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Benedetto XV
In hac tanta
Ai Vescovi di Germania, rievocando il dodicesimo centenario della Missione Apostolica in quel Paese (1).
Fra tanti affanni e difficoltà d’ogni genere che Ci turbano in tempi cosi’ penosi e ancora più, per usare l’espressione dell’Apostolo, " oltre queste preoccupazioni esteriori, la cura quotidiana che da Noi attende la Chiesa ", abbiamo seguito, cari Figli e Venerabili Fratelli, con la più viva apprensione lo svolgersi di questi avvenimenti imprevisti, improntati ad anarchia e a disordine, che si sono ultimamente svolti presso di voi e presso i vostri popoli e che ancora tengono gli animi sospesi nell’incertezza dell’avvenire.
In questi momenti torbidi ed oscuri un raggio di luce sembra venire dal vostro paese, messaggio di speranze e di gioia: il lieto ricordo del saluto portato alla Germania, or sono dodici secoli, da Bonifacio (2), legato del Seggio Apostolico, che l’autorità del Pontefice aveva designato araldo del Santo Vangelo. Ci è quindi sommamente gradito l’intrattenerci ora con voi, perché reciproca consolazione ne venga ai nostri spiriti, e per esprimervi il Nostro paterno compiacimento.
Ci uniamo a voi in questa speranza e in questa gioia, e vi confermiamo il Nostro amore e la Nostra paterna benevolenza verso la vostra nazione, commemorando questa antica unione del popolo tedesco con la Sede Apostolica, da Noi vivamente desiderata.
Scaturirono da essa per la vostra patria i primi elementi della fede, che presto ebbero un superbo sviluppo, allorché dal Seggio Apostolico a un tale uomo fu affidata la legazione romana, resa nobile dalla gloria delle gesta compiute e sublimata dal sangue dei martiri. Dopo dodici secoli di questo felice inizio della religione cristiana, Noi vediamo giustamente prepararsi da voi, compatibilmente con le circostanze dei tempi, solennità secolari, che celebreranno con la memore riconoscenza degli uomini e con degne lodi, questa nuova era di civiltà cristiana, iniziata dalla missione e dalla predicazione di Bonifacio e sviluppata dai suoi discepoli e successori, per la salute e la prosperità della Germania.
Sappiamo, amati Figli e Venerabili Fratelli, che voi indirizzate questo lieto ricordo e questa felice celebrazione del passato a perfezionare il presente ed assicurare, per l’avvenire, l’unità e la pace religiosa, che Noi cosi vivamente desideriamo. Questo immenso bene, che emana solamente dalla fede e dalla carità cristiana, fu portato dal cielo da Gesù Cristo, nostro Dio e Signore, e da Lui affidato alla Sua Chiesa e al suo Vicario in terra, il Pontefice Romano, per custodirlo, propagarlo, difenderlo. Donde la necessità dell’unione con la Sede Apostolica; unione di cui Bonifacio fu l’araldo perfetto; di qui anche il sorgere di più strette relazioni di amicizia e buoni uffici fra la Santa Sede romana e la vostra nazione, che Bonifacio stesso ha cosi meravigliosamente avvicinato a Cristo e al Suo Vicario sulla terra.
Evocandone il ricordo, facciamo voti perché questa unione e questa armonia perfetta si ristabiliscano presso tutti i popoli, si che "Cristo sia tutto in tutti" (Coloss. III, 11). E dopo tanti secoli, è impossibile ricordare senza un vivo sentimento di gioia ciò che così fedelmente gli scrittori di quell’epoca lontana, e particolarmente i compagni di Bonifacio, fra cui il noto Vescovo Willibaldo (3), riportarono intorno alle virtù e alle opere di questo Santo e soprattutto intorno all’inizio e al felice sviluppo della legazione romana a Lui affidata presso il popolo germanico. Per la lunga pratica di vita religiosa, che fin dalla più tenera età nella sua patria aveva abbracciato, e per l’esperienza di apostolato acquisita fra le nazioni barbare in qualche tentativo fatto, egli comprese come non avrebbe raccolto frutti durevoli senza il consenso e l’approvazione della Sede Apostolica e senza la sua missione e il suo mandato.
Così, dopo aver rifiutato l’onorevolissima dignità d’abate e detto addio ai religiosi, suoi fratelli, malgrado le loro preghiere e le loro lacrime, egli parti e attraverso vaste terre e vie ignote di mari giunse felicemente alla sede dell’Apostolo Pietro. Qui s’intrattiene col Santo Padre Gregorio II (4), che allora sedeva sul seggio papale, e "gli racconta il suo viaggio, gli espone la ragione della sua venuta e il desiderio che da lungo tempo lo tormenta".
Il Papa accoglie questo Santo "col viso sorridente e lo sguardo pieno di dolcezza". E non solo lo ammette più volte in udienza, ma "colloqui tiene con lui ogni giorno importanti" (Vita di San Bonifacio, di Willibaldo, c. V, 13-14) e infine gli affida nei termini più solenni e per lettere ufficiali, la missione di predicare il Vangelo fra i popoli della Germania. Le quali lettere (Ep. Exigit manifestata, inter Bonifacii epistulas XII, al. 2) spiegano meglio e mettono maggiormente in rilievo lo scopo e l’importanza della missione, di quanto non facciano gli scrittori di quell’epoca nel ricordare il mandato del "Seggio Apostolico" o del "Pontefice Apostolico".
I termini che egli usa sono improntati ad una tale gravità e a tanta autorità, che difficilmente se ne possono trovare di più espressivi. "Lo scopo che tu ti sei proposto e che Ci rivela il tuo ardente amore per Cristo e la tua fede purissima che si è manifestata a Noi, esigono che Noi Ci serviamo di te come aiuto per la diffusione della parola divina, che la Provvidenza Ci ha affidato".
Infine, dopo averne lodato la cultura, l’indole, i propositi, e l’autorità suprema del Seggio Apostolico, da Bonifacio stesso invocata, solennemente conclude: "Perciò, nel nome dell’indivisibile Trinità, per la saldissima autorità del Beato Pietro, Principe degli Apostoli, Noi, che da Lui abbiamo ereditato il magistero della dottrina e che nella Santa Sede ne occupiamo il posto, riconosciamo la purezza della tua fede ed ordiniamo che tu, con la grazia infinita di Dio, vada tra quei popoli che vivono nell’ignoranza e nell’errore, per insegnar loro la verità, far loro conoscere l’avvento del regno di Dio e il nome Santissimo di Nostro Signor Gesù Cristo". L’esorta infine ad osservare sempre nella somministrazione dei Sacramenti : "la forma rituale della Sede Apostolica" ed a ricorrere al Santo Pontefice ogni qualvolta egli ne avesse bisogno nell’esercizio del suo ministero.
Dopo questa lettera solenne, chi potrebbe dubitare della benevolenza di questo Santo Pontefice e del suo sincero e rispettoso affetto verso Bonifacio, e della sua paterna sollecitudine verso il popolo germanico, al quale inviava questo pio e tanto caro predicatore? La coscienza della sua missione, unita al profondo amore per Cristo, incitava continuamente all’azione quest’Apostolo; era per lui motivo di consolazione nei momenti più tristi, gli infondeva nuovo coraggio quando le forze sembravano abbandonarlo. Ciò si vide chiaramente al suo arrivo in Frisia e in Turingia quando, come narra un cronista dell’epoca, "secondo il mandato della Sede Apostolica, parlò della religione cristiana ai senatori, ai capi del popolo, indicando loro l’unica e vera via per la conoscenza di Dio e per la fede in Lui".
Questa coscienza della sua missione lo tenne lontano dall’ozio, impedendogli di desiderare il riposo e di fissarsi in un posto qualunque come in un porto tranquillo; e sempre lo indusse ad affrontare le più aspre difficoltà e i più umili lavori, unicamente per procurare di accrescere la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Con tale devozione e tale pietà religiosa che lo rendevano sottomesso alla volontà della Sede Apostolica, alla quale offriva il servizio tanto prezioso della sua opera, inviava a Roma lettere e messaggi, "si da rendere noto — fin dall’inizio della sua missione — al Venerabile Padre della Sede Apostolica tutto ciò che la grazia di Dio aveva per mezzo suo operato" e "chiedeva consiglio alla Sede Apostolica sulle quotidiane necessità della Chiesa di Dio e sulla salvezza dei popoli" (Vita di San Bonifacio, c. VII, 19).
Un sentimento tutto particolare di venerazione animava lo spirito di Bonifacio, come egli, negli ultimi anni, ebbe a confessare in un momento di sincerità al Papa Zaccaria (5): "Con l’approvazione e per ordine del Papa Gregorio II, di venerabile memoria, io mi legai per quasi trent’anni con un voto, quello cioè di vivere in amicizia e al servizio della Sede Apostolica; per questo motivo "io ero solito comunicare al Santo Pontefice Romano le mie gioie e i miei dolori, per poter insieme lodare Dio nei momenti felici, e per trovare nella sua parola e nei suoi consigli la forza di resistere alle mie pene" (Ep. LIX, al. 57). Si trovano qua e là preziosi documenti che attestano uno scambio ininterrotto di corrispondenza e un perfetto accordo di volontà fra questo insigne predicatore del Vangelo e la Sede Apostolica, accordo continuato e favorito successivamente da ben quattro Pontefici di gloriosa memoria. I Pontefici Romani non trascurarono alcuna occasione ed ebbero la massima cura per aiutare e favorire questo attivo Legato, mentre Bonifacio da parte sua nulla tralasciava e tutto il suo zelo e il suo operato erano rivolti a compiere santamente e largamente la missione ricevuta dal Pontefice, ch’egli venerava ed amava come figlio.
Papa Gregorio quindi, in considerazione dello sviluppo e dell’estensione acquistata dal campo evangelico affidata a Bonifacio e vedendo crescere la bella messe dei popoli, che per mezzo suo erano entrati nel grembo della Santa Chiesa, decise di conferire a lui il grado più alto del Sacerdozio, imponendogli l’Episcopato su tutta la provincia germanica.
E Bonifacio, che pure aveva resistito di fronte al suo intimo amico Willibaldo, "accettò ed obbedì, non osando opporsi al desiderio di un si grande Pontefice".
Il quale Pontefice Romano aggiunse a questo alto onore un altro favore del tutto particolare e degno d’essere segnalato ai posteri del popolo tedesco, poiché accordò l’amicizia della Sede Apostolica a lui e ai suoi soggetti per sempre (Vita di San Bonifacio, e. VII, 21). Gregorio aveva già dato chiara prova di una siffatta amicizia quando scriveva, rivolgendosi ai Re, ai Principi, ai Vescovi, agli Abati e a tutto il Clero, ai popoli barbari o noviziati della fede cristiana, per invitarli "a dare il loro appoggio e il loro concorso a questo grande servitore di Dio, mandato dalla Chiesa Cattolica Apostolica Romana per diffondere nel mondo la luce della verità".
La particolare amicizia fra Bonifacio e la Sede Apostolica fu confermata dal successivo Pontefice Gregorio III (6), allorché Bonifacio gli mandò messaggeri per felicitarsi della Sua elezione Questi gli fecero conoscere il patto d’amicizia che il Suo predecessore aveva concluso con Bonifacio e i suoi e "lo assicurarono della completa dedizione del Suo umile servitore per l’avvenire" e infine, secondo quanto era stato loro segnalato, chiesero che "il missionario devoto fosse ancora beneficato dell’amicizia e del legame col Santo Pontefice e la Santa Chiesa" (Vita di San Bonifacio, c. VIII, 25).
Il Papa accolse i messaggeri con benevolenza, e dopo aver loro rimesso per Bonifacio nuove dignità, fra l’altro "il pallio dell’Arcivescovado, li rimandò al loro paese, carichi di doni e di diverse reliquie di Santi". Si può a mala pena esprimere "la riconoscenza di questo Apostolo per tali dimostrazioni d’affetto e il conforto che al suo spirito derivò dalla benevolenza della Santa Chiesa verso di lui, colpito dalla misericordia divina" (Vita di San Bonifacio, c. VIII, 25 e segg.). Egli attinse nuove forze per intraprendere più grandi e difficili compiti: edificare nuovi templi, ospedali, monasteri, fondare nuovi villaggi; percorrere nuove regioni predicando il Vangelo; creare nuove diocesi e riformare le antiche, estirpandone i difetti, gli scismi e gli errori; gettare ovunque i germi della fede e della vita cristiana; diffondere i veri dogmi e le vere virtù; portare la civiltà fra nazioni barbare, spesso terribilmente crudeli, servendosi di discepoli ch’egli aveva educato alla pietà, e di alcuni compatrioti venuti d’Inghilterra. In mezzo a questo immenso lavoro, già nobilitato da importanti opere sante, fra le opposizioni, le sciagure, le inquietudini quotidiane, non ostante l’età avanzata che l’induceva a riposarsi dopo una cosi lunga fatica, egli non dava adito alcuno a sentimenti d’orgoglio, ne a desiderio dì riposo; aveva costantemente
dinanzi agli occhi la missione da compiere e gli ordini del Pontefice.
Perciò "data la sua intima unione col Papa e con tutto il clero, venne a Roma una terza volta, accompagnato dai suoi discepoli, per intrattenersi col Santo Padre e raccomandarsi alle preghiere dei Santi, poiché si sentiva molto avanti negli anni (Vita di San Bonifacio, c. IX, 27 e segg.). Ancora una volta egli fu affabilmente accolto dal Pontefice, "colmato di nuovi doni e di reliquie di Santi" e fornito di preziose e importanti lettere di raccomandazione come lo dimostrano quelle a noi pervenute.
I due Gregori ebbero per successore Zaccaria, erede del loro Pontificato e del loro interessamento verso i tedeschi e il loro Apostolo. Non contenti di rinnovare l’antica unione, l’accrebbero ancor più colla testimonianza di una maggior fiducia — se ciò era possibile — e benevolenza verso Bonifacio. Il quale ebbe con Zaccaria lo stesso comportamento, come ne fanno fede i numerosi messaggi e le amichevoli lettere che furono scambiate. Fra le altre cose, che sarebbe troppo lungo riferire, il Papa si rivolge al suo Legato con questi termini affettuosi: "Sappia, carissimo Fratello, la tua santa fraternità, che ti amiamo al punto da desiderarti ogni giorno vicino a Noi, per averti nel Nostro consorzio quale ministro di Dio e della Chiesa di Cristo" (Ep. Susceptis, inter Bonifacii ep. LI, al. 50). A buon diritto quindi, qualche anno prima della sua morte, l’Apostolo della Germania così scriveva al Pontefice Stefano, successore di Zaccaria : "II discepolo della Chiesa Romana domanda costantemente dal più profondo dell’animo l’amicizia e l’unione con la Santa Sede Apostolica" (Ep. LXXVIII). Mosso da una fermissima fede, infiammato di pietà e di carità, Bonifacio conservò sempre intatta e non tralasciò giammai di raccomandarla a quelli che egli aveva formato con la parola evangelica, con una tale assiduità che sembrava volesse assegnarla loro per testamento, questa fedeltà e rara unione con la Sede Apostolica; fedeltà che egli sembrava avere attinto dapprima nella sua patria, nel segreto della vita monastica; fedeltà che in seguito aveva promesso a Roma attraverso un giuramento sul corpo del Beato San Pietro, capo degli Apostoli, prima di affrontare le difficili vie dell’Apostolato; fedeltà che egli aveva infine mostrato fra mille pericoli e mille lutti, come il simbolo del suo Apostolato e la regola della sua missione.
Sfinito dagli anni e dal lavoro intenso, sebbene si definisse umilmente "l’ultimo e il peggiore dei Legati che la Chiesa Cattolica Apostolica Romana avesse eletto onde predicare il Vangelo" (Ep. LXIII, al. 22), teneva ben alta questa missione romana ed amava chiamarsi, ringraziando Iddio : "il Legato della Santa Chiesa Romana per la Germania" desiderando essere il devoto servitore dei Pontefici successori di San Pietro e loro discepolo sottomesso e ubbidiente. Aveva profondamente fissato nell’animo, osservandola con ogni scrupolo, l’affermazione del martire Cipriano, testimone dell’antica tradizione cristiana: "Dio è uno, Cristo è uno, la Chiesa è una, ed una la Cattedra fondata con San Pietro per la parola del Divino Maestro" (San Cipriano, Ep. XLIII, 5); come anche il detto di Sant’Ambrogio, grande Dottore della Chiesa: "Dove è Pietro, là è la Chiesa; ove è la Chiesa, non esiste la morte, ma la vita eterna" (Enarr. in Ps. XL, n. 30); e ciò che infine insegnava il dotto Gerolamo: "La salvezza della Chiesa dipende dall’autorità del Sommo Pontefice, e se a Lui non viene attribuito un potere indipendente e sovrano. Egli avrà in seno alla Chiesa tanti eretici quanti preti" (Contro Lucif., 9).
Questo è provato dalla triste storia delle antiche discordie e confermato dall’esperienza dei mali che ne sono derivati. Non dobbiamo richiamarci al passato in momenti come questi, in cui siamo oppressi da ogni genere di sventure e da sanguinose stragi, ma piuttosto dobbiamo deplorarlo, e lasciarlo in eterno oblio. Ciò che importa è invece ricordare e celebrare l’antica unione e gli intimi rapporti che legarono Bonifacio, primo Apostolo della Germania, e lo stesso popolo tedesco alla Sede Apostolica; unione da cui derivò per i Germanici la fonte della fede, e tanta prosperità e civiltà.
Sarebbe possibile, voi ben lo sapete, cari Figli e Venerabili Fratelli, segnalare prove e dettagli degni di essere citati, ma la cosa è così chiara e conosciuta, che non occorre indugiare con lunghi discorsi.
Se Noi Ci siamo soffermati più a lungo di quanto fosse necessario su questo argomento, è stato perché Ci è piaciuto richiamare con voi questi antichi ricordi, al fine di trame consolazione per sopportare con maggior coraggio i momenti presenti, resi forti dalla speranza di un prossimo risorgere di questa unione e di questo attaccamento alla Chiesa, "nella speranza della pace e nei vincoli della carità". D’altra parte, Ci è soprattutto gradito il fatto che l’esempio e le nobili virtù di Bonifacio, vostro predecessore, e in particolar modo i rapporti di amicizia e di unione, che abbiamo voluto celebrare in questa lettera, Ci siano oggi palesi nel vostro attuale comportamento, destando tutta la Nostra ammirazione. Si, egli vive ancora in voi, vive gloriosamente, l’Apostolo della vostra patria; egli vive, come si era definito: "il Legato della Chiesa Cattolica Romana per la Germania"; egli continua ancora la sua missione per mezzo delle sue preghiere, del suo esempio e del ricordo delle sue opere, per le quali "colui che è morto ancora parla".
Sembra con ciò che esorti il suo popolo ad essere unito con la Chiesa Romana, sicuro interprete ed araldo di Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, che predica soprattutto ai suoi figli d’essere uniti. Invita i fedeli discepoli della Chiesa a rinsaldare più strettamente i vincoli della loro pietà religiosa; invita i dissidenti a ritornare con amore e con fiducia in seno alla Nostra Madre Chiesa, abbandonando gli antichi odi, le rivalità, i pregiudizi; invita tutti i credenti in Cristo, vecchi e nuovi, a perseverare con sentimento, perché da questa divina concordia fioriscano la carità e la pace del mondo. — Chi può non ascoltare questo invito e questa esortazione d’un padre?
Chi può disprezzare questo paterno avvertimento, questo esempio, queste parole? Poiché (per usare, la frase cosi bella e appropriata di un antico scrittore, vostro Compatriota, nel momento in cui celebrate il centenario della missione di Bonifacio nel vostro paese) se, come disse l’Apostolo, abbiamo avuto per educatori i nostri padri naturali e li veneriamo, a maggior ragione non dovremmo forse obbedire al padre delle anime? E non soltanto Iddio è nostro padre spirituale, bensì anche tutti coloro, la cui dottrina e il cui esempio ci indicano la via della verità, e ci esortano ad aderire fortemente alla religione.
Come Abramo con la sua fede e la sua obbedienza, che rimangono per tutti un esempio, è chiamato il padre di tutti coloro che credono in Cristo, cosi San Bonifacio può essere chiamato il padre dei Germanici, dal momento che li ha iniziati alla fede cristiana con la sua predicazione, li ha rafforzati col suo esempio, e ha immolato la sua vita per loro, dando con ciò la più grande prova d’amore che sia possibile all’uomo concedere" (Vita di San Bonifacio del monaco Otlono, lib. I, cap. ult.).
Noi aggiungiamo pertanto, cari Figli e Venerabili Fratelli, sebbene già lo sappiate, che questa meravigliosa carità di Bonifacio non si è limitata alla nazione germanica, bensì ha abbracciato tutti i popoli, anche quelli ostili fra loro; ed è cosi che, secondo la legge dell’amore, l’Apostolo della Germania affratella particolarmente la vicina nazione di Francia, della quale fu saggissimo riformatore, e ai suoi compatrioti, "discendenti da stirpe inglese, egli, fratello di razza, Legato della Chiesa, universale e servitore della Sede Apostolica", affida la diffusione della religione cattolica, loro già precedentemente annunciata dai Legati di San Gregorio Magno, per ristabilirla presso i Sassoni e i popoli affini, raccomandando loro di conservare preziosamente "l’unione e l’intima comunione degli spiriti".
Poiché la carità — per usare ancora le parole dello scrittore più sopra citato — è la sorgente e il fine di tutti i beni, fermiamoci su questo punto, cari Figli e Venerabili Fratelli.
E confidiamo dunque con tutto cuore che sorga presto il giorno in cui, nel mondo turbato e sconvolto, i diritti di Dio onnipossente e della Chiesa, le loro leggi, il culto e l’autorità siano restaurati, si che la carità cristiana riviva per mettere un freno tanto alle guerre e agli odi furiosi, quanto alle discordie, alle eresie e agli errori che ovunque hanno invaso la terra, e per legare i popoli con un patto più saldo che non siano i poveri trattati degli uomini, cioè a dire per l’unità della fede soprattutto e per le relazioni, o meglio, per l’intima e antica unione con la Sede Apostolica, stabilita da Cristo come base della Sua famiglia sulla terra e consacrata dalla virtù, dalla saggezza, dalle fatiche di tanti Santi e dal sangue dei martiri, specialmente di Bonifacio.
Una volta raggiunto sulla terra questo accordo di fede e di spiriti, Noi potremo a buon diritto rivolgere alla cristianità intera quanto il Papa Clemente (7), conscio della superiorità romana e dell'autorità della Santa Sede, scriveva ai Corinzi fin dai primi secoli del Cristianesimo: "Voi Ci procurerete immensa gioia se, obbedendo a ciò che vi abbiamo scritto, illuminati dallo Spirito Santo, metterete da parte l’ardore illegittimo della vostra rivalità, secondo la Nostra esortazione alla pace e alla concordia universale" (San Clem. Rom., Ep. I ai Corinzi, 63).
Possa l’Apostolo e Martire Bonifacio ottenere tutto ciò a Noi e soprattutto ai popoli che più direttamente sono i suoi, per origine o per elezione, perfezionando in Cielo ciò ch’Egli non cessò mai di ricercare sulla terra. "Tutti coloro che Dio si compiacque di inviarmi durante la mia missione, come uditori o come discepoli, io non cesso di invitare e di incitare alla sottomissione alla Sede Apostolica" (Ep. I, al. 49).
Frattanto, quale pegno di speranza e di felice risultato della vostra solennità, vi accordiamo di tutto cuore la Benedizione Apostolica; e per dare maggiore importanza a questa festa vi concediamo dal sacro tesoro della Chiesa i seguenti favori:
1. - In qualunque giorno del mese di giugno e luglio prossimo, salvo quelli della Pentecoste, del Corpus Domini e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, in tutte le Chiese e oratori pubblici o semipubblici della Germania, dove si festeggia il centenario, ogni prete potrà celebrare la Messa del Santo, sia durante il triduo, sia nel giorno stesso della festa.
2. - II giorno della festa i Vescovi potranno impartire di persona o per delega la Benedizione Papale.
3. - Chiunque visiterà le Chiese di Germania nel giorno della celebrazione del centenario, potrà acquistare ogni volta un’indulgenza plenaria secondo l’uso della Porziuncola.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 4 maggio 1919, anno V del Nostro Pontificato.
NOTE (l) Dopo la guerra mondiale, che aveva di fatto interrotto i rapporti fra la Santa Sede e i cattolici tedeschi, il Pontefice prende occasione dal dodicesimo centenario della evangelizzazione della Germania per rievocare la storia del Cristianesimo in quel Paese. (2) San Bonifacio, inglese di nascita, vissuto fra il 680 e il 755, cambiò il suo nome originario di Vinfrido in quello latino di Bonifacio, si fece missionario nella Germania ancora pagana e idolatra e vi diffuse il Cristianesimo fondandovi chiese e scuole. Protetto dal re dei Franchi Carlo Martello e dal suo successore Pipino, potè svolgere la sua attività apostolica durante parecchi anni. Il Pontefice Gregorio II lo nominò vescovo di Magonza (752) e vicario nella Germania, ma egli riprese la sua opera missionaria nei territori più selvaggi e barbari, fra le paludi della Frìsia (Olanda settentrionale), dove fu ucciso a Dokkum. Lasciò pagine notevoli di dottrina teologica e sermoni. (3) Benedettino inglese della contea di Wessex (700-781), con il fratello (4) Gregorio II, Papa dal 715 al 731, è particolarmente ricordato per essere stato il protagonista della lotta contro gli Iconoclasti che avevano a loro protettore l’imperatore bizantino Leone III Isaurico. Questi nel 726, in una pubblica riunione di popolo e di funzionari imperiali, a quanto narra il cronista bizantino Teofane, proclamò l’esclusione delle immagini dal culto. La vera ragione di tale decisione ci è oscura, ma ci è nota invece la ribellione che la decisione imperiale provocò fra i cristiani d’Occidente. Papa Gregorio II protestò energicamente, inviando una lettera all’imperatore che aveva minacciato di disconoscere la sua autorità se non avesse obbedito alla ingiunzione di sopprimere le immagini dalle chiese, il dissidio servi di argomento a ribellioni rapidamente diffusesi in Italia contro il dominio bizantino. (5) San Zaccaria, Papa dal 741 al 752, greco; in lotta con Bisanzio e minacciato dai Longobardi svolse una politica di avvicinamento coi Franchi, la potenza dei quali era in continua ascesa. Riconobbe Pipino come re e preparò quell’intervento dei re franchi nelle cose d’Italia che doveva divenire decisivo sotto il Pontificato del suo successore, Stefano II. (6) San Gregorio III (731-741), di origine siriana, segui la politica del suo predecessore Gregorio II nella lotta contro l’eresia iconoclasta; appena assurto alla Tiara, convocò a Roma un Concilio al quale parteciparono novantatré vescovi italiani, nobili e popolo: concilio che decretò la scomunica contro gli Iconoclasti. La lotta con l’impero bizantino si riaccese e forze imperiali si impadronirono dei beni delle chiese dell’Italia meridionale e di terrltorì dell’Italia centrale che forse per la prima volta nella storia sono designati come appartenenti alla "Santa Repubblica", cioè ad uno Stato che si identifica con il "patrimonio di San Pietro". (7)
Wleribaldo (702-761) e con il padre Riccardo fu più volte a Roma, dove dal Pontefice venne inviato a fiancheggiare l’opera apostolica che San Bonifacio stava svolgendo in Germania. Sembra che fosse legato di parentela per parte di madre con Bonifacio, del quale scrisse una biografia, spesso richiamata in questa enciclica.