Conte Joseph De Maistre (1753-1821)

VIII. Dell'antica costituzione francese.
Digressione sul re e sulla sua dichiarazione ai francesi del mese di luglio 1795

 

Sull'antica costituzione francese sono state sostenute tre tesi diverse; aldini hanno preteso che la nazione non avesse alcuna costituzione; altri hanno affermato il contrario; altri ancora, come succede in tutte le questioni importanti, hanno adottato una posizione intermedia : hanno sostenuto che i francesi avevano una vera costituzione, ma che questa non veniva osservata.

La prima posizione è insostenibile. Le altre due non si contraddicono realmente.

Lo sbaglio di chi ha preteso che la Francia non avesse alcuna costituzione dipendeva dalla concezione assolutamente erronea circa il potere dell'uomo, la sua capacità deliberante e le leggi scritte. Se qualcuno, provvisto anche solo di buon senso e di onestà, chiedesse in buona fede che cos'era l'antica costituzione francese, si potrebbe rispondergli francamente: "È quel che voi sentivate quando eravate in Francia; è quell'insieme di libertà e di poteri, di leggi e di opinioni, che faceva credere allo straniero, suddito di una monarchia e viaggiatore in Francia, di trovarsi sotto un governo diverso dal suo".

Ma se si vuole approfondire la questione, si troveranno, nei monumenti del diritto pubblico francese, caratteri e leggi che innalzano la Francia al di sopra di tutte le monarchie conosciute.

Un tratto peculiare di questa monarchia è che essa possiede un certo elemento teocratico, che le è proprio e che le ha consentito quattordici secoli di durata: nulla è cosi spiccatamente nazionale quanto tale elemento. I vescovi, da questo punto di vista successori dei druidi, lo hanno solo perfezionato.

Non credo che alcun'altra monarchia europea abbia impiegato, per il bene dello Stato, un cosi gran numero di sacerdoti nel governo civile. Risalgo col pensiero dal pacifico Fleury fino a quei Sant'Ouèn, quei San Léger (1), e tanti altri personaggi eminenti dal punto di vista politico nei secoli bui ; veri e proprì Orfei della Francia, che addomesticarono le tigri e si fecero seguire dalle querce: dubito che altrove si possa trovare niente di simile.

Ma, mentre il sacerdozio era in Francia una delle tre colonne che sostenevano il trono e svolgeva un ruolo cosi importante nelle assemblee della nazione, nei tribunali, nel ministero, nelle ambasciate, non si notava o si notava poco la sua influenza nell'amministrazione civile; e perfino quando un prete era primo ministro, non si aveva in Francia un governo di preti.

Tutte le influenze erano molto ben equilibrate, e ciascuno stava al proprio posto. Da questo punto di vista, è l'Inghilterra che assomigliava di più alla Francia. Se mai essa bandisse dal suo linguaggio politico le parole Church and State, il suo governo perirebbe come quello della sua rivale.

Era di moda in Francia (poiché tutto è moda in questo paese) dire che vi si era schiavi. Ma perché allora si trovava nella lingua francese la parola citoyen, prima ancora che la rivoluzione se ne impadronisse per disonorarla, parola che non può essere tradotta nelle altre lingue europee? Racine figlio, a nome della città di Parigi, indirizzava questo bei verso al re di Francia: Sous un roi citoyen, tout citoyen est roi (2).

Per lodare il patriottismo di un francese, si diceva: c'est un grand citoyen. Si cercherebbe invano di trasportare questa espressione nelle altre nostre lingue: gross burger in tedesco (3), gran cittadino in italiano, ecc. non sarebbero tollerabili (4). Ma bisogna uscire dalle considerazioni generali.

Diversi membri dell'antica magistratura hanno raccolto e sviluppato i principi della monarchia di Francia in un libro interessante, che sembra meritare tutta la fiducia dei francesi (5).

Questi magistrati cominciano, com'è giusto, dalla prerogativa reale, e in effetti non vi è cosa più grandiosa.

"La costituzione attribuisce al re il potere legislativo; da lui emana ogni giurisdizione. Egli ha il diritto di amministrare la giustizia e di farla amministrare dai suoi ufficiali, di concedere la grazia, di accordare privilegi e ricompense; di disporre delle cariche, di conferire la nobiltà; di convocare e di sciogliere le assemblee della nazione, quando glielo detta la sua saggezza; di fare la pace e la guerra, e di mobilitare l'esercito" Pagina 28.

Si tratta certamente di grandi prerogative. Ma osserviamo ciò che la costituzione francese ha posto sull'altro piatto della bilancia.

"II re non regna che in virtù della legge e non ha il potere di agire secondo il proprio arbitrio" P. 364.

"Esistono leggi di fronte alle quali gli stessi re, secondo l'espressione divenuta famosa, si sono dichiarati nella felice impossibili fa di violarle; sono le leggi del regno, a differenza delle leggi di circostanza o non-costituzionali, chiamate leggi del re" Pp. 29 e 30.

"Così, per esempio, la successione al trono è, rigorosamente, una primogenitura maschile" P. 253.

"I matrimoni dei principi di sangue, celebrati senza l'autorizzazione del re, sono nulli" P. 262.

"Se la dinastia regnante si estingue, è la nazione che si da un re" P. 263, ecc.

"I re, in quanto legislatori supremi, hanno sempre parlato in modo affermativo, rendendo pubbliche le loro leggi. Esiste però anche un consenso del popolo; ma questo consenso è solo l'espressione del voto, della riconoscenza e dell'accettazione della nazione" P. 271 (6).

"Tre ordini, tre camere, tre deliberazioni: così la nazione viene rappresentata. Il risultato delle deliberazioni, se è unanime, esprime il voto degli Stati generali" P. 332.

"Le leggi del regno possono essere promulgate solo nell'assemblea generale di tutto il regno, con il comune accordo dei membri dei tre stati. Il principe non può derogare a queste leggi; se egli osa toccarle, tutto quel che ha fatto potrà essere annullato dal suo successore. " Pp. 292, 293.

" La necessità del consenso della nazione per fissare le imposte è una verità incontestabile riconosciuta dai re. " P. 302.

" II voto di due ordini non può vincolare il terzo, se non col suo consenso. " P. 302.

" II consenso degli Stati generali è necessario per qualsiasi alienazione perpetua del demanio. " P. 303. " E la stessa vigilanza viene raccomandata per impedire qualunque smembramento parziale del regno" P. 304.

"La giustizia è amministrata, in nome del re, da magistrati che esaminano le leggi e che controllano che non siano contrarie alle norme fondamentali. " P. 343. Una parte del loro dovere è di resistere alla volontà traviata del sovrano. È sulla base di questo principio che il famoso cancelliere dell'Ospedale, rivolgendosi al Parlamento di Parigi nel 1561, diceva: I magistrati non devono mai lasciarsi intimidire dalla collera passeggera dei sovrani né dal timore delle disgrazie, ma avere sempre presente il giuramento di obbedienza alle ordinanze, che sono i veri comandamenti dei re" P. 345.

È successo che Luigi XI, bloccato da un doppio rifiuto del suo Parlamento, desistesse da un'alienazione incostituzionale" P. 343

È successo che Luigi XIV riconoscesse solennemente il diritto di libera verifica (p. 347) e comandasse ai suoi magistrati di disobbedirgli, sotto pena di disobbedienza, se mai avesse rivolto loro ordini contrari alla legge. P. 345. Questa intimazione non è un gioco di parole: il re vieta di obbedire all'uomo; non ha nemico più grande di lui.

Questo superbo monarca ordina inoltre ai suoi magistrati di considerare nulle tutte le lettere patenti che riguardino avocazioni o commissioni di altro genere per il giudizio delle cause civili e criminali, e anzi di punire i latori di queste lettere. P. 363.

I magistrati esclamano: Terra felice, dove la servitù è ignota! P. 361. Ed è un prete rinomato per la sua pietà e la sua dottrina (Fleury) che scrive, illustrando il diritto pubblico di Francia: In Francia tutti gli individui sono liberi; niente schiavitù: libertà per domicilio, viaggi, commerci, matrimoni, scelta della professione, acquisizioni, disposizioni di beni, successioni. P. 362.

"II potere militare non deve intervenire nell'amministrazione civile. " I governatori delle province devono occuparsi solo delle armi, e non possono servirsene che contro i nemici dello Stato, non contro il cittadino, che è sottoposto alla giustizia del suo paese. P. 364.

"I magistrati sono inamovibili, e queste importanti cariche non possono vacare che per la morte del titolare, le dimissioni volontarie o la prevaricazione legalmente accertata" (7) P. 356.

"II re, per le cause che lo riguardano, si difende nei suoi tribunali contro i suoi sudditi. È capitato che venisse condannato a pagare la decima dei frutti dei suo giardino, ecc." P. 367, ecc.

Se i francesi si fanno un esame in buona fede, lasciando tacere le passioni, sentiranno che ce n'è abbastanza, e forse più che abbastanza, per una nazione troppo nobile per essere schiava, e troppo impetuosa per essere libera.

Si dirà forse che queste belle leggi non venivano applicate? In questo caso, era colpa dei francesi, e non c'è più per loro speranza di libertà: perché quando un popolo non sa trarre partito dalle proprie leggi fondamentali, è del tutto inutile che ne cerchi altre : è segno che non è fatto per la libertà, oppure che è irrimediabilmente corrotto.

Ma respingendo queste ipotesi sinistre, citerò, sull'eccellenza della costituzione francese, una testimonianza insospettabile da tutti i punti di vista: è quella di un grande politico e di un repubblicano ardente; è quella di Machiavelli.

Ei sono, dice, e sono stati assai principi; e de' buoni e de' savi ne sono stati pochi: io dico de' principi che hanno potuto rompere quel freno che gli può correggere; intra i quali non sono quegli re che nascevano in Egitto, quando in quella antichissima antichità si governava quella provincia con le leggi, né quegli che nascevano in Sparta, né quegli che a' nostri tempi nascano in Francia, il quale regno è moderato più dalle leggi che alcuno altro regno di che ne' nostri, tempi si abbia notizia (8).

In esempio ci è il regno di Francia, dice altrove, il quale non vive sicuro per altro che per essersi quelli re obbligati a infinite leggi, nelle quali si comprende la sicurtà di tutti i suoi populi. E chi ordinò quello stato (9) volle che quelli re, dell'armi e del denaro facessero a loro modo, ma che d'ogni altra cosa non ne potessono altrimenti disporre che le leggi si ordinassero (10).

Chi non rimarrebbe colpito nel vedere come questo potente ingegno considerava, tre secoli fa, le leggi fondamentali della monarchia di Francia?

Su questo punto, i francesi sono stati guastati dagli inglesi, Costoro hanno detto, senza crederlo, che la Francia era schiava, così come hanno detto che Shakespeare valeva più di Racine, e i francesi lo hanno creduto. Perfino l'onesto giudice Blackstone (11), verso la fine dei suoi Commentari, ha posto sullo stesso piano la Francia e la Turchia; sulla qual cosa bisogna dire, come Montaigne: L'impudenza di un tale accostamento non sarà mai schernita abbastanza.

Ma questi inglesi, quando hanno fatto la loro rivoluzione (almeno quella che ha retto), hanno forse soppresso la monarchia o la Camera dei pari per darsi la libertà? Per nulla. Anzi, dalla loro antica costituzione hanno tratto la dichiarazione dei loro diritti.

Non esiste in Europa nazione cristiana che non sia, di diritto, libera o abbastanza libera. Non ve n'è alcuna che non abbia, nei monumenti più puri della sua legislazione, tutti gli elementi della costituzione che le conviene. Ma bisogna soprattutto guardarsi dall'enorme errore di credere che la libertà sia qualcosa di assoluto, non suscettibile di un più o di un meno. Ricordiamoci le due botti di Giove; invece del bene e del male, mettiamoci la quiete e la libertà. Giove gioca con la sorte delle nazioni; un po' più dell'una e un po' meno dell'altra. L'uomo non entra per niente in questa distribuzione.

Un altro errore assai funesto è quello di legarsi troppo rigidamente ai monumenti antichi. Bisogna certo portare loro rispetto, ma soprattutto bisogna tenere conto di ciò che i giureconsulti chiamano l'ultimo stato. Ogni costituzione libera è, per sua natura, variabile, ed è variabile nella misura in cui è libera (12); volerla ricondurre ai suoi elementi originari senza modificare niente è un'impresa folle.

Tutto sta a dimostrare che i francesi hanno voluto superare i limiti del potere umano; che questi sforzi disordinati li conducono alla schiavitù; che essi hanno solo bisogno di conoscere ciò che già possiedono, e che se mai sono destinati a un grado di libertà più alto di quello di cui godevano sette anni fa (il che non è affatto evidente), essi dispongono, nei monumenti della loro storia e della loro legislazione, di tutto quanto serve per diventare il vanto e l'invidia dell'Europa intera (13).

Ma se i francesi sono fatti per la monarchia, e se si tratta soltanto di porre la monarchia sulle sue basi autentiche, quale errore, quale fatalità, quale funesto pregiudizio potrebbe allontanarli dal loro legittimo sovrano?

In una monarchia, la successione ereditaria è una cosa così preziosa, che ogni altra considerazione deve cedere dinanzi ad essa. Il più gran delitto che un francese realista possa commettere è di vedere in Luigi XVIII altro che il proprio re, e di diminuire il favore di cui occorre circondarlo, discutendo criticamente le qualità dell'uomo e le sue azioni. Sarebbe ben vile e colpevole quel francese che non si vergognasse di risalire ai tempi andati per cercare torti veri o presunti! L'ascesa al trono è una nuova nascita: è solo da quel momento che si comincia a contare.

Se nella morale esiste un luogo comune, è che il potere e la grandezza corrompono l'uomo e che i re migliori sono quelli messi alla prova dalle avversità. Perché dunque i francesi dovrebbero privarsi del vantaggio di essere governati da un principe formato alla terribile scuola della sventura? Quante riflessioni devono aver suscitato in lui i sei anni appena trascorsi! quanto distante deve essere dall'ebbrezza del potere! quante cose deve essere disposto a intraprendere per regnare gloriosamente! da quale santa ambizione deve essere posseduto! Quale altro principe al mondo potrebbe avere un maggior numero di motivi, di desideri, di mezzi per sanare le piaghe della Francia!

I francesi non hanno forse gustato abbastanza il sangue dei Capeti? Essi sanno, per otto secoli di esperienza, che questo sangue è dolce. Perché cambiare? Il capo di questa grande famiglia, nella sua dichiarazione (14), si è mostrato leale, generoso, profondamente compenetrato dalle verità religiose; nessuno gli contesta il molto ingegno e le molte conoscenze. Vi fu un tempo, forse, in cui era utile che il re non conoscesse l'ortografia; ma in questo secolo, in cui si crede ai libri, un re letterato è un vantaggio. Quel che più importa, è che non si può supporre in lui nessuna di quelle idee esagerate capaci di allarmare i francesi. Chi potrebbe dimenticare che egli non piacque a Coblenza ? È un grande titolo di merito per lui. Nella sua dichiarazione, ha pronunciato la parola libertà; e se qualcuno obiettasse che questa parola è stata lasciata in ombra, si può rispondere che un re non deve parlare il linguaggio delle rivoluzioni. Un discorso solenne rivolto al popolo deve distinguersi per una certa sobrietà nei progetti e nelle espressioni, che non abbia niente in comune con la precipitazione propria di un privato individuo. Quando il re di Francia ha detto: Che la costituzione francese sottomette le leggi ad alcuni principi che essa ha consacrato, e il sovrano medesimo all'osservanza delle leggi, al fine di premunire la saggezza del legislatore contro le insidie della seduzione e di difendere la libertà dei sudditi contro gli abusi dell'autorità, egli ha detto tutto, poiché ha promesso la libertà attraverso la costituzione. Il re non deve parlare come un oratore della tribuna parigina. Se ha scoperto che si sbaglia a trattare la libertà come qualcosa di assoluto, che essa è al contrario suscettibile di un più e di un meno; e che l'arte del legislatore non è dì rendere il popolo libero, ma abbastanza libero, ha scoperto una grande verità, e bisogna lodarlo per la sua discrezione invece di biasimarlo. Un celebre romano, nel momento in cui rendeva la libertà al popolo che ad essa era più adatto e che da più lungo tempo la sperimentava, aveva detto: Libertate modice utendum (15). Cosa avrebbe detto ai francesi? Parlando sobriamente della libertà, il re pensava sicuramente meno ai propri interessi che a quelli della sua nazione.

La costituzione, dice ancora il re, detta le condizioni per il prelievo delle imposte, al fine di rassicurare il popolo che i tributi che paga sono necessari alla sicurezza dello Stato. Il re non ha dunque il diritto di tassare in modo arbitrario, e questa sola ammissione già esclude il dispotismo.

La costituzione affida la custodia delle leggi ai primi corpi della magistratura, affinché ne sorveglino l'esecuzione e illuminino la religiosità del monarca nel caso si fosse oscurata. Ecco il patrimonio delle leggi rimesso nelle mani dei supremi magistrati; ecco consacrato il diritto di rimostranza. Ora, ovunque un corpo di grandi magistrati ereditari, o almeno inamovibili, detenga, secondo la costituzione, il diritto di ammonire il monarca, di illuminare la sua pietà e di dolersi dei suoi abusi, là non può esservi traccia di dispotismo.

La costituzione pone le leggi fondamentali sotto la protezione del re e dei tre ordini, al fine di prevenire le rivoluzioni, la più grande fra le calamità che possano affliggere i popoli.

Una costituzione dunque esiste, giacché la costituzione non è altro che l'insieme delle leggi fondamentali; e il re non può toccare queste leggi. Se egli vi provasse, i tre ordini avrebbero su di lui il potere di veto, come ciascuno di loro lo possiede sugli altri due.

E di sicuro si sbaglierebbe se si accusasse il re di aver parlato troppo vagamente; infatti questa vaghezza è precisamente la prova di una grande saggezza. Il re avrebbe agito in modo assai imprudente se avesse stabilito dei limiti che gli avrebbero impedito di avanzare o di indietreggiare: riservandosi un certo margine per l'esecuzione, ha agito da uomo ispirato. I francesi se ne accorgeranno un giorno: riconosceranno che il re ha promesso tutto quello che poteva promettere.

Carlo II si è forse trovato bene per avere aderito alle proposte degli scozzesi? Dicevano a lui, come viene detto a Luigi XVIII:

" Bisogna adattarsi ai tempi; bisogna cedere: È una follia sacrificare la corona per salvare la gerarchia ". Egli diede ascolto, e fece malissimo. Il re di Francia è più saggio: come mai i francesi si ostinano a non rendergli giustizia?

Se questo principe avesse commesso la follia di proporre ai francesi una nuova costituzione, allora si sarebbe potuto accusarlo di tenersi maliziosamente nel vago, giacché di fatto sarebbe stato come se non avesse detto niente. Se avesse proposto un'opera propria, un grido unanime si sarebbe levato contro di lui, e questo grido sarebbe stato giustificato, Con quale diritto, infatti, si sarebbe fatto obbedire, dal momento che abbandonava le antiche leggi? Ciò che è arbitrario non è forse proprietà comune, a cui tutti hanno uguale diritto? Non c'è giovanotto in Francia che non avrebbe mostrato i difetti della nuova opera e proposto delle correzioni. Si esamini bene la cosa, e si vedrà che il re, una volta abbandonata l'antica costituzione, non aveva più che una cosa da dire: Farò quello che vorranno. A questa frase indecente e assurda si sarebbero ridotti tutti i suoi più bei discorsi, una volta tradotti in linguaggio chiaro. Si riflette seriamente su questo aspetto, quando si biasima il re per non avere proposto ai francesi una nuova costituzione? Da quando la sovversione ha dato inizio alle spaventose disgrazie della sua famiglia, egli ha visto tre costituzioni accettate, giurate, solennemente consacrate, Le prime due sono durate solo un momento, e la terza non esiste che di nome. Il re doveva forse proporne cinque o sei ai suoi sudditi per lasciare loro la scelta? Le tre prove sono costate abbastanza caro perché nessun uomo sensato possa immaginare di proporne un'altra. Questa nuova proposta, che sarebbe pura follia da parte di un privato individuo, da parte del re sarebbe una follia e un delitto.

In qualunque modo si fosse comportato, il re non poteva accontentare tutti. C'erano alcuni inconvenienti a non pubblicare nessuna dichiarazione; ce n'erano a pubblicarla cosi com’è; ce n'erano a farla diversamente. Nel dubbio, ha fatto bene ad attenersi ai principi e a non urtare che le passioni e i pregiudizi, dicendo che la costituzione francese sarà per lui come l'arca dell'alleanza. Se i francesi esamineranno questa dichiarazione con sangue freddo, scommetto che vi troveranno di che portare rispetto al re. Nelle circostanze terribili in cui si è trovato, niente era più seducente della tentazione di transigere sui principi per riconquistare il trono. Tanti hanno detto e tanti hanno creduto che il re si rovinava ostinandosi nelle vecchie idee! Sembrava naturale dare ascolto alle proposte di accomodamento! soprattutto era talmente facile acconsentire a tali proposte mantenendo la riserva mentale di ritornare all'antica prerogativa, senza venir meno alla lealtà e appoggiandosi unicamente sulla forza delle cose, che c'è voluta molta franchezza, molta nobiltà, molto coraggio per dire ai francesi: " Io non posso rendervi felici; non posso e non debbo regnare che per mezzo della costituzione: non toccherò l'arca del Signore; aspetto che ritorniate alla ragione; aspetto che abbiate compreso questa verità cosi semplice, così evidente e che tuttavia vi ostinate a respingere: vale a dire che, con la stessa costituzione, posso darvi un regime completamente diverso ".

Oh! come si è dimostrato prudente il re dicendo ai francesi che la loro antica e saggia costituzione era per lui l'arca santa e che gli era vietato manometterla temerariamente; nondimeno egli aggiunge che vuole renderle tutta la purezza che il tempo aveva corrotto e tutto il vigore che il tempo aveva indebolito.

Ancora una volta, parole ispirate: infatti, vi. si vede chiaramente quel che è in potere dell'uomo, separato da ciò che appartiene solo a Dio. Non c'è in questa dichiarazione, cui troppo poco si riflette, una sola parola che non debba raccomandare ai francesi il loro monarca.

Sarebbe desiderabile che questa nazione impetuosa, che non sa ritornare alla verità prima di avere esaurito l'errore, finalmente si accorgesse di un'evidenza assai tangibile: che essa è vittima e zimbello di un piccolo numero dì uomini che si frappongono tra lei e il suo legittimo sovrano, dal quale non può aspettarsi che dei benefìci. Facciamo pure l'ipotesi peggiore: Il re lascerà cadere la spada della giustizia su alcuni parricidi; punirà con umiliazioni alcuni nobili che si sono comportati male. E che importa a te, buon agricoltore, laborioso artigiano, pacifico cittadino, chiunque tu sia, cui il cielo ha donato l'oscurità e la felicità! Pensa che tu formi, insieme ai tuoi simili, quasi tutta la nazione e che il popolo intero soffre tutti i mali dell'anarchia solo perché un pugno di miserabili lo induce a temere il suo re, di cui essi hanno paura.

Mai popolo alcuno avrà lasciato sfuggire un'occasione più bella, se continua a rifiutare il proprio re, poiché si espone ad essere dominato per forza invece di incoronare esso stesso il proprio legittimo sovrano. Che grande merito acquisterebbe presso di lui! con quali sforzi di zelo e di amore il re cercherebbe di ricompensare la fedeltà del suo popolo! Le aspirazioni nazionali sarebbero sempre presenti ai suoi occhi per animarlo alle grandi imprese, alle instancabili fatiche che la rigenerazione della Francia esige dal suo capo, e tutti i momenti della sua vita sarebbero consacrati alla felicità dei francesi.

Ma sanno costoro quale sarà la loro sorte, se si ostineranno a respingere il re? I francesi sono abbastanza maturati attraverso le sofferenze per intendere una dura verità: cioè che in mezzo agli accessi della loro fanatica libertà, il freddo osservatore è spesso tentato di esclamare come Tiberio: O homines ad servitutem natos! Esistono, come si sa, diverse specie di coraggio, e certamente il Francese non le possiede tutte. Intrepido dinanzi al nemico, non lo è dinanzi all'autorità, nemmeno la più ingiusta. Niente eguaglia la pazienza di questo popolo che si dice libero. In cinque anni gli hanno fatto accettare tre costituzioni e il governo rivoluzionario. I tiranni si succedono e il popolo obbedisce sempre. Non si è visto riuscire nessuno dei suoi sforzi per trarsi fuori dalla propria nullità. I suoi padroni sono arrivati fino al punto di fustigarlo facendosi beffe di lui. Gli hanno detto: Voi credete di non volere questa legge, ma state certi che la volete. Se osate rifiutarla, tireremo su di voi con la mitraglia per punirvi di non volere quello che volete. - E lo hanno fatto.

C'è mancato poco che la nazione francese fosse ancora sotto il giogo terribile di Robespierre. Certo! può ben felicitarsi, ma non glorificarsi per essere sfuggita a questa tirannia; e io non so se i giorni della sua servitù fossero per essa più vergognosi di quello della sua liberazione.

Non è lunga la storia del nove Termidoro: Alcuni scellerati hanno fatto perire altri scellerati.

Senza quella baruffa in famiglia, i francesi piangerebbero ancora sotto lo scettro del Comitato di salute pubblica.

E ancor oggi, un piccolo numero di faziosi non parla forse di mettere sul trono un Orléans? Ormai manca solo ai francesi la vergogna di veder elevare sugli scudi il figlio di un suppliziato invece del fratello di un martire; eppure niente garantisce che non subiranno questa umiliazione, se non si affrettano a ritornare al loro legittimo sovrano. Essi hanno dato tali prove di pazienza, che non c'è alcuna degradazione che non debbano temere.- Ciò serva di lezione, non dico al popolo francese che, più di tutti i popoli del mondo, accetterà sempre i suoi padroni e mai li sceglierà, ma al piccolo numero di buoni francesi che le circostanze renderanno influenti, affinché non trascurino nulla per sottrarre la nazione a queste fluttuazioni avvilenti, consegnandola nelle braccia del suo re. Egli non è che un uomo, senza dubbio; ma forse che essa spera di essere governata da un angelo? È un uomo, ma oggi siamo sicuri che egli lo sa, e non è poco. Se la volontà dei francesi lo riportasse sul trono dei suoi padri, egli sposerebbe la propria nazione, che troverebbe in lui ogni cosa: bontà, giustizia, amore, riconoscenza, e incontestabili talenti, maturati alla severa scuola della sventura (16).

I francesi sono sembrati fare poca attenzione alle parole di pace che egli ha loro rivolto. Non hanno lodato la sua dichiarazione, l'hanno perfino criticata, e probabilmente l'hanno dimenticata; ma un giorno le renderanno giustizia: un giorno, la posterità riconoscerà questo testo come un modello di saggezza, di franchezza e di stile regale.

Il dovere di ogni buon francese, in questo momento, è di operare senza tregua per portare l'opinione pubblica dalla parte del re e di presentare tutti i suoi atti sotto una luce favorevole, È su questo punto che i realisti devono giudicarsi con la massima severità, e non farsi alcuna illusione. Io non sono francese, ignoro tutti gli intrighi, non conosco nessuno. Ma suppongo che un realista francese dica: " Sono pronto a versare il mio sangue per il re: tuttavia, senza mancare alla fedeltà che gli devo, non posso impedirmi di biasimare, ecc. ". Rispondo a quest'uomo ciò che la sua coscienza senza dubbio gli dirà più forte di me:

Voi mentite agli altri e a voi stesso; se foste capace di sacrificare al re la vostra vita, gli sacrifichereste i vostri pregiudizi. D'altronde, non è della vostra vita che ha bisogno, ma piuttosto della vostra prudenza, del vostro zelo equilibrato, della vostra devozione passiva, perfino della vostra indulgenza (per fare tutte le ipotesi); conservate la vostra vita, di cui non sa che fare in questo momento, e prestategli i servizi di cui ha bisogno. Credete che i più eroici siano coloro di cui si parla nelle gazzette? I più oscuri, al contrario, possono essere i più efficaci e sublimi. Qui non si tratta degli interessi del vostro orgoglio, tranquillizzate la vostra coscienza e colui che ve l'ha data.

Come quei fili che anche un bambino spezzerebbe, formeranno, uniti insieme, il cavo che deve sorreggere l'ancora di un vascello d'alto bordo, cosi una moltitudine di critici insignificanti possono diventare un esercito formidabile. Quanti servizi si possono rendere al re di Francia combattendo quei pregiudizi che si affermano non si sa come e che durano non si sa perché! Uomini che credono di avere l'età della ragione non hanno forse rimproverato al re la sua passività? Altri non lo hanno forse paragonato con insolenza a Enrico IV, osservando che quel gran principe, per conquistare la sua corona, poté trovare ben altre armi che non intrighi e proclamazioni? Ma già che si è in vena di spiritosaggini, perché non si rimprovera il re di non aver conquistato la Germania e l'Italia come Carlo Magno, per vivervi nobilmente, in attesa che i francesi si decidano ad intendere ragione?

Quanto al partito, più o meno numeroso, che emette alte grida contro la monarchia e il monarca, non c'è solo odio nel sentimento che lo anima, e vale quindi la pena di analizzare questa complessa posizione.

Non vi è in Francia uomo di ingegno che più o meno non si disprezzi. L'ignominia nazionale pesa su tutti i cuori (poiché nessun popolo fu mai spregiato da padroni cosi spregevoli); c'è dunque bisogno di consolarsi, e i buoni cittadini lo fanno alla loro maniera. Ma l'uomo vile e corrotto, estraneo a tutte le idee elevate, si vendica della propria abiezione passata e presente contemplando, con quella voluttà ineffabile che è tipica della bassezza, lo spettacolo della grandezza umiliata. Per elevarsi ai propri occhi, li volge sul re di Francia, ed è contento della propria statura paragonandosi a quel colosso rovesciato. Insensibilmente, con uno sforzo della sua immaginazione sfrenata, arriva a considerare questa grande caduta come opera propria; si investe da solo di tutto il potere della repubblica; inveisce contro il re; lo chiama sdegnosamente un preteso Luigi XVIII; e scoccando sulla monarchia i suoi strali furibondi, se riesce a fare paura a qualche chouan, si inalbera come un eroe di La Fontaine: Io sono dunque una folgore di guerra.

Bisogna poi anche tenere conto dei fifoni, che strillano contro il re per il timore che il suo ritorno faccia tirare qualche fucilata di più.

Popolo francese, non lasciarti sedurre dai sofismi dell'interesse particolare, della vanità o della poltroneria. Non ascoltare più i ragionatori: si ragiona troppo in Francia, e il ragionamento mette al bando la ragione. Abbandonati senza timore e senza riserve all'infallibile istinto della tua coscienza. Vuoi risollevarti ai tuoi stessi occhi? vuoi acquistare il diritto di stimarti? Vuoi compiere un atto da sovrano?... Richiama il tuo sovrano.

Del tutto straniero alla Francia, che non ho mai visto, e non potendo niente aspettarmi dal suo re, che non conoscerò mai, se vi sono errori in quel che dico, i francesi possono almeno leggerli senza adirarsi, come errori del tutto disinteressati.

Ma cosa siamo noi, deboli e ciechi mortali! e cos'è quella luce tremolante che chiamiamo Ragione? Anche quando abbiamo messo insieme tutte le probabilità, interrogato la storia, discusso tutti i dubbi e tutti gli interessi, è ancora possibile che, invece della verità, ci resti in mano solo una nebbia ingannatrice. Quale decreto ha pronunciato quell'Essere supremo dinanzi, al quale non vi è nulla di grande? quali decreti ha pronunciato sul re, sulla sua dinastia, sulla sua famiglia, sulla Francia e sull'Europa? Dove e quando cesserà questo sconvolgimento, e a prezzo di quante altre sventure dovremo acquistare la tranquillità? Egli ha tutto rovesciato per ricostruire, oppure i suoi rigori sono senza ritorno? Ahimè! una nuvola fosca copre l'avvenire, e nessun occhio può penetrare queste tenebre. Ciò nonostante, tutto annuncia che l'ordine di cose stabilito in Francia non può durare e che l'invincibile natura deve restaurare la monarchia. Sia dunque che i nostri voti si realizzino, sia che l'inesorabile Provvidenza abbia deciso altrimenti, può essere interessante e perfino utile ricercare, senza mai perdere di vista la storia e la natura dell'uomo, come si operino questi grandi cambiamenti e quale ruolo potrà giocare la moltitudine degli individui in un evento di cui solo la data è incerta.

 

NOTE

1 Il cardinale Fleury (1653-1743) fu ministro sotto Luigi XV, Sant'Ouèn (605-683) fu cancelliere di Dagoberto I. San Léger (616-678) fu consigliere della reggente durante la minore età di Clotario III.

2 " Sotto un re cittadino, ogni cittadino è re. "

3 Burger: verbum humile apud nos et ignobile. J.A- Ernesti, in Dedicat. Op. Ciceronis, Halae, 1777, p. 79 [n.d.a.].

4 Rousseau ha scritto una nota assurda su questa parola citoyen, nel suo Contrat social, libro I, cap. 6. Senza provare alcun disagio, egli accusa un uomo assai dotto di avere preso su questo punto una grave cantonata; mentre lui, Jean-Jacques, una grave cantonata la prende ad ogni rigo; dimostra altrettanta ignoranza in fatto di lingue, di metafisica e di storia [n.d.a.].

5 Développement des principes fondamentaux de la monarchie française, Neuchàtel, 1795 [n.d.a. Quest'opera era stata redatta nel 1791 da alcuni magistrati emigrati. Costoro difendevano la causa della rivoluzione parlamentare, che aveva preceduto il 1789. Luigi XVIII, contrariamente a quanto credeva Maistre, era ostile alla pubblicazione di questo testo, poiché vedeva espresse nell'opera le rivendicazioni degli antichi parlamenti e in particolare l'affermazione della limitazione del potere monarchico. (Vedi anche il Post scriptum aggiunto da Maistre alla seconda edizione delle Considérattons)].

6 Se si esamina con attenzione questo intervento della nazione, vi si troverà meno di un potere co-legislativo, e più di un semplice consenso. Ecco un esempio di quelle cose che bisogna lasciare in una certa oscurità e che non possono essere sottoposte a regolamenti umani: è la parte più divina delle costituzioni, se è permesso esprimersi cosi. Si dice spesso: basta fare una legge per sapere come regolarsi. Non sempre: vi sono anche dei casi riservati [n.d.a.].

7 Si era veramente compreso il problema, quando si declamava così forte contro la venalità delle cariche di magistratura? La venalità doveva essere considerata solo come uno strumento di eredità; e allora la questione si riduce tutta al fatto di sapere se, in un paese come la Francia, ovvero come essa era negli ultimi due o tre secoli, la giustizia potesse essere amministrata in modo migliore che da magistrati ereditari. Il problema è molto difficile da risolvere: l'enumerazione degli inconvenienti è un argomento fallace. Quel che vi è di cattivo in una costituzione, perfino quello che rischia di distruggerla, ne fa comunque parte allo stesso titolo di ciò che essa ha di migliore. Rinvio al passo di Cicerone: Nimia potestas est tribunorum, quis negat, ecc, De Legibus, III, 10 [n.d.a.].

8 Discorsi sopra la prima deca di T'ito Livio, libro I, cap, LVIII [n.d.a.].

9 Mi piacerebbe proprio conoscerlo [n.d.a.].

10 Discorsi, Libro I, cap. XVI [n.d.a.].

11 Sir William Blackstone (1725-1780), uno dei massimi giuristi inglesi.

12 All the human governements, particulary those of mixed frame, are in continual fluctuation [Tutti i governi umani, e soprattutto quelli misti, sono soggetti a continue fluttuazioni]. Hume, Storia d'Inghilterra. Carlo I, capitolo 50 [n.d.a].

13 Un uomo di cui tengo in alta considerazione la persona e le idee [Mallet du Pan], e che non è del mio stesso parere sull'antica costituzione francese, si è preso la briga di espormi una parte del suo pensiero in una lettera interessante, di cui lo ringrazio infinitamente. Mi obietta, fra le altre cose, che il libro dei magistrati francesi citato in questo capitolo sarebbe stato bruciato sotto il regno di Luigi XIV e di Luigi XV, come un attentato alle leggi fondamentali della monarchia e ai diritti del monarca. - Lo credo; come il libro del signor Delolme sarebbe stato bruciato a Londra (forse insieme all'autore) sotto il regno di Enrico VIII o della sua inflessibile figlia. Quando si è preso partito sui grandi problemi, con piena conoscenza di causa, raramente si cambia opinione. Diffido comunque dei miei pregiudizi quanto è necessario, ma sono sicuro della mia buona fede. Si osserverà che non ho citato in questo capitolo nessuna autorità contemporanea, per timore che i più rispettabili potessero apparire sospetti. Quanto ai magistrati autori del Développement des principes fandamentaux, se mi sono servito della loro opera è perché non mi piace fare ciò che già è stato fatto e perché, non avendo questi signori citato altro che dei monumenti, era precisamente ciò di cui avevo bisogno [n.d.a.].

14 Si tratta della Dichiarazione di Verona, resa pubblica da Luigi XVIII nel giugno 1795.

15 ["Usassero della libertà con moderazione"] Tito Livio, XXXIV, 49 [n.d.a.].

16 Rinvio al capitolo decimo la parte riguardante l'amnistia [n.d.a.].