

Che ne è del diritto, in un simile contesto? Esso non viene meno, ma deve cambiare funzione, oggetto, fonte, natura: al progresso morale, corrisponde la progressiva svalutazione del diritto o, almeno, di ciò che la tradizione classica ritiene pertinente al diritto.

"...Ogni uomo - dice Calvino - deve essere sottomesso all’autorità superiore, perché essa viene da Dio; Dio ordina l’ubbidienza anche nei confronti dei tiranni" e "...non vuole che i sudditi si intromettano negli affari pubblici temporali, se non vi siano stati invitati dal sovrano". "...Tutti i sudditi devono ubbidire al sovrano come i figli devono ubbidire al padre" (calvino, Institution chrétienne, tomo IV, pp.236, 228 e p.237 e in l'Epistola dedicatoria dell’opera, p.8, 30, 31-39 e il tomo IV, pp.226-227).

Per Calvino, dunque, così come per Lutero, il diritto, che ha validità nei confronti dei sudditi, ha come fonte il precetto del sovrano ed i giuristi stessi non sono altro che sudditi del principe. Positivismo giuridico.

"...A mio parere - dice Villey - il Positivismo è un prodotto del protestantesimo di Calvino, fondato, come quello di Lutero, sui testi dell’Epistola ai Romani, che ha promosso nel pensiero moderno il primato delle leggi positive umane, almeno nei limiti in cui ha prescritto ai sudditi un’ubbidienza senza restrizioni agli ordini dell’autorità" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., pp.282 e 283).

La ragione umana, poi, nella Riforma calvinista, ha una funzione da esercitare nell’ambito del diritto. Nell’Institution chrétienne afferma: "...tutti gli uomini, malgrado le divergenze che possano esserci tra di loro, concordano nel riconoscere una qualche misura di equità" (calvino, Institution chrétienne, Op. cit., p.116); e "..c’è in tutti gli uomini un qualche principio relativo all’ordine politico; il che è un grande argomento per sostenere che nessun uomo è privato del lume della ragione in ordine al governo della vita temporale". In realtà, però, Calvino stesso nega alla ragione ogni competenza sulla vera giustizia.

In quale ambito, allora, egli le rende la sua autorità? Solo "...in quello della politica e dell’economia" (calvino, Institution chrétienne, Op. cit., p.157).

1.6. La Scolastica spagnola.

Il XVI secolo è l’epoca della preponderanza spagnola in tutta l’Europa, quando, con orgoglio, re Carlo V ed il suo successore Filippo II affermano di regnare su di un Impero "…in cui non tramonta mai il sole" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit. p.295). In Spagna, questo, è il secolo d’oro, il tempo del Greco e dell’Escorial, di Cervantes, di Santa Teresa d’Avila, di San Giovanni della Croce e di Ignazio di Loyola.

La peculiarità della scienza spagnola del XVI secolo sta nel fatto che essa è gestita dai chierici e soprattutto dagli ordini religiosi: ecco perchè lo studio del diritto manifesta una massiccia presenza di teologia e di filosofia del diritto.

In primo luogo, vi sono i Predicatori. Tra di essi si ricordano Vitoria, Soto, De Castro, specialista di diritto penale, Medina e Banez.

In secondo luogo, i Gesuiti: l’ordine della Compagnia di Gesù, Gabriel Vazquez e Molina. La scuola gesuitica porta all’estremo la reazione cattolica.

Fuori dalla Spagna, essa è rappresentata dall’olandese Lessius e dal Cardinale Bellarmino, ambedue professori a Lovanio, e dallo spagnolo Francesco Suárez, nei quali si nota la reazione antiprotestante ed il ritorno al pensiero di San Tommaso.

A Roma, agli inizi del XVI secolo, il Cardinale Gaetano compone il suo grande commento alla Summa Theologiae, mentre, a Salamanca, Vitoria permette che l’opera di San Tommaso diventi la base degli studi del più grande centro intellettuale del mondo cattolico: il successo del tomismo è tale che, nel 1559, il Papa decide di proclamare San Tommaso "Dottore della Chiesa".

"...É stato un bel servizio -dice Villey-, quello che la Spagna ha reso a tutta l'Europa moderna: l’opera di San Tommaso poteva anche restare ignota, come lo è poi divenuta. Grazie invece a Vitoria ed ai suoi colleghi di Salamanca, essa, sia pure trasmessa con maggiore o minore fedeltà, è entrata a far parte dell’arsenale della cultura dell’Europa moderna" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., p. 298).

La scuola di Salamanca prende dalla Summa Theologiae, in particolare, la nozione di diritto naturale: essa ribadisce che esistono fonti naturali del diritto ed è all’intelligenza umana che bisogna domandare quali siano le regole della giustizia.

I maestri di Salamanca, però, insistono sulla laicità del diritto, fino al punto di negare che la fonte del diritto sia Dio: il diritto naturale, infatti, sarebbe esattamente lo stesso, quand’anche Dio non esistesse affatto (etsi daremus Deum non esse).

Questa dottrina, quindi, é sostanzialmente diversa dal pensiero di San Tommaso, che pone in Dio le radici del diritto naturale.

I gesuiti Molina e Vasquez, anche se non hanno l’adesione piena dei maestri di Salamanca, anticipano il razionalismo del mondo moderno, che orienta la Scuola del diritto naturale verso un laicismo integrale. Ciò, invece, in cui tutti sono d’accordo è il principio, tipico della dottrina tomista, secondo il quale, le fonti profane e pagane del diritto, accessibili alla ragione naturale che osserva il mondo naturale, non sono assolutamente da trascurare per la conoscenza del diritto: l’Umanesimo diffuso in Spagna, infatti, é pieno di citazioni dei classici latini.

A Salamanca, il rinnovamento del tomismo si accompagna alla fioritura di studi giuridici, di cui trae beneficio l’Europa intera. L’autorità delle leggi -si afferma- viene da Dio, nel senso che Lui ha voluto che in ogni gruppo politico ci fossero dei capi e non solo per castigare gli uomini e trasmettere loro la collera di Dio, ma anche per organizzare, operare la ripartizione dei beni e determinare il giusto: questo è l’ordine della natura. Ma da ciò non si può trarre la conseguenza che Dio abbia scelto nominalmente quel certo titolare della sovranità; secondo l’ordine naturale si deve dire, piuttosto, che l’autorità viene da Dio attraverso quello intermediario che è il popolo (a Deo per populum). All’assolutismo arbitrario che nasce dai principi luterani si sostituisce l’idea di un regime costituzionale.

La Scolastica spagnola sviluppa la lezione di San Tommaso aprendo la via a ciò che è chiamato Tomismo, ma che, in realtà, differisce dal pensiero dell’Aquinate: in ciò, bisogna vedere l’apporto più personale degli scolastici spagnoli ed è "...Suàrez, che inaugura quella commistione di San Tommaso con i principi antitomistici", perdendo "...la chiave della dottrina tomista, le sue premesse metafisiche, ciò che costituisce il fondamento autentico del diritto naturale e la sua linfa nutritiva". "...Da questo momento in poi i giusnaturalisti - o quelli che si credono tali- vengono conquistati dalle premesse del giuspositivismo" (M. VILLEY, La formazione... , Op. cit., p.337, 338).

Nel Cinquecento, rinasce una cultura profana nel campo della ricerca ed emergono figure di umanisti come Rabelais, Montaigne, Erasmo, Vivés, Giusto Lipsio. Il prodotto dei loro sforzi è un Rinascimento: più che creare opere originali, l’azione dello Umanesimo è soprattutto quella di riscoprire e di rimettere in onore i filosofi dell’antichità, che la cultura medievale trascura. Questi filosofi elaborano le dottrine comunemente chiamate ellenistiche, che sono il prodotto della tarda antichità, posteriori al declino di Atene ed alle grandi conquiste di Alessandro, trasmesse ai posteri soprattutto grazie agli autori latini.

Il pensiero dell’Europa moderna ed il Positivismo moderno si radicano senza dubbio in queste filosofie pagane, portando la corruzione delle idee di diritto, di diritto naturale, di natura delle cose, del metodo dialettico nella ricerca della soluzione giusta; ossia, ad un deciso allontanamento dalla filosofia classica.