Conte Joseph De Maistre (1753-1821)
VII. Testimonianze di caducità del governo francese
II legislatore somiglia al Creatore: non lavora tutto il tempo; mette al mondo, e poi si riposa. Ogni vera legislazione ha il suo sabbat, e l'intermittenza è il suo carattere distintivo; così che Ovidio ha enunciato una verità di primordine, quando ha detto:
Quod caret alterna requie durabile non est (1).
Se la perfezione fosse alla portata della natura umana, ogni legislatore parlerebbe una volta sola; ma benché tutte le nostre opere siano imperfette, e benché il sovrano sia obbligato, man mano che le istituzioni politiche si corrompono, a venire in loro soccorso con nuove leggi, pur tuttavia la legislazione umana può avvicinarsi al suo modello grazie a quell'intermittenza di cui ho appena parlato. Il suo riposo la onora tanto quanto la sua azione originaria: più essa agisce, e più la sua opera è umana, cioè fragile.
Osservate i lavori delle tre assemblee nazionali di Francia; che numero prodigioso di leggi!
Dal primo luglio 1789 all'ottobre 1791, l'Assemblea nazionale ne ha fatte
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L'Assemblea legislativa, in undici mesi e mezzo, ne ha fatte
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1.712
La Convenzione nazionale, dal primo giorno della repubblica al 4 brumaio
dell'anno IV (26 ottobre 1795), ne ha fatte, in 57 mesi
11.210
TOTALE (2)
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Dubito che le tre dinastie dei re di Francia abbiano mai prodotto una collezione così abbondante. Quando si riflette su questo immenso numero di leggi, si provano successivamente due diversissime sensazioni: la prima è di ammirazione, o almeno di stupore; ci si meraviglia, con Burke, che questa nazione, la cui frivolezza è proverbiale, abbia prodotto lavoratori cosi ostinati. L'edificio di queste leggi è un'opera atlantica, la cui immagine sbigottisce. Ma lo stupore ben presto si muta in compassione, quando si pensa alla nullità di queste leggi; si vedono allora solo dei bambini che si fanno ammazzare per costruire un grande castello di carte.
Perché tante leggi? Perché non c'è alcun legislatore.
Che hanno fatto da sei anni a questa parte i pretesi legislatori? Niente, giacché distruggere non è fare.
Abbiamo davanti agli occhi lo spettacolo incredibile di una nazione che si da tre costituzioni in cinque anni. Nessun legislatore è mai andato a tentoni; egli dice fiat da par suo, e la macchina si mette in moto. Ma malgrado i molti sforzi che le tre assemblee hanno fatto in questo senso, tutto è andato di male in peggio, poiché all'opera dei legislatori è sempre di più mancato il consenso della nazione.
La costituzione del 1791 fu certamente un bel monumento di pazzia; eppure, bisogna ammetterlo, fu accolta con passione da tutti i francesi; ed è di buon grado, benché del tutto insensatamente, che la maggioranza del popolo prestò giuramento alla Nazione, alla Legge e al Re. I francesi addirittura si infatuarono di quella costituzione, al punto che, molto tempo dopo il suo abbandono, era abbastanza comune sentir dire che per ritornare alla vera monarchici bisognava passare dalia costituzione del 1791. In fondo, equivaleva a dire che per ritornare dall'Asia in Europa bisognava passare dalla luna; ma io voglio attenermi ai fatti (3).
La costituzione di Condorcet non è mai stata messa alla prova, e non ne valeva la pena; le fu preferita l'opera di alcuni esaltati (4), che aveva il vantaggio di piacere ai loro simili, i quali in Francia, grazie alla rivoluzione, non sono pochi; e cosi, in fin dei conti, delle tre costituzioni quella che ha avuto meno fautori è l'attuale. Nelle assemblee primarie che l'hanno approvata (a detta dei governanti) alcuni partecipanti hanno ingenuamente scritto; adottata in mancanza di meglio. Questo è, di fatto, lo stato d'animo generale della nazione. Essa si è sottomessa per stanchezza, disperata di non trovare di meglio: nel parossismo dei mali che l'opprimevano, ha creduto di respirare sotto questo fragile riparo; ha preferito un cattivo porto a un mare in burrasca; ma da nessuna parte si è vista la convinzione ne il consenso del cuore. Se questa costituzione fosse fatta per i francesi, la forza invincibile dell'esperienza le conquisterebbe ogni giorno nuovi partigiani: e invece accade esattamente il contrario; ogni minuto c'è un nuovo disertore della democrazia: solo l'apatia e la paura conservano il trono dei Pentarchi (5); e i viaggiatori più obiettivi e perspicaci che hanno percorso la Francia dicono con voce unanime: E una repubblica senza repubblicani.
Ma se la forza dei governi, come è stato tanto predicato ai re, risiede interamente nell'amore dei sudditi, se la paura da sola è un mezzo insufficiente per mantenere la sovranità, che cosa dobbiamo pensare della repubblica francese?
Aprite gli occhi, e vedrete che essa non vive! Che apparato immenso! quante molle e congegni! che fracasso di pezzi che si urtano! che quantità enorme di uomini impiegati a riparare i danni! Tutto lascia scorgere che la natura non ha alcuna parte in questi movimenti, giacché il primo carattere delle sue creazioni è la potenza congiunta all'economia dei mezzi: in natura, dato che ogni cosa è al suo posto, non vi sono scosse ne oscillazioni. Dato che tutti gli attriti sono dolci, in natura non vi è chiasso, ed è solenne questo silenzio. È cosi che, nella fisica meccanica, la perfetta ponderazione, l'equilibrio e l'esatta simmetria delle parti fanno si che, dalla stessa velocità del movimento, risultino per l'occhio soddisfatto le apparenze del riposo.
Non vi è dunque sovranità in Francia. Tutto è fasullo, tutto è violento, tutto indica che un simile ordine di cose non può durare.
La filosofia moderna è insieme troppo materiale e troppo presuntuosa per accorgersi di come veramente funziona il mondo della politica. Una delle sue follie è quella di credere che un'assemblea possa costituire una nazione; che una costituzione, vale a dire l'insieme delle leggi fondamentali che convengono a una nazione e che devono darle tale o tal altra forma di governo, sia un'opera qualsiasi, che richiede solo ingegno, conoscenze ed esercizio; che si possa imparare il mestiere di costituente, e che alcuni uomini, il giorno che a loro venisse in mente, possano dire ad altri uomini: fateci un governo, come si dice a un operaio: fammi una tromba a fuoco o un telaio per calze.
Eppure, esiste una verità altrettanto certa, nel suo genere, quanto una proposizione di matematica; ed è che nessuna grande istituzione è il risultato di una deliberazione, e che le opere umane sono fragili in proporzione del numero di uomini che vi mettono mano e dell'apparato di scienza e di ragioni che vi si impiega a priori.
Una costituzione scritta, come quella che oggi regge i francesi, non è che un automa, che possiede solo le forme esteriori della vita. L'uomo, con le sue forze, è tutt'al più un Vaucanson; per essere Prometeo bisogna salire al cielo; infatti il legislatore non può farsi obbedire ne con la forza ne con le ragioni (6).
Possiamo ben dire che, a questo punto, l'esperienza l'abbiamo fatta. Si manca infatti di attenzione, quando si dice che la costituzione francese funziona: si prende la costituzione per il governo. Questo, che è un tipo di dispotismo molto accentuato, funziona fin troppo, mentre la costituzione esiste solo sulla carta. Viene osservata o viene violata, secondo gli interessi dei governanti: il popolo non conta niente, e gli oltraggi che i suoi padroni gli fanno subire sotto le forme del rispetto dovrebbero guarirlo dei suoi errori.
La vita di un governo è altrettanto reale che la vita di un uomo; si sente o, per meglio dire, si vede, e nessuno può sbagliarsi su questo punto. Prego tutti i francesi che hanno una coscienza di domandare a se stessi se non devono farsi una certa violenza per concedere ai loro rappresentanti il titolo di legislatori, e se questa etichetta di cortesia non li obbliga a un leggero sforzo, più o meno simile a quello che provavano quando, sotto l'antico regime, volevano chiamare conte o marchese il figlio di un segretario del re.
Ogni onore viene da Dio, dice il vecchio Omero (7), che parla letteralmente come san Paolo, pur senza averlo copiato. Ciò che è certo, è che non dipende dall'uomo trasmettere quel carattere indefinibile che si chiama dignità. Solo alla sovranità appartiene lonore per eccellenza; da essa, come da un vasto serbatoio, l'onore discende, in quantità, peso e misura, sugli ordini e sugli individui.
Ho notato che, avendo un membro della legislatura parlato del proprio RANGO in uno scritto pubblico, i giornali hanno riso di lui, poiché infatti non esiste alcun rango in Francia, ma solo potere, che dipende esclusivamente dalla forza. In un deputato il popolo non vede altro che la settecentocinquantesima parte del potere di fare molto male. Il deputato che sia rispettato, non lo è perché è deputato, ma perché è rispettabile. Tutti quanti, senz'altro, vorremmo aver pronunciato il discorso del signor Siméon sul divorzio; ma tutti vorremmo anche che egli l'avesse pronunciato in seno a un'assemblea legittima.
Sarà forse un'illusione da parte mia, ma quel salario che un pretenzioso neologismo chiama indennità mi sembra un argomento contro la rappresentanza francese. L'inglese, libero grazie alla legge e indipendente grazie alla propria fortuna, che viene a Londra per rappresentare la nazione a proprie spese, ha in sé qualcosa di imponente. Ma questi legislatori francesi che tolgono cinque o sei milioni di lire tornesi alla nazione per darle delle leggi; questi facitori di decreti che esercitano la sovranità nazionale per otto miriagrammi di frumento al giorno (8) e che vivono dei proventi della loro potenza legislatrice; questi uomini, in verità, fanno sull'animo ben poca impressione; e quando uno arriva a domandarsi quanto valgono, l'immaginazione non può evitare di valutarli in frumento.
In Inghilterra, quelle due lettere magiche M.P.( Member of Parliament), unite al nome meno conosciuto, lo esaltano immediatamente e gli danno diritto a una considerazione elevata. In Francia, un uomo che brigasse un posto di deputato per combinare a proprio favore un matrimonio redditizio, probabilmente farebbe male i suoi conti.
II fatto è che qualunque rappresentante, qualunque strumento di una falsa sovranità, non può suscitare che la curiosità o il terrore.
L'incredibile debolezza del potere umano abbandonato a se stesso è tale che non può nemmeno consacrare una divisa. Quanti rapporti sono stati indirizzati al corpo legislativo sul costume che dovevano indossare i suoi membri? Almeno tre o quattro, ma sempre invano. Nei paesi stranieri si vendono i modelli di questi bei costumi, mentre a Parigi l'opinione pubblica li rifiuta.
Un abito ordinario, contemporaneo di un grande avvenimento, può da questo essere consacrato. In tale caso, il carattere che lo segna lo sottrae anche al dominio della moda: mentre gli altri cambiano, esso resta immutato, e il rispetto lo circonda per sempre. È più o meno in questa maniera che si foggiano i costumi dei grandi dignitari.
Può perfino essere interessante osservare che, fra tutti gli ornamenti rivoluzionari, i soli che abbiano una certa consistenza sono la sciarpa e il pennacchio, che appartengono alla cavalleria. Benché denigrati, essi persistono, come quegli alberi la cui linfa nutritiva si è seccata e che hanno perduto solo la loro bellezza. Il pubblico funzionario, coperto di questi segni disonorati, assomiglia un poco a quel ladro che brilla sotto gli abiti dell'uomo che ha appena spogliato.
Non so se vedo bene, ma vedo ovunque la nullità di questo governo.
Fate bene attenzione: sono le conquiste dei francesi che hanno creato illusioni sulla durata del loro governo. Lo splendore dei successi militari abbaglia perfino le persone di ingegno, che non si accorgono subito fino a che punto quei successi sono estranei alla stabilità della repubblica.
Le nazioni hanno vinto sotto tutti i possibili governi; e anche le rivoluzioni, esaltando gli animi, producono le vittorie. In guerra, i francesi avranno sempre la meglio sotto un governo fermo, che sia capace di disprezzarli mentre li loda e di lanciarli contro il nemico come palle di cannone mentre promette loro epitaffi sulle gazzette.
È sempre un Robespierre che in questo momento vince le battaglie; è il suo dispotismo di ferro che conduce i francesi al macello e alla vittoria. È prodigando l'oro e il sangue, è facendo forza con tutti i mezzi, che i padroni della Francia hanno ottenuto i successi di cui siamo testimoni. Una nazione sommamente valorosa, esaltata da un qualsiasi fanatismo e guidata da abili generali, vincerà sempre, ma pagherà care le sue conquiste. La costituzione del 1793 ha forse ricevuto il sigillo della durata da quei tre anni di vittorie di cui occupa il centro? Perché dovrebbe andare diversamente con quella del 1795? e perché mai la vittoria dovrebbe dare a questa una qualità che non ha potuto imprimere all'altra?
Del resto, il carattere delle nazioni è sempre lo stesso. Barclay, nel sedicesimo secolo, ha dipinto molto bene quello dei francesi sotto l'aspetto militare: È una nazione, dice, suprema- mente valorosa, e che possiede al proprio interno una massa invincibile; ma quando si spinge all'esterno, non è più la stessa. Per questo non ha mai potuto mantenere il dominio sui popoli stranieri, ed è potente solo per sua disgrazia (10).
Nessuno sente meglio di me che le circostanze attuali sono straordinarie e che è possibilissimo che avvenga quel che non è mai avvenuto; ma tale problema è indifferente al tema di questo libretto. A me basta indicare la falsità del ragionamento seguente: la repubblica è vittoriosa; dunque durerà. Se proprio si deve fare una profezia, preferirei dire: la guerra la fa vivere; dunque la pace la farà morire.
L'autore di un sistema di fisica penserebbe senza dubbio di essere nel giusto, se avesse a proprio favore tutti i fatti della natura, come io posso citare a sostegno delle mie riflessioni tutti i fatti della storia. Esamino in buona fede i monumenti che essa ci presenta, e non vedo niente che dia credito a questo chimerico sistema di deliberazione e costruzione politica per mezzo di ragionamenti a priori. Tutt'al più si potrebbe citare l'America; ma ho già risposto in anticipo, dicendo che non è ancora il momento dì menzionarla. Aggiungerò ugualmente qualche riflessione.
1) L'America inglese aveva un re, ma non lo vedeva: lo splendore della monarchia le era sconosciuto e il sovrano era per essa come una specie di potenza sovrannaturale che non cade sotto i sensi.
2) L'America possedeva l'elemento democratico che esiste nella costituzione della metropoli.
3) Possedeva inoltre quegli elementi che le furono apportati dai suoi primi coloni, nati nel mezzo delle lotte religiose e politiche e quasi tutti spiriti repubblicani.
4) Con questi elementi, e sul fondamento dei tre poteri che avevano ereditato dai loro antenati, gli americani hanno costruito, e non fatto tabula rasa come i francesi.
Ma tutto quel che vi è di veramente nuovo nella loro costituzione, tutto quel che risulta dalla comune deliberazione, è quanto di più fragile esista al mondo; non si potrebbero mettere insieme un numero maggiore di segni di debolezza e di caducità.
Non solo non credo affatto alla stabilità del governo americano, ma le stesse entità particolari dell'America inglese non mi ispirano alcuna fiducia. Le città, per esempio, animate da una assai poco nobile invidia reciproca, non sono riuscite a mettersi d'accordo sul luogo dove dovrebbe risiedere il Congresso. Nessuna ha voluto cedere alle altre questo onore. Di conseguenza, si è deciso di costruire una nuova città che sarà la sede del governo. Si è scelto il sito più vantaggioso sul bordo di un grande fiume, ed è stato stabilito che la città si chiamerà Washington; è stato segnato il luogo di tutti gli edifici pubblici; si è messa mano all'opera, e già il piano della città-regina circola nell'Europa intera. In tutto ciò non vi è nulla che superi, essenzialmente, il potere dell'uomo. Si può ben costruire una città: e tuttavia c'è troppa deliberazione, troppa umanità in questa faccenda, e si potrebbe scommettere mille contro uno che la città non sarà costruita, oppure che non si chiamerà Washington, oppure che il Congresso non vi risiederà.
NOTE
1 " Non è durevole ciò cui manca periodico riposo " (Ovidio, Heroides, IV, 89).
2 Questo calcolo, che è stato fatto in Francia, viene riportato da un giornale straniero del mese di febbraio 1796. La cifra di 15.479 in meno di sei anni mi sembrava già sufficiente, quando ho ritrovato fra le mie carte l'affermazione di un giornalista in vena di piacevolezze, il quale vuole assolutamente, su uno di quei fogli scintillanti [Quotidienne del 30 novembre 1796, n.218), che la repubblica francese possieda due milioni e alcune centinaia di migliaia dì leggi stampate, e un milione e ottocento mila che non lo sono. - Per me, non ho nulla da obiettare [n.d.a.].
3 Un uomo di spirito, che aveva le sue buone ragioni per lodare questa costituzione e che vuole assolutamente che essa sia un monumento della ragione scritta, è d'accordo tuttavia, anche senza parlare dell'orrore per le due Camere e della restrizione del veto, che essa contenga numerosi altri principi di anarchia (20 o 50 per esempio). Vedi Sguardo sulla rivoluzione francese di un amico dell'ordine e delle leggi, dei sig. M. [il generale Montesquiou], Amburgo, 1794, pagg. 28 e 77. Ma quel che segue è ancora più curioso. Questa costituzione, dice l'autore, non è difettosa per quel che contiene, ma per quel che le manca. Ibidem, p. 27. Ciò va inteso: la costituzione del 1791 sarebbe perfetta, se fosse fatta: è l'Apollo del. Belvedere, meno la statua e il piedistallo [n.d.a.].
4 L'11 ottobre 1792 la Convenzione nominò un comitato di nove membri incaricato dì preparare il nuovo progetto di costituzione. Condorcet ne era l'ispiratore. Ma dopo il trionfo dei montagnardi sui girondini furono aggiunti al comitato altri cinque membri, che stilarono un nuovo testo, rapidamente approvato (24 giugno 1793).
5 I cinque membri del Direttorio,
6 Rousseau, Contrat social, libro II, cap. 7. Bisogna sorvegliare quest'uomo senza sosta, e sorprenderlo quando, per distrazione, si lascia sfuggire la verità [n.d.a.].
7 Iliade, I, 178,
8 La costituzione dell'anno III fissava a 3000 miriagrammi di frumento l'indennità annua dei parlamentari.
10 Gens armis strenua, indomita intra se molis, et ubi in cxteros exundat, statìm impetus sui oblita: eo modo nec din externum imperium tenuit, et sola est in exitium sui potens. J. Barclay, Icon. animarum, cap. III [n.d.a.].
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