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Pio XII
Invicti athletae Christi
III Centenario del martirio di sant’Andrea Bobola
16 maggio 1957 (1)
Desideriamo che tutti coloro che sulla terra si gloriano del nome di cattolici onorino devotamente il martirio e la santità della vita dell'invitto campione di Cristo Andrea Bobola; in primo luogo i figli della carissima Polonia, cui lo stesso è gloria e modello eccelso di cristiana fortezza.
Non vogliamo pertanto lasciar passare questo fausto anniversario, scritto con auree lettere negli annali della chiesa, senza cogliere qualche cosa della sua vita e della sua virtù; e, con questa lettera enciclica, a voi, venerabili fratelli, e ai greggi affidati alle vostre cure, a ciascuno secondo il proprio ufficio e la propria condizione, proponiamo d'imitarlo.
Ciò che soprattutto si vede risplendere nella vita di Andrea Bobola è la fede cattolica, il cui vigore, alimentato dalla grazia divina, col passare degli anni crebbe così tanto da divenirne la caratteristica specifica e da infondergli tanto coraggio fino al martirio.
Il detto dell'apostolo: "Ora il mio giusto vive di fede" (Eb 10,38), rifulge in lui di luce singolare. Infatti, egli abbracciava con mente fermissima e si sforzava di mettere in pratica con volenteroso animo tutto guanto la chiesa cattolica insegna che si deve credere o fare. Per questo fin dalla prima giovinezza si impegnò a frenare, reprimere e contenere tutte le passioni disordinate, che dopo la misera caduta di Adamo turbano la nostra natura e facilmente attraggono verso le cose proibite; come pure a adornare con ogni sforzo e con ogni mezzo l'animo suo delle cristiane virtù.
I
Egli nacque nell'anno 1591 nella regione di Sandomir da genitori illustri per la nobiltà della stirpe, ma ancor più per le qualità e la costanza nella fede cattolica. Dotato di buono e pronto ingegno, dopo essere stato rettamente educato in casa e abituato ai cristiani costumi fin dalla più tenera età, fu mandato alle scuole della Compagnia di Gesù, ove si distinse per l'innocenza della vita e per la singolare pietà.
Poiché disprezzava i fasti e le vanità del mondo e aspirava con ogni sforzo ai "doni migliori" (1Cor 1,31), poco dopo, già adolescente di diciannove anni, percorrendo velocemente la strada dell'evangelica perfezione, con sommo piacere diede il suo nome alla Compagnia di Gesù, ed entrò tra i novizi nella casa di Vilna. Memore della gravissima esortazione di Gesù: "Chi vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" (Lc 9,23), si adoperò fattivamente per acquisire la virtù dell'umiltà cristiana disprezzando se stesso. Ma essendo di natura sua orgoglioso, impaziente e alquanto pertinace, dovette combattere una dura battaglia contro se stesso e ascendere il monte Calvario carico quasi della croce, per giungere al vertice di tale virtù, e poter finalmente, col soffio e il sostegno della divina grazia, che chiedeva con assidue e fervidissime preghiere, impadronirsi degli ornamenti della perfezione cristiana, secondo il sapientissimo detto di san Bernardo: "L'edificio spirituale non può reggersi in alcun modo, se non sullo stabile fondamento dell'umiltà".(2) Ardeva soprattutto di carità verso Dio e verso il prossimo; per questo motivo nulla vi era per lui di più dolce che passare, quando poteva, lunghe ore davanti al tabernacolo, e, per quanto gli era possibile, soccorrere ogni genere di miserie. Amava Dio sopra ogni cosa e più di se stesso e cercava unicamente la di lui gloria secondo la norma del suo padre legislatore. Si può perciò dire che da lui è stata dedotta in pratica l'esortazione del santo dottore: "Si desideri soltanto colui che da solo appaga il desiderio".(3)
Non c'è dunque da meravigliarsi se, ornato di tali sublimi doti, questo campione di Cristo abbia fatto così grandi progressi nel campo dell'apostolato, e abbia potuto raccogliere frutti rigogliosi e salutari. In modo speciale ardeva dello zelo più vivo per conservare la fede cattolica, per promuoverla e per difenderla; per cui, già da maestro dei bambini in Vilna, e più tardi in altre città, insegnava loro con somma cura i principi della dottrina cristiana, e li esortava al culto dell'eucaristia e alla più ardente pietà verso la Vergine Madre di Dio.
Più tardi poi, elevato alla dignità sacerdotale -. nello stesso giorno in cui a Roma avveniva la canonizzazione di sant'Ignazio e san Francesco Saverio - nulla ebbe più a cuore che di diffondere dappertutto una fede cattolica non vuota, ma ricca di opere, senza risparmiarsi nelle sacre missioni, nella predicazione e in ogni genere di fatiche.
In un tempo in cui soprattutto nei territori orientali la religione cattolica era esposta a gravissimi pericoli, per i tentativi dei dissidenti che si accanivano a strappare dall'unità della chiesa i cristiani e ad attirarli con ogni mezzo ai propri errori, Andrea, per ordine dei suoi superiori, andò in queste regioni, dove, moltiplicando nelle città e villaggi le prediche e le esortazioni private, ma soprattutto con lo splendore della sua eccelsa santità e col suo zelo vivissimo di apostolo, riuscì a liberare dalle falsità la fede ormai compromessa di molti fedeli, riconducendoli ai sani principi e richiamando felicemente quanti più poté all'unico ovile di Cristo. E non solo fece rivivere e confermò la fede illanguidita o morta, ma spronò tutti a piangere i propri peccati, a comporre le discordie, a sanare i dissidi, a correggere e a rinnovare i costumi, sicché, dovunque egli passava operando il bene a somiglianza del divino Maestro, sembrava spuntasse una nuova primavera, ricca di fiori celesti e di frutti salutari. Per questo, come ne è stata tramandata la memoria, egli era indicato pubblicamente da tutti, anche dai dissidenti, quale grande cacciatore di anime.
Come poi l'infaticabile apostolo di Gesù Cristo era vissuto di fede e la fede aveva propagato e difeso col massimo zelo, così per la fede dei padri non ricusò alla fine di affrontare la morte.
Resta viva nella memoria la terribile persecuzione scatenata contro la religione cattolica nel secolo XVII nelle regioni orientali, dopo l'invasione dei cosacchi, i quali assalirono furiosamente i cattolici coi loro pastori e coi predicatori della verità evangelica: le chiese giacevano distrutte, i conventi erano dati alle fiamme, i sacerdoti e i loro fedeli per ogni dove trucidati; ogni cosa era devastata; dappertutto era lo scempio delle cose sacre.
Andrea Bobola, che poteva far suo il detto di san Bernardo: "Nulla mi è estraneo di quanto mi sembra appartenere a Dio",(4) per niente timoroso della morte né delle torture, acceso dall'amore di Dio e dalla carità per il prossimo, si portò nel pieno della mischia, per stornare con ogni mezzo quanti più poteva dall'apostasia dalla fede cattolica, dalle insidie e dagli errori degli scismatici, esortando coraggiosamente a conservare integra la fede. Ma ecco che il 16 maggio 1657, nella festa dell'Ascensione di Gesù Cristo, fu catturato presso Janow dai nemici della fede. Viene certo da pensare che egli non ne sia rimasto intimorito, ma piuttosto pieno di celeste gaudio, poiché sappiamo che sempre aveva desiderato il martirio e sempre aveva in mente le parole del divino Redentore: "Beati sarete voi quando vi malediranno e vi perseguiteranno, e mentendo diranno di voi ogni male per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli: così infatti hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi" (Mc 5,11-12).
Si freme di orrore riandando a tutti i tormenti che il campione di Gesù Cristo ha sopportato con invincibile fortezza ed intatta e fermissima fede. Infatti, "preso a bastonate e a schiaffi, e trascinato con una fune da un cavallo per una strada difficile e sanguinosa, fu condotto a Janow per l'estremo supplizio, nel quale il martire polacco riportò una delle più belle vittorie celebrate dalla chiesa. Interrogato se mai fosse sacerdote latino, Andrea rispose: "Sono sacerdote cattolico; nato nella fede cattolica, nella stessa fede voglio morire; la mia fede è la vera e porta alla salvezza; voi piuttosto fate penitenza, altrimenti coi vostri errori non vi potrete in nessun modo salvare; mentre se abbraccerete la mia fede, conoscerete il vero Dio, e salverete le anime vostre"".(5)
A queste parole, quegli uomini perfidi non si lasciarono commuovere da alcun senso di umanità, ma anzi, agitati da una mostruosa ferocia, giunsero a tale crudeltà da infierire sul soldato di Cristo con sevizie ancora più atroci. Di nuovo, infatti, "fu preso a sferzate, coronato come Gesù Cristo di pungente corona, percosso gravemente con schiaffi, e giacque ferito da una spada ricurva. Poi gli furono strappati l'occhio destro e la pelle in varie parti, gli furono atrocemente bruciate le ferite e sfregate con ispida paglia. E non bastò; infatti gli furono tagliate le orecchie, il naso e le labbra; e la lingua, strappatagli dalla nuca, fu fissata quindi con una lesina sul cuore: finalmente alle tre del pomeriggio, il valoroso campione, dando un mirabile esempio di fortezza, trafitto dalla spada, conseguì la gloria del martirio".(6)
L'invitto martire, imporporato del suo sangue, come trionfalmente fu accolto in cielo, così in terra fu dalla chiesa proposto al culto e all'imitazione di tutti i cristiani, quando la sua fulgida santità non tardò ad essere attestata e confermata da Dio stesso con stupendi miracoli. Infatti, nel 1853, fu dal Nostro predecessore di v.m. Pio IX ascritto nell'albo dei beati, e nel 1938 con solenne rito, in quello dei santi dall'immediato Nostro predecessore Pio XI di immortale memoria.
II
Ci è piaciuto toccare minutamente e concisamente in questa lettera enciclica i principali lineamenti della vita e della santità di Andrea Bobola, perché tutti i figli della chiesa cattolica abbiano non solo a volgere a lui il loro sguardo di ammirazione, ma a imitarne anche con pari fedeltà la purissima dottrina religiosa, la fede integerrima e quella fortezza con la quale combatté per l'onore e la gloria di Gesù Cristo fino al martirio. Stimolati da voi, venerabili fratelli, meditino tutti le sue eccelse virtù, specialmente in queste celebrazioni centenarie; e tutti ritengano un dovere camminare sulle sue santissime orme.
Oggi, purtroppo, in non pochi luoghi la fede cristiana è debole o sul punto di estinguersi. La dottrina evangelica da non pochi è quasi del tutto ignorata; da altri - e ciò è ben peggio - è interamente respinta, quasi non si concili col progresso di uomini che pretendono quaggiù di trarre non da Dio ma da se stessi, cioè dal loro ingegno, dalle loro forze, dalla loro vigoria, i mezzi per vivere, per operare, per domare i principi e gli elementi e ridurli al proprio servizio, a comune vantaggio e benessere nella vita sociale. E non mancano poi coloro che si adoperano per sradicare dall'anima di altri, soprattutto degli ignoranti e dei semplici, e di quanti sono già contaminati dall'errore, la fede cristiana - unico conforto in questa vita mortale particolarmente per i più miseri -, promettendo una felicità che pienamente mai si può conseguire in questo esilio terreno. Dovunque, infatti, miri la società umana, dovunque essa tenda, se si allontana da Dio, anziché godere della tranquillità agognata e della concordia e della pace degli animi, finisce per turbarsi e angosciarsi, come chi è agitato dalla febbre; e mentre tende ansiosamente alle ricchezze terrene, ai vantaggi e ai piaceri, fidando solo in essi, insegue un'ombra fugace, s'appoggia al caduco. Infatti, senza Dio e la sua santissima legge non può esserci tra gli uomini un giusto ordine, né una vera felicità, poiché manca il solido fondamento sia alla condotta privata sia alla società civile. Inoltre, voi ben sapete, venerabili fratelli, che solo le cose celesti ed eterne, non già le cose instabili e passeggere, possono soddisfare interamente l'animo nostro.
Né si può affermare ciò che alcuni vanno temerariamente blaterando, che la dottrina cristiana sia in contrasto coi lumi della ragione umana, quando invece le aggiunge splendore e forza, proprio perché la distoglie dalle false parvenze del vero per introdurla nel regno più ampio ed eccelso della vera intelligenza. Non si creda dunque che il divino messaggio, che la chiesa cattolica, per il mandato che ne ha ricevuto, interpreta legittimamente, sia qualche cosa di superato ed esaurito, mentre è qualche cosa di vivo e vigoroso, dal momento che esso solo può indicare agli uomini il sicuro e il retto cammino verso la verità, la giustizia e tutte le virtù, dar loro la concordia fraterna e la pace, e fornire alle loro leggi, alle loro istituzioni, alla loro società validi e inconcussi presidi.
Se gli uomini assennati ripenseranno tutto ciò, comprenderanno facilmente perché Andrea Bobola abbia sostenuto con animo lieto e forte tante fatiche e tanti affanni, per mantenere intatta la fede cattolica nei suoi compatrioti, per tenere lontano, con tutte le forze, da ogni genere d'insidie i loro costumi insidiati da pericoli e da seduzioni così grandi, prodigandosi instancabilmente per formarli alle virtù cristiane.
Poiché anche oggi, come già abbiamo detto, venerabili Fratelli, la religione cattolica è esposta in molti luoghi a ben dure lotte, si rende necessario difenderla con tutte le forze, predicarla e propagarla. In una questione di così grave importanza vi siano d'aiuto non solo i sacerdoti che, per ragione dell'ufficio a essi affidato, devono prestarvi solerte aiuto, ma anche i laici dall'animo generoso e risoluto a combattere le pacifiche battaglie di Dio. Quanto più pertinacemente i nemici di Dio e della legge cristiana si scagliano contro Gesù Cristo e la chiesa da lui fondata, tanto più devono combatterli, con la parola, con gli scritti e soprattutto con un luminoso e sublime esempio non solo i sacerdoti, ma anche quanti si chiamano cristiani, rispettando sì le persone, ma difendendo la verità. Che se per questo sarà necessario fronteggiare molti contrasti e sacrificare i beni temporali, mai vi si sottraggano, memori della sentenza, che compiere e sopportare cose difficili è proprio di quella virtù cristiana che Dio stesso rimunererà con un premio immenso, cioè con l'eterna felicità. In tale virtù, se vogliamo davvero tendere ogni giorno più alla perfezione della vita cristiana, entra sempre un po' di martirio, poiché non solo versando il sangue diamo a Dio prova della nostra fede, ma anche resistendo fortemente alle lusinghe del vizio e consacrando interamente noi e tutte le cose nostre con generosità e grandezza d'animo a chi è il nostro Creatore e il nostro Redentore e un giorno sarà in cielo la nostra imperitura felicità.
Tutti dunque considerino come esemplare la fortezza di animo del santo martire Andrea Bobola; conservino intatta la sua stessa fede e la difendano con tutte le forze; imitino il suo zelo apostolico, adoperandosi in tutte le maniere per consolidare il regno di Gesù Cristo sulla terra e per estenderlo ciascuno secondo la propria condizione.
Se vogliamo rivolgere queste nostre paterne esortazioni e questi nostri voti a tutti i sacri pastori e ai loro fedeli, in modo particolare li considereranno come rivolti a se stessi quanti vivono in Polonia. Andrea Bobola è infatti per essi motivo di onore e di gloria, perché ha tratto origine dalla loro stirpe e l'ha abbellita non solo con lo splendore di tante virtù, ma anche col sangue versato nel martirio. Seguendo dunque i suoi luminosi esempi, continuino a tenersi stretti alla fede avita contro ogni insidia; si sforzino con ogni impegno di conformare ad essa i costumi; e considerino seriamente come principale fra le glorie della loro patria questa: emulare cioè l'incrollabile fortezza della virtù dei padri, facendo sì che la Polonia sia sempre fedele e "contrafforte della cristianità". Dio stesso, infatti. - come insegna la "storia, ... testimone dei tempi, luce della verità ... maestra della vita"(7) -, sembra avere affidato questo particolare compito al popolo polacco. Perciò si sforzino di rispondervi sempre con forza e costanza, evitando ogni perfida insidia, vincendo e superando ogni difficoltà e ogni angustia.
Guardino al premio, che Dio promette a quanti con somma fedeltà, con intenso ardore e ardente carità vivono, operano e lottano per custodire e per dilatare sulla terra il suo regno di pace.
In quest'occasione, non possiamo astenerci dal rivolgerci direttamente a tutti i diletti figli della Polonia in modo particolare con questa lettera enciclica, soprattutto ai sacri pastori, che per il nome di Gesù Cristo hanno sofferto dolori e affanni: agite con fortezza, ma con quella cristiana energia, che va congiunta con la prudenza, l'avvedutezza e la sapienza. Custodite la fede e l'unità cattolica. La fede sia la cintura dei vostri fianchi (cf. Is 11,5); essa si annunzi a tutto il mondo (cf. Rm 1,8); e sia per voi e per tutti "la vittoria che vince il mondo" (1Gv 5,4). Fate ciò "mirando all'autore e perfezionatore della fede Gesù, il quale, in cambio della gioia che gli era posta innanzi. sostenne la croce, non facendo caso all'ignominia, e siede alla destra del trono di Dio" (Eb 12,2).
Con questo vostro modo di agire, otterrete anche che i santi del cielo, quelli specialmente che hanno tratto origine dalla vostra stirpe, dalla felicità eterna di cui ora godono insieme con la Vergine madre di Dio, regina della Polonia, guardino propizi a voi e alla vostra dilettissima patria, e vi siano prodighi di protezione e aiuto.
Perché ciò possa felicemente compiersi, desideriamo nel modo più vivo, venerabili fratelli, che voi, con ciascuno dei fedeli sparsi nel mondo, vi rivolgiate supplici a Dio con la preghiera specialmente nel corso di queste celebrazioni centenarie, affinché egli conceda benignamente i suoi doni più abbondanti e le gioie celesti in modo particolare a quelli che sono esposti a più gravi prove e sono impediti da più aspre difficoltà.
Congiungendo queste preghiere s'implori anche dal misericordiosissimo Dio che sia rinnovata e prosperi la concordia tra tutte le nazioni e che i sacrosanti diritti della chiesa e la sua opera, da cui viene un importantissimo contributo anche al vero bene dell'umana società, siano riconosciuti quanto è necessario da tutti e possano essere legittimamente e felicemente attuati dovunque.
Perché tutto ciò giunga quanto prima ad effetto uniamo le Nostre ardentissime preghiere con le vostre ed impartiamo col più grande affetto a ciascuno di voi tutti, venerabili fratelli, e al popolo cristiano la benedizione apostolica, auspicio delle grazie celesti e segno della Nostra benevolenza.
Roma, presso San Pietro, 16 maggio, anniversario del giorno in cui or sono tre secoli sant'Andrea Botola si conquistò la palma del martirio, dell'anno 1957, XIX del Nostro pontificato.
NOTE
(1) PIUS PP. XII, Litt. enc. Invicti athletae Christi saeculo exacto tertio a glorioso S. Andreae Bobolae martyrio, [Ad venerabiles Fratres Patriarchas, Primates, Archiepiscopos, Episcopos aliosque locorum Ordinarios, pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes], 16 maii 1957: AAS 49(1957), pp. 321-331.
Occasione dell'enciclica: il terzo centenario della morte del martire polacco sant'Andrea Bobola modello di fede cattolica e di cristiana fortezza. - I. Note bio grafiche: Nato nel 1591, entrò a 19 anni nella Compagnia di Gesù; assegnato, dopo il sacerdozio, a lavorare fra i dissidenti della sua patria, si prodigò in ogni modo per riportarli all'ovile di Cristo, finché l'invasione dei cosacchi scatenò una terribile persecuzione contro i cattolici; il Bobola ne fu la più illustre vittima e si freme d'orrore ripensando a tutti i tormenti inflittigli. - II. Esortazione ad imitarne gli esempi: la purezza della fede e la fortezza nel difenderla, oggi che essa è combattuta in molti luoghi; particolari incitamenti ai polacchi: agire con energia, prudenza e sapienza, rendendosi degni dei loro santi e pregandoli, insieme con Maria, regina della Polonia, per ottenerne l'aiuto a coloro che sono esposti ai pìù gravi cimenti e impediti dalle più aspre difficoltà.
(2) In Cant., serm. 36, n. 5: PL 183, 969D.
(3) S. BERNARDUS, In dedic. Eccl, serm. 4, n. 4: PL 183, 528D.
(4) S. BERNARDUS, Epist. 20, ad Card. Haimericum: PL 182, 123B.
(5) PIUS XI, Litt. decr. Ex aperto Christi latere: AAS 30(1938), p. 359.
(6) PIUS XI, Homilia in canoniz. S. Andreae B.: AAS 30(1938), pp. 152-153.
(7) CICERO, De Or. 2, 9, 36.