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Pio XII
Orientales Ecclesias
15 dicembre 1952
All’Episcopato Cattolico delle Chiese Orientali.
Le Chiese Orientali, rese illustri dalla dottrina dei Santi Padri e bagnate dal sangue dei martiri nei tempi antichissimi, nell’età più recente, e anche nella nostra, hanno sempre formato in modo particolarissimo l’oggetto delle Nostre sollecitudini, come a tutti è noto. Infatti, non appena fummo elevati senza alcun Nostro merito, per arcano disegno di Dio, alla Cattedra del Principe degli Apostoli, a voi rivolgemmo la Nostra mente e il Nostro cuore, e altresì a coloro che "si trovano fuori della Chiesa Cattolica", e che Noi ardentemente desideriamo facciano ritorno al più presto all’ovile del Padre comune, come a dimora dei loro antenati. Altre prove della Nostra paterna benevolenza vi abbiamo dato durante il corso del Nostro Pontificato. Vi è noto, infatti, che abbiamo insignito della dignità della porpora romana un altro dei vostri Vescovi, il patriarca degli Armeni di Cilicia, e stiamo curando la codificazione delle leggi canoniche che vi riguardano: opera questa di grandissima importanza, che in parte ormai è giunta a termine. Ma non è necessario ricordare più a lungo cose a voi senza dubbio notissime; e del resto ciò facendo abbiamo seguito le orme dei Nostri Predecessori, che fin dai primordi del cristianesimo non solo circondarono di singolare affetto i vostri antenati, ma furono soliti altresì porgere loro aiuto, secondo le possibilità, ogni qualvolta li videro insidiati dall’eresia, oppure gemere sotto il terrore e le persecuzioni dei nemici. Fu cosi che per l’autorità apostolica affidata dal divin Redentore al Principe degli Apostoli e ai suoi Successori, i Romani Pontefici difesero l’integrità della dottrina cattolica nei Concili I e II di Nicea, nei Concili I, II e III di Costantinopoli, e in quelli di Efeso e di Calcedonia; e quando un deplorevole dissidio separò da Roma gran parte delle Chiese Orientali, non solo essi nel Concilio Costantinopolitano IV lo riprovarono, ma si adoperarono anche in tutte le maniere perché nel comune interesse la cosa si risolvesse felicemente; dopo numerosi, lodevoli e difficili sforzi a ciò si giunse nel Concilio di Firenze, quantunque, contro le aspirazioni di tutti buoni, le deliberazioni prese non venissero poi messe in pratica.
Quando le regioni orientali vennero invase da nuovi popoli, che devastarono anche i Sacri Luoghi della Palestina, consacrati dal sangue divino di Gesù Cristo, allora i Romani Pontefici spinsero i principi cristiani a si grande opera di difesa della religione. Né queste premurose sollecitudini e questa benevolenza dei Nostri Predecessori verso i vostri connazionali si affievolirono o vennero meno ai nostri giorni; sembra, anzi, che siano andate sempre più aumentando. Come sapete, infatti, molti furono inviati dalla Santa Sede presso di voi per illustrare la dottrina cattolica, e per convincere tutti a ritornare alla desideratissima unità di fede e di governo; qui poi, presso la Sede di Pietro, venne istituita una Sacra Congregazione, con lo scopo appunto di regolare gli interessi, gli affari e i riti delle Chiese Orientali; cosi pure venne fondato un Istituto per gli Studi Orientali allo scopo di coltivare e promuovere, con ogni diligenza, la giusta conoscenza delle cose vostre.
Ma al presente, purtroppo, altri motivi richiamano le Nostre cure e le Nostre sollecitudini. In molte regioni dove vige particolarmente il rito orientale, si è scatenata una nuova tempesta che cerca di sconvolgere, devastare e distruggere miseramente fiorenti comunità cristiane, Se nei secoli passati veniva impugnato qualche dogma particolare della dottrina cattolica, oggi invece, come vedete, si procede oltre temerariamente e si cerca di cancellare dal civile consorzio, dalle famiglie, dalle università, dalle scuole e dalla vita delle popolazioni tutti i diritti, le istituzioni e le leggi sacre; anzi, anche tutto quello che è divino o che dice relazione alla divinità, quasi che si trattasse di cose favolose e nefaste.
Perciò, quanto più è grave il cumulo dei mali che opprime una parte elettissima della cristianità, tanto maggiore, o Venerabili Fratelli, è la Nostra benevolenza nei vostri riguardi, tanto più ardente è l’amore paterno che nutriamo verso voi tutti.
E in primo luogo vogliamo che a voi sia manifesto in modo chiarissimo che i vostri dolori e i vostri lutti Noi li consideriamo come Nostri e niente desideriamo più ardentemente che portare qualche sollievo alle vostre sofferenze, soprattutto con la preghiera Nostra e con quella di ogni cristiano, a favore di tutti coloro i quali sono perseguitati per aver difeso, com’era necessario, la religione cattolica e i suoi sacri diritti.
Sappiamo che vi sono moltissimi cristiani nei paesi orientali, che oggi piangono amaramente nel vedere i loro Vescovi o uccisi o dispersi o così ostacolati, da non poter rivolgere liberamente la parola ai loro greggi, né esercitare su essi, come conviene, la loro autorità; nel vedere non pochi dei loro templi destinati ad usi profani, o rimasti nel più squallido abbandono; nel sapere che ormai non possono più innalzarsi da questi templi al Cielo le voci di coloro che pregano, mirabilmente modulate secondo le norme della vostra liturgia, per farne discendere la rugiada delle celesti grazie ad elevazione delle menti, a consolazione dei cuori e a rimedio di cosi grande cumulo di mali.
Sappiamo che molti dei vostri connazionali sono relegati nelle carceri o nei campi di concentramento, oppure, se vivono nelle loro case, non possono esercitare quei sacrosanti diritti che loro spettano, e cioè non solo il diritto di professare la loro fede nell’intimo santuario della propria coscienza, ma anche di poterla apertamente insegnare, difendere e propagare nell’ambito familiare per la conveniente educazione della prole e nella scuola per la retta formazione degli alunni.
Tuttavia sappiamo anche che i figli delle Chiese Orientali, affratellati con i fedeli di rito latino, insieme sopportano con fortezza i lutti di queste persecuzioni e insieme sono parimente partecipi del loro martirio, trionfo e gloria. Con animo eroico perseverano nella loro fede; resistono ai nemici del cristianesimo con la stessa invitta fortezza con cui resistettero un tempo i vostri antenati; elevano le loro suppliche al Cielo, se non pubblicamente, almeno in privato; rimangono fedelmente congiunti col Romano Pontefice e con i loro Pastori; cosi pure venerano in modo particolare la beata Vergine Maria, regina amorosissima e potentissima del Cielo e della terra, al cui Cuore Immacolato li abbiamo tutti consacrati. Tutto ciò è senza dubbio auspicio di certa vittoria per l’avvenire, di quella vittoria, però, che non scaturisce dal sangue di uomini in lotta tra di loro, che non è alimentata da uno sfrenato desiderio di potenza terrena, ma che si fonda sulla conveniente e legittima libertà, sulla giustizia praticata non solo a parole ma anche con i fatti, verso i cittadini, i popoli e le nazioni; sulla pace e carità fraterna che uniscono tutti con i vincoli dell’amicizia e soprattutto sulla religione, che ordini rettamente i costumi, moderi le aspirazioni private, mettendole al servizio del pubblico bene, innalzi le menti al Cielo e finalmente tuteli il civile consorzio e la concordia di tutti.
Ciò forma l’oggetto delle Nostre più vive speranze; nel frattempo, tuttavia, le notizie che ci pervengono sono tali da rendere più acerbo il Nostro dolore. Giorno e notte, con paterna sollecitudine rivolgiamo la Nostra mente e il Nostro cuore a coloro che Ci sono stati affidati per divino mandato (Cfr. Gv 21, 15-17) e che sappiamo trattati in alcuni luoghi in una maniera cosi indegna, da essere fatti oggetto di calunnie per il loro fermo attaccamento alla fede cattolica, e da essere privati dei loro legittimi diritti, non esclusi qualche volta anche quelli cosi insiti alla natura umana che, se vengono conculcati con la violenza, col timore o con qualche altro mezzo, ne viene a scapitare la dignità stessa dell’uomo,
Fra queste tristissime notizie a Noi pervenute, ve n’è una che in questi ultimi tempi ha dolorosamente colpito più di ogni altra non solamente Noi, non solo tutti i cristiani, ma altresì tutti coloro che tengono in onore la dignità e la libertà dei cittadini: vogliamo riferirci alla Bulgaria, dove esisteva una piccola ma fiorente comunità di cattolici, e dove una terribile bufera ha seminato tristi lutti nella Chiesa. Con i soliti metodi di accusa, sono stati imputati crimini pubblici ai ministri di Dio; fra questi, il Venerabile Fratello Nostro Eugenio Bossilkoff, vescovo di Nicopoli, è stato condannato alla pena capitale, insieme con altri tre sacerdoti suoi collaboratori nel ministero pastorale. Inoltre, non pochi altri sono già nel carcere o si trovano nei campi di concentramento, ed a costoro si aggiunge uno stuolo di cattolici puniti in varie maniere, e perciò insigniti della medesima palma e del medesimo onore, Noi per dovere del Nostro ufficio cui non possiamo mancare, eleviamo la Nostra protesta per tutto ciò, mentre denunziamo all’intera cristianità l’ingiuria fatta contro la Chiesa. Essi infatti, appunto perché non solo professano la religione cattolica, ma si sono anche adoperati con coraggio per difenderla apertamente, sono stati ritenuti nemici dello Stato, mentre a nessuno sono inferiori per amor di patria, per il rispetto della pubblica autorità e infine per l’osservanza delle leggi, purché queste non siano in contrasto col diritto naturale, divino ed ecclesiastico.
Ciò, poi, che è accaduto specialmente in questi ultimi tempi nella Bulgaria, purtroppo già da tempo succede presso altri popoli fra i quali fiorisce la Chiesa di rito orientale, e cioè fra il popolo romeno, ucraino e altre genti. Per quanto riguarda il popolo al quale abbiamo innanzi tutto accennato, con una Lettera apostolica dello scorso marzo, abbiamo già fatto le Nostre vive rimostranze per tante calamità che hanno colpito i fedeli dei vostro rito e di rito latino, e li abbiamo esortati a perseverare con invitta costanza nella religione degli avi.
Ora ad un altro popolo, a Noi quanto mai caro, rivolgiamo addolorati la Nostra attenzione, e cioè al popolo ucraino, di cui fanno parte non pochi cristiani che guardano a Roma con sommo desiderio e immenso amore, e venerano questa Sede Apostolica come centro della religione cristiana e maestra infallibile di verità per mandato di Gesù Cristo (Cfr. Mt.16, 18-19; Gv 11, 15-17; Lc 22, 32). Con dolore grande, tuttavia, abbiamo appreso che costoro da tempo soffrono non minori persecuzioni e versano in una condizione non meno sventurata di quella in cui si trovano quegli altri popoli di cui, o Venerabili Fratelli, vi abbiamo già parlato.
In modo particolare vogliamo ricordare quei Vescovi di rito orientale che furono tra i primi a sostenere, in difesa della religione, dolori, lutti e ingiurie: condotti nella città di Kiew, ivi furono processati e condannati a pene diverse; proprio nella città di Kiew, diciamo, che un tempo fu il centro di irradiazione del cristianesimo in tutte quelle regioni. Alcuni di costoro già andarono incontro a morte gloriosa e perciò, com’è da sperare, dalla sede della loro celeste beatitudine con vivo amore rivolgono lo sguardo ai figli e compagni di lotta e impetrano loro il potentissimo aiuto di Dio.
Inoltre non possiamo passare sotto silenzio quei fedeli di rito latino ed orientale che, dopo essere stati strappati dalle loro regioni e dai loro focolari, e deportati in terre ignote e lontane, là ora si trovano privi dei loro legittimi sacerdoti che possano consolarli, aiutarli, dirigerli e porgere loro i celesti conforti della religione.
Tutto ciò per Noi è motivo di dolore cosi acerbo che non possiamo trattenere le lacrime, mentre preghiamo Dio clementissimo e Padre delle misericordie che voglia benevolmente illuminare i responsabili di una situazione cosi triste, e voglia altresì porre fine a tanti mali.
Tuttavia, Venerabili Fratelli, in mezzo a tante e cosi grandi calamità che addolorano il Nostro e vostro animo, possiamo trarre qualche motivo di conforto dalle notizie che Ci sono pervenute. Infatti Ci è noto che coloro i quali versano in così deplorevoli e critiche condizioni rimangono fermi nella loro fede con tale intrepida costanza da destare l’ammirazione Nostra e di tutti gli onesti. A tutti costoro vada la Nostra lode paterna, che aumenti e corrobori sempre più la loro fortezza; e siano essi fermamente persuasi che Noi, come Padre comune che "l’ansia per tutte le Chiese" (2 Cor. 11, 28) muove e la "carità di Cristo spinge" (Ibid., 7, 14), innalziamo ogni giorno fervorose suppliche, perché il Regno di Gesù Cristo, apportatore di pace alle anime, di pace ai popoli e di pace alle nazioni, quanto prima dappertutto trionfi.
Davanti al triste spettacolo di siffatti mali che hanno colpito non solo i Nostri figli del laicato, ma soprattutto quelli rivestiti di dignità sacerdotale, appunto perché si avveri ciò che si legge nella Sacra Scrittura: "Percoterò il pastore, e saranno disperse le pecore del gregge" (Cfr. Mt 26, 31; Mt 16, 27; Zac 13, 71), non possiamo non richiamare all’attenzione di tutti che, lungo il corso dei secoli, non solo presso i popoli civili ma anche presso i barbari, i sacerdoti, in quanto intermediari tra Dio e gli uomini, sono sempre stati circondati della debita venerazione. Quando poi il Divino Redentore, scacciate le tenebre dell’errore, ci insegnò le verità celesti e volle per somma benevolenza renderci partecipi del suo eterno sacerdozio, allora questa venerazione crebbe ancora maggiormente, cosicché i Vescovi e i sacerdoti furono considerati come padri amorevolissimi, di null’altro desiderosi che del bene comune del popolo loro affidato.
Tuttavia lo stesso Divino Redentore aveva detto; "Non vi è discepolo di sopra dei maestro" (Mt 10, 24), "Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi" (Gv. 17, 20); "Beati siete voi quando vi oltraggeranno e perseguiteranno e mentendo diranno di voi ogni male per causa mia. Gioite ed esultate, perché è la vostra ricompensa nei cieli" (Mt. 5, 11-12).
Non vi è dunque ragione di meravigliarsi se ai nostri giorni, e forse più che nei secoli passati, la Chiesa di Gesù Cristo e in modo particolare i suoi ministri vengono colpiti da persecuzioni, menzogne, calunnie e afflizioni di ogni genere; ma riponiamo piuttosto la nostra speranza in Lui, che se già ha predetto le future calamità, volle tuttavia preammonirci con queste parole: "Nel mondo avrete da soffrire; ma fatevi animo, io vinto il mondo" (Gv 16, 33).
Perciò sia lontano da voi ogni abbattimento, o Venerabili Fratelli. Come i vostri antenati superarono tante difficoltà, insidie, pericoli, combattendo con eroica fortezza fino al martirio, cosi anche voi che appartenete alla Chiesa di rito orientale, uniti strettamente ai fedeli di rito latino, con l’aiuto della celeste grazia, non temete; ma insieme supplicate il Signore e l’amorevolissima sua Madre per coloro soprattutto che si trovano oggi in maggiore pericolo, perché siano rivestiti di cristiana fortezza e perché da tutti finalmente si comprenda ciò che del resto è più chiaro della luce del sole, che "le armi della nostra milizia non sono carnali, ma potenti davanti a Dio" (2 Cor. 10, 4) e che la Chiesa non cerca la potenza temporale, ma la salvezza eterna delle anime, non tende insidie ai governanti, ma per mezzo degli insegnamenti del Vangelo, che sono in grado di formare ottimi cittadini, rafforza le fondamenta stesse dell’umano consorzio. Se perciò essa potrà godere di quella libertà che le è stata concessa da Dio, e se potrà esplicare pubblicamente la sua forza e avere l’esercizio delle proprie attività apertamente in mezzo al popolo, senza dubbio potrà molto contribuire a promuovere il bene comune, ad avvicinare le varie classi dei cittadini nella giustizia e nella concordia, e a condurre tutte le genti a quella vera pace e tranquillità che, come è nelle aspirazioni di tutti, cosi deve essere nella volontà di ciascuno.
Per ottenere queste cose, desideriamo, o Venerabili Fratelli, che voi indiciate pubbliche preghiere e esortiate i fedeli a voi affidati ad aggiungere anche opere di penitenza, onde sia resa propizia la divina Maestà, offesa con tante ingiurie. Ricordiamo tutti le parole della Sacra Scrittura: "... Pregate per coloro che vi perseguitano e vi calunniano" (Mt. 5, 44), "... E se soffre un solo membro, soffrono insieme con esso tutti i membri" (I Cor.12, 25-26). È necessario infatti imitare l’esempio del divin Redentore, che, in mezzo ad acerbi dolori, dall’alto della croce esclamò: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno" (Lc 23, 34). Occorre altresì compiere ciò che manca ai patimenti di Cristo, nella carne nostra, per il suo Corpo, che è la Chiesa (Cfr. Col. 1,24); perciò non solo dobbiamo pregare Dio per i figli e i fratelli sofferenti, ma anche offrirgli volentieri le nostre volontarie penitenze e i nostri dolori.
Per quelle innumerevoli schiere di persone, che in quelle regioni soffrono infermità, dolori e angosce, o si trovano in carcere, se non possiamo mettere in pratica le parole di Gesù: "(Ero infermo e mi avete visitato; ero in carcere, e siete venuti a trovarmi (Mt 25,, 36), tuttavia qualche cosa possiamo fare a questo riguardo: con le nostre preghiere ed opere di penitenza possiamo impetrare da Dio misericordiosissimo che voglia inviare i suoi angeli consolatori a questi fratelli e figli Nostri sofferenti, che consolino, confermino e rafforzino i loro animi, e li elevino alle cose celesti.
In modo particolare, poi, desideriamo che tutti i sacerdoti i quali ogni giorno possono offrire il Sacrificio Eucaristico si ricordino nella loro preghiera di quei Vescovi e di quei sacerdoti che, lontano dalle loro chiese e dai loro fedeli, non hanno la possibilità di accostarsi all’altare per celebrare il Divin Sacrificio e nutrire se stessi e i propri fedeli di quel cibo divino da cui i nostri animi attingono una dolcezza che supera ogni desiderio e ricevono quella forza che conduce alla vittoria. Stretti in unione fraterna tra di loro, facciano ciò anche i fedeli, i quali partecipano alla stessa mensa e allo stesso sacrificio: di modo che in ogni parte della terra e in tutti i riti, che costituiscono l’ornamento della Chiesa, si elevino a Dio ed alla sua Celeste Madre unanimi le voci di coloro che pregano per impetrare la divina misericordia a favore di queste afflitte comunità di cristiani.
Dato che nel prossimo mese di gennaio si celebrerà, come al solito, in molti luoghi l’Ottavario di preghiere per l’unità della Chiesa, a Noi sembra opportuno che, specialmente in quella circostanza si supplichi istantemente, non solo perché si verifichi quanto prima il desiderio del Divino Redentore: "Padre santo, custodisci nel tuo nome quelli che mi hai dato, affinché siano una sola cosa come noi" (Gv 17, 11) ma anche perché si aprano le carceri e si sciolgano le catene che oggi affliggono miseramente tanti, per aver cercato di difendere eroicamente i diritti e le istituzioni della religione, e perché la verità cristiana, la giustizia, la concordia e la pace, che sono i supremi beni di tutti, dappertutto trionfino.
Come auspicio di ciò e come pegno della Nostra paterna benevolenza, con effusione di cuore impartiamo a voi, o Venerabili Fratelli. ai greggi affidati alle vostre cure, e in particolar modo a coloro che versano in queste difficili condizioni, l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 dicembre 1952, anno XIV del Nostro Pontificato.