UNESCO: UN’EDUCAZIONE PER UN NUOVO ORDINE MONDIALE?
La Commissione Internazionale sull’Educazione per il Ventunesimo Secolo, é stata costituita il 2 marzo 1993 su invito di Federico Mayor, Direttore Generale della UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization), per valutare "i nuovi ruoli dell’educazione e le nuove esigenze nei confronti dei sistemi educativi in un mondo caratterizzato dall’accellerazione del cambiamento e da un’intensificazione delle tensioni di carattere economico, ambientale e sociale" [1] e redigere un Rapporto "destinato principalmente ai governi" (contenente "raccomandazioni utili per gli organismi internazionali" [2] e destinato anche "a enti pubblici e privati, a responsabili politici e organi decisionali, e in generale a tutti coloro ai quali spetta formulare e attuare progetti e iniziative in campo educativo"), le cui conclusioni e raccomandazioni siano orientate "verso l’azione" [3].
La Commissione é stata presieduta da Jacques Delors, ex-ministro dell’Economia e delle Finanze di Francia, e composta da 15 personalità del mondo politico, universitario, delle comunicazioni ed educativo di diversi paesi. Nel corso dei suoi lavori si é anche avvalsa del contributo - limitato ad alcune sessioni o scritto - di altre quattordici personalità del mondo politico, economico e scientifico, nonché della consulenza della International Association of Universities, dell’International Council for Adult Education, dell’Education International e della United Nations University. Sono state inoltre consultate a vario titolo oltre centocinquanta personalità e istituzioni, assieme a molte delle commissioni nazionali dell’UNESCO, la maggior parte degli organismi delle Nazioni Unite e un notevole numero di organizzazioni non statali, che hanno inviato materiali, risposto a questionari o proposto dei contributi.
Il Rapporto finale é il risultato di otto sessioni plenarie e altrettante sessioni destinate a lavori di gruppo, spesso fatte coincidere con importanti riunioni di altri enti interessati, come la Conference of the American Comparative and International Education Society [4], la World Bank, l’Esecutivo Internazionale dell’Educazione, la Quinta Conferenza dei Ministri dell’Educazione degli Stati Arabi, la Dodicesima Conferenza dei Ministri dell’Educazione del Commonwealth, la Quarantaquattresima Sessione della Conferenza Internazionale sull’Educazione (in occasione di un Seminario sull’educazione e sulla coesione sociale finanziato dal Governo di Spagna).
I lavori della Commissione si sono generalmente avvalsi del personale, del finanziamento, dell’organizzazione e delle strutture degli uffici nazionali dell’UNESCO e si sono conclusi il 17 gennaio 1996 a New Delhi, in India, con l’adozione del Rapporto Finale, detto anche Rapporto Delors.
1. L’UNESCO e le Istituzioni Internazionali
1.1 L’UNESCO e l’ONU
Il primo auspicio di un’organizzazione universale - diversa dalla Chiesa Cattolica - destinata a dirigere le attività educative dell’umanità, può essere fatto risalire al "Consiglio della luce" dettagliatamente descritto nella Panorthosia di Jan Amos Komensky, detto Comenio (1592-1670) [5].
Tuttavia, solo nel 1925 - dopo la Prima Guerra mondiale e la caduta dell’Impero Austro-Ungarico - vedono la luce l’Institut international de Coopération intellectuelle - sorto per volontà del governo francese e successivamente sostenuto in cooperazione con la Società delle Nazioni - e viene fondato il primo ente sovranazionale a carattere non religioso per scopi educativi, il Bureau International d’Éducation (BIE)[6], che nel 1969, pur conservando autonomia organizzativa e intellettuale, diverrà parte dell’UNESCO assumendo la denominazione di The International Bureau of Education. Il BIE é un centro di informazione e ricerca nel campo della "pedagogia comparativa", una particolare disciplina pedagogica che consiste "nel determinare i modi di sviluppo dell’istruzione in questo secolo e nel tentare di riconciliare tendenze separate e concorrenti [...]; andar oltre i fenomeni immediati e locali, così da ottenere una più vasta visione sinottica [...] alla ricerca di modalità soddisfacenti di evoluzione futura" [7]; a detta del prof. Battista Orizio, "tutta l’attività dell’UNESCO ha carattere pedagogico-comparativo" [8].
Il 4 novembre 1946, alla fine della Seconda Guerra mondiale e a seguito della nascita dell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), si tiene a Parigi la prima Conferenza generale dell’UNESCO che attribuisce a questa istituzione un significato e una rilevanza tutta particolare, come specifica anche il Rapporto Delors: "Il mandato assegnato all’UNESCO nel sistema delle Nazioni Unite e il posto che esso occupa attualmente nella collaborazione internazionale ne fanno un’istituzione chiave per il futuro" (p. 180). Il legame con l’ONU é così sottolineato: "Poiché i suoi campi di competenza toccano questioni di vitale importanza, l’UNESCO, operando insieme a organizzazioni internazionali, deve assumersi evidentemente grandi responsabilità. Più in particolare, in un momento della storia in cui il ruolo chiave dell’educazione nello sviluppo nazionale ed umano é, secondo le parole del suo Direttore Generale, "universalmente riconosciuto e proclamato" [...], é giusto e opportuno che l’educazione venga associata a molti progetti per mezzo dei quali la comunità internazionale intende porre le basi per il suo futuro. Per questa ragione, molte delle raccomandazioni della Commissione si collocano nel filo diretto dei lavori delle conferenze mondiali delle Nazioni Unite" (p. 172).
1.2 Ambiguità dell’UNESCO
Da un certo punto di vista l’educazione può essere considerata come un mezzo che veicola una determinata cultura e, in questo senso, c’è del vero nell’affermare che "scegliere un tipo di educazione significa scegliere un tipo di società" (p. 168). Ma quale educazione potrà essere proposta dalle diverse - e spesso contrapposte - ideologie che caratterizzano i membri dell’UNESCO? [9]. Il tentativo di conciliare l’inconciliabile ha spesso portato i moderni organismi internazionali ad enunciare non già i principi perenni del diritto naturale, bensì "i valori e le preoccupazioni fondamentali su cui si é d’accordo in seno alla comunità internazionale e al sistema delle Nazioni Unite", valori talmente generici e indefiniti [10] da poter essere condivisi da tutti gli stati membri: "diritti umani, tolleranza e comprensione reciproca, democrazia, responsabilità, universalità, identità culturale, ricerca della pace, salvaguardia dell’ambiente, comunicazione delle conoscenze, lotta contro la povertà, controllo demografico, sanità" [11].
Questo genere di difficoltà erano state evidenziate sin dal momento della nascita dell’UNESCO da un eminente storico dell'educazione italiano, padre Mario Barbera S.J. (1877-1947), che vi aveva rilevato "influssi marxisti, massonici e scientisti" [12].
Interrogandosi a un livello più profondo sulle ragioni di tali difficoltà iniziali, ci si imbatte inevitabilmente nel processo di secolarizzazione della cultura e della politica occidentale che, col venire meno dell’influenza culturale della Chiesa Cattolica sull’Occidente [13], ha comportato anche la conseguente perdita dell’unità politica: se il naturale bisogno di unità - culturale e politica [14] - non é scomparso dal cuore dell’uomo, a seguito del processo di secolarizzazione la sua realizzazione [15] é stata purtroppo progressivamente cercata nell’ambito culturale di un umanesimo ateo [16]. In questa prospettiva, a detta del Prof. Orizio, "la pedagogia comparatistica si sviluppa con la funzione di creare una nuova unità dialettica, cioè dei diversi, che sostituisca l’unità amministrativa di quando l’Europa scolastica era monopolio delle congregazioni religiose, soprattutto dei gesuiti [...] La comparazione pedagogica é perciò la risposta adeguata a una nuova situazione culturale ed educativa. La fine dell’universalismo delle istituzioni educative coincide con l’inizio della serie poi ininterrotta di studi di pedagogia comparatistica" [17].
Ebbene, se l’ONU può in qualche modo essere considerata come il moderno organismo sovranazionale deputato a soddisfare il bisogno di unità politica, l’UNESCO svolge il ruolo della sua "autorità morale" (p. 182), come lasciano intendere le parole dello stesso Rapporto: "la Commissione ritiene che la missione etica dell’UNESCO, cui la sua Costituzione assegna valore prioritario, si trovi oggi confortata dai nuovi compiti che s’impongono all’educazione nel mondo moderno, che si tratti di promuovere lo sviluppo sostenibile, di assicurare la coesione sociale, d’incoraggiare a tutti i livelli la partecipazione democratica, o di rispondere agli imperativi della globalizzazione" (p. 182).
1.3 Il precedente "rapporto Faure" e la "mondializzazione"
Il recente Rapporto Delors fa seguito a quello del 1972 della Commissione internazionale per lo sviluppo dell’educazione, più noto come Rapporto sulle strategie dell’educazione o Rapporto Faure, dal nome del presidente della commissione Edgar Faure, ex Primo Ministro francese e Ministro dell’educazione [18]. Tale Rapporto, che risentiva dei toni e del linguaggio seguenti gli anni della Rivoluzione culturale operata dalla cosiddetta "contestazione studentesca" del 1968, ebbe vasta risonanza e contribuì a diffondere nel mondo i concetti di Educazione permanente e di Comunità Educante [19]. Il recente Rapporto Delors vi si ricollega esplicitamente col segnalare che le sue "raccomandazioni conservano ancora tutta la loro importanza" [20] e, pur riprendendone i concetti fondamentali - che vengono ora presentati con sfumature diverse rispettivamente come Educazione per tutta la vita e come Società educante -, é caratterizzato da evidenti diversità di forma, la più evidente delle quali fa riferimento ai paesi del cosiddetto "socialismo reale": se il Rapporto Faure abbondava di riferimenti - proposti come "esemplari" - ai sistemi educativi dei paesi a regime socialcomunista, il Rapporto Delors si limita a segnalare che "il crollo dell’impero sovietico ha fatto voltare una nuova pagina di storia" (p. 38) lamentando che "paradossalmente la fine della Guerra Fredda, che aveva segnato i decenni precedenti, ha prodotto un mondo più complesso, più incerto, e forse più pericoloso" (p. 38).
Il Rapporto Delors, tuttavia, é incentrato sul principale cambiamento avvenuto rispetto al 1972, consistente nell’esistenza di "una scena mondiale in cui, si voglia o no, il destino di ciascun uomo trova il suo compimento. L’interdipendenza economica, scientifica, culturale, e politica a livello planetario, imposta sotto la pressione delle teorie del libero scambio, dall’apertura delle frontiere economiche e finanziarie, rafforzata dalla frantumazione dell’impero sovietico, con uno strumento rappresentato dalle nuove tecnologie dell’informazione, sta diventando un dato sempre più sicuro" (p. 31). "Inizialmente osservato nell’attività economica e tecnologica, l’intreccio mondiale di decisioni e azioni, pubbliche e private, sta lentamente ma sicuramente guadagnando terreno in altri campi dell’attività umana" (p. 35). "Il flusso d’immagini e di parole su scala mondiale, che prefigura il mondo di domani [...] ha trasformato non solo le relazioni internazionali, ma anche la comprensione del mondo da parte degli individui" divenendo "uno dei più importanti accelleratori della globalizzazione" (p. 35). In questo scenario "la Commissione ha fatto del suo meglio per proiettare il suo pensiero su un futuro dominato dalla globalizzazione, per scegliere quei problemi che vengono sollevati da tutti e per proporre alcune linee direttive che possano essere applicate sia in contesti nazionali che su scala mondiale" [21].
2. I contenuti del Rapporto Delors
2.1 Cambiare gli obiettivi dell’educazione...
"Fin dall’inizio dei suoi lavori, la Commissione ha compreso che per far fronte alle sfide del prossimo secolo é necessario cambiare gli obiettivi dell’educazione e le attese che si nutrono nei suoi confronti" (p. 80). Le caratteristiche di questo cambiamento non sembrano riferirsi ai fini dell’educazione previsti dal diritto naturale, sintetizzati nella definizione tomista come consistenti nella "conduzione e promozione (della prole) allo stato perfetto di uomo in quanto uomo, che é lo stato della virtù" [22], dato che il rovesciamento di quei fini é stato teorizzato - almeno dalla pedagogia progressista di John Dewey o dalla implicazioni pedagogiche del marxismo -, col dare priorità all’aspetto sociale su quello personale [23]. L’antropologia soggiacente al Rapporto Delors, in continuità con quel rovesciamento, ritiene che "La coesione di ogni società umana trova espressione in attività e obiettivi comuni [...] In tutto il mondo, uno degli obiettivi dell’educazione, nelle sue molteplici forme, é di creare legami sociali tra individui sulla base di punti comuni di riferimento. I mezzi usati sono diversi, come lo sono le culture e le circostanze, ma in ogni caso il fine centrale dell’educazione é la realizzazione dell’individuo come essere sociale" (p. 45); "il sistema educativo ha quindi il compito esplicito ed implicito di preparare ciascun individuo a questo ruolo sociale" (p. 53).
Sebbene anche la concezione pedagogica reveniente dal diritto naturale riconosca una finalità sociale alla persona, questa non viene mai anteposta al fine individuale della persona [24], come ben sintetizza la seguente definizione di Giovanni Paolo II: "Educare significa promuovere la formazione della persona umana in vista sia del suo fine ultimo che del bene delle varie comunità, di cui essa é partecipe ed in cui, divenuta adulta, dovrà svolgere precisi compiti" [25]. Per la pedagogia dell’UNESCO, invece, le priorità vanno invertite: "Lo scopo dei sistemi educativi é quello di formare gli individui al ruolo di cittadini, di provvedere alla trasmissione delle conoscenze e della cultura da una generazione all’altra, e di sviluppare i talenti individuali. I sistemi educativi debbono anche fornire le abilità di cui le economie avranno bisogno nel futuro" [26].
Questa impostazione trascura - come invece insegna Giovanni Paolo II - che "un'autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana. Essa esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone mediante l'educazione e la formazione ai veri ideali, sia della "soggettività" della società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità" [27], rischiando così di trovarsi di fronte a una "democrazia senza valori [che] si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo" [28]. Ciononostante, i membri della Commissione dichiarano di dover "essere guidati dall’obiettivo utopistico di dirigere il mondo verso una maggiore comprensione reciproca, un maggiore senso di responsabilità e una maggiore solidarietà, attraverso l’accettazione delle nostre differenze spirituali e culturali" (p. 43), tralasciando ogni riferimento alla verità o a valori intangibili quale è, ad esempio, la sacralità della vita umana, fondamento di ogni altro diritto. A proposito di quest’ultimo tema - con riferimento al paragrafo 69 del Progetto d’Azione adottato il 15 settembre 1995 a Pechino dalla Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne (p. 109) -, la Commissione propone tra i motivi giustificanti l’opera di alfabetizzazione un intervento formativo motivato nel seguente modo: "una correlazione molto chiara é stata stabilita tra il livello scolastico delle donne e il miglioramento generale nella salute e nell’alimentazione della popolazione, oltre che nella diminuzione dei tassi di fertilità" (p. 67).
Dunque, nel sostanziale relativismo etico che caratterizza il Rapporto, contano solo "l’educazione alla tolleranza e al rispetto degli altri, condizione necessaria per la democrazia [che], deve essere considerata un impegno generale e continuo" (p. 50); é un impegno il quale "deve promuovere il pluralismo culturale in tutto il corso della vita di una persona" (p. 52), perché "i valori in generale [...] non possono essere oggetto d’insegnamento nel senso stretto del termine: il voler imporre dall’esterno valori precostituiti significa in ultima analisi negarli" (p. 50).
2.2 ...per superare le attuali difficoltà
Con l’inversione dell’ordine stabilito dalla natura negli obiettivi dell’educazione, si é inevitabilmente prodotto un disagio diffuso: "gli uomini del nostro tempo si sentono disorientati, divisi tra un’esigenza di globalizzazione, le cui visibili manifestazioni essi sono costretti talvolta a subire, e la ricerca delle proprie radici, di punti di riferimento e di un senso di appartenenza" (29). Tuttavia, anche l’attenzione a tale disorientamento non pare solo frutto della compassione per le sue conseguenze sulla persona: "alcuni paesi che non hanno mezzi per partecipare alla competizione tecnologica internazionale potranno diventare sacche di povertà, di disperazione o di violenza che non potranno essere di certo eliminate né con l’assistenza né con l’azione umanitaria. Anche all’interno dei paesi sviluppati, interi gruppi sociali rischiano di rimanere esclusi dal processo di socializzazione" (p. 65). Per giunta, "il pericolo maggiore é che si apra un abisso tra una minoranza di individui capaci di trovare con successo la loro strada in questo nuovo mondo che si sta creando e la maggioranza che ha la sensazione di trovarsi in balia degli eventi e di non avere voce in capitolo nel futuro della società, insieme ai rischi di un regresso della democrazia e del diffondersi della rivolta" (p. 43) [30].
E’, ancora una volta, la necessità di salvaguardare un predeterminato modello politico, che determina il fine dell’educazione: "l’ideale democratico ha bisogno, per così dire, di essere reinventato o almeno rivitalizzato. Esso deve rimanere in ogni caso al vertice della nostra lista delle priorità, poiché non vi é altro sistema di organizzazione per l’insieme politico o per la società civile che possa pretendere di sostituirsi alla democrazia e condurre nello stesso tempo un’azione congiunta in favore della libertà, della pace, di un autentico pluralismo e della giustizia sociale. La consapevolezza delle difficoltà esistenti non deve essere in alcun modo causa di scoraggiamento né un pretesto per allontanarsi dalla strada che conduce alla democrazia. Si tratta di un processo di creazione continua che richiede un contributo da tutti. Questo contributo sarà tanto più prezioso se l’educazione avrà alimentato, in ciascuno, sia l’ideale che la pratica della democrazia" (p. 47) [31].
Perciò, dato che "la socializzazione degli individui non deve essere in conflitto con lo sviluppo personale" (p. 58), sembra sia questo il solo motivo per cui "é necessario, quindi, tendere a un sistema che cerchi di coniugare i pregi dell’integrazione con il rispetto dei diritti individuali" (p. 58). Così, per porre rimedio alle difficoltà prima enunciate, non basta "accontentarsi di radunare individui e di farli aderire a valori comuni plasmati nel passato", ma occorre "rispondere a domande come per che cosa e perché viviamo assieme, e fornire a ciascuno, per tutta la vita, la capacità di svolgere un ruolo attivo nel progettare il futuro della società" (p. 52).
Se l’enunciato "cambiamento degli obiettivi dell’educazione" non va nella direzione del ritorno a una concezione basata sul diritto naturale, ogni riferimento alla rivalutazione del ruolo della persona non potrà che essere strumentale al superamento delle difficoltà che il processo di secolarizzazione incontra sul suo cammino [32]: "l’educazione serve come veicolo di culture e di valori, crea un ambiente dove la socializzazione possa aver luogo [...] Il suo fine più alto sarà quello di fornire a ciascuno i mezzi per svolgere un ruolo cosciente e attivo come cittadino" (p. 45). "L’educazione, addirittura, arriva a confondersi con la stessa democrazia" (p. 54).
2.3 ...e salvaguardare il consenso al cambiamento,
Purtroppo, "l’esperienza mostra che un consenso nella società é essenziale per ogni processo di riforma, ma che raramente esso si ottiene spontaneamente" (p. 152). Occorre perciò uno "sforzo di adattarsi continuamente ai cambiamenti che si verificano nella società" [33] nella "speranza che l’educazione formale [...] possa svolgere un ruolo maggiore nell’aiutare i giovani a sviluppare le qualità di carattere che consentano loro di prevedere i cambiamenti più importanti e di adattarvisi" (p. 118).
E’ da sottolineare che i motivi di ordine economico non sono il motivo principale dell’auspicato cambiamento: se "lo sviluppo dei servizi [...] rende di fondamentale importanza coltivare le qualità umane che non sono necessariamente inculcate dalla formazione tradizionale [...] Si può immaginare che, nelle organizzazioni ad alta tecnologia del futuro, le difficoltà relazionali potrebbero creare serie disfunzioni, con la sollecitazione di nuovi tipi di abilità, più comportamentali che intellettuali" (p. 84); nonostante quanto detto, "non é più possibile aspettarci, quindi, che i sistemi educativi formino una forza lavoro per impieghi industriali stabili: debbono invece formare gli individui in modo tale che siano innovativi, capaci di evolversi e di adattarsi ad un mondo in rapida trasformazione e di assimilarne i cambiamenti" (p. 63).
Il venir meno della finalità produttiva nell’educazione é, nuovamente, motivato con ragioni di salvaguardia della coesione sociale: "la crescita economica da sola non é sufficiente a garantire lo sviluppo umano. Essa é stata criticata su due fronti, per così dire, non solo per la sua natura non egualitaria, ma anche per gli alti costi che richiede, particolarmente in termini d’ambiente e d’impiego [...] Il problema non é tanto l’esclusione di gruppi di individui scarsamente qualificati dall’impiego, o addirittura dalla società, quanto invece l’evoluzione che potrebbe cambiare il posto, anzi la stessa natura, del lavoro nelle società di domani [...], tenute insieme dal valore integrativo del lavoro" (p. 69-70).
Infine, il fatto che nel Rapporto non venga mai enunciata la direzione dei cambiamenti in atto, ma venga invece ribadito che "i giovani debbono sviluppare la creatività e l’empatia necessarie per diventare cittadini attivamente partecipi e creativi del domani" (p. 119), fa temere che il cambiamento venga giudicato positivamente solo se favorisce la "democrazia senza valori" cui si accennava sopra, o, peggio, venga considerato un valore in se stesso. In quest’ultimo senso va il contributo prof. Zhou Nanzhao - membro della Commissione, Vicepresidente e professore presso l’Istituto Nazionale Cinese di Studi Pedagogici -, secondo il quale, tra i "valori universali che l’educazione deve coltivare per promuovere un’etica mondiale", lo "spirito aperto al cambiamento [é] l’unica cosa destinata a non cambiare, [con] la volontà non solo di accettare il cambiamento, ma di agire perché il cambiamento abbia un senso positivo" [34].
Il dubbio di trovarsi di fronte a una prospettiva che il Regnante Pontefice ritiene essere "attivamente promossa da forti correnti culturali, economiche e politiche, portatrici di una concezione efficientistica della società " [35], utile a orientare il cambiamento a favore di una sorta di "socialismo tecnocratico" [36] propugnato dalle stesse correnti, non pare dunque infondato.
2.4 ...attraverso una "educazione per tutta la vita"
Lo strumento scelto per superare le attuali difficoltà del processo di secolarizzazione e salvaguardare il consenso al processo di cambiamento, é "il concetto di apprendimento per tutta la vita [che] appare, così, come una delle chiavi d’ingresso nel XXI secolo" [37], e viene così definito: "L’educazione nel corso della vita é un processo continuo attraverso il quale ciascun essere umano aumenta e adatta le proprie conoscenze e abilità, le proprie facoltà di giudizio e le proprie capacità d’azione. Essa deve consentire all’individuo di diventare consapevole di se stesso e del proprio ambiente, e di svolgere un ruolo sociale nel lavoro e nella comunità in genere" (p. 94).
La "educazione per tutta la vita" ha avuto come antesignana - oltre alla "educazione permanente" - la "educazione degli adulti", tuttora praticata in modo non formale, cioè al di fuori dei normali orari scolastici: "l’obiettivo dell’educazione popolare (non formale) degli adulti in Svezia é quello di sviluppare i valori democratici di base nella società fornendo a tutti i cittadini l’opportunità di sviluppare le loro conoscenze e abilità, di rafforzare la loro autostima e d’incrementare la comprensione e il rispetto per le opinioni degli altri" [38], costituendo "anche un’eccellente opportunità per affrontare i problemi dell’ambiente e della salute, l’educazione demografica e l’educazione per comprendere valori e culture differenti" (p. 114).
Ai nostri giorni, nondimeno, "un’educazione permanente che sia realmente all’altezza delle esigenze delle società moderne non può più essere definita in rapporto ad un tempo particolare della vita (l’educazione degli adulti rispetto all’educazione dei giovani, per esempio) o per uno specifico scopo (l’educazione professionale rispetto all’educazione generale). Il tempo d’apprendimento é ora l’intero corso della vita" (p. 91). La Commissione appare orientata a un uso dell’educazione come strumento per rafforzare la democrazia secolarizzata, in modo da non perdere il consenso di nessuno dei suoi cittadini: "se deve esserci una relazione sinergica tra l’educazione e la pratica della democrazia partecipativa, non solo tutti devono imparare ad esercitare i propri diritti e a compiere i propri doveri, ma si deve far uso di un’educazione permanente capace di costruire una società civile attiva [...] Così, l’educazione di ogni cittadino deve continuare per tutta la sua vita e diventare parte della struttura fondamentale di una società civile e di una democrazia viva" (p. 54), evitando i pericoli in cui sono incorse alcune "società [che] sono in crisi come conseguenza del loro fallimento nel trovare un nuovo modo di strutturare il tempo della gente" (p. 70).
Anche le esigenze economiche e produttive del futuro "villaggio globale" verrebbero soddisfatte da "questo continuum educativo, che si estende per tutta la durata della vita e abbraccia tutte le dimensioni della società [:] l’educazione per tutta la vita sarà essenziale per un adattamento alle mutevoli esigenze del mercato del lavoro e per una migliore padronanza delle strutture e dei ritmi mutevoli del tempo di ciascuna esistenza umana [...] L’educazione per tutta la vita può diventare per ciascuno di noi, allora, il mezzo per arrivare a un migliore equilibrio tra apprendimento e lavoro, come anche ad un esercizio attivo dei diritti e doveri del cittadino" (p. 92).
Dunque, riallacciandosi al Rapporto Faure e a tutta la pedagogia secolarizzata, "bisogna ripensare ed ampliare il concetto di educazione permanente. Essa non solo deve adattarsi a cambiamenti nel tipo di lavoro, ma deve anche costituire un processo continuo di formazione dell’intero essere umano: delle sue conoscenze e attitudini, come anche delle sue facoltà e abilità critiche di agire. E dovrebbe consentire all’individuo umano di sviluppare la coscienza di se stesso e del suo ambiente, e incoraggiarlo a svolgere il ruolo sociale nel lavoro e nella comunità" [39]; solo "l’educazione per tutta la vita permette di dare un orientamento a questa dimensione sociale dell’educazione" (p. 168).
2.5 ...che superi gli ostacoli al cambiamento,
Tuttavia, nell’opera di preparazione del "villaggio globale", vi sono alcuni aspetti problematici, capaci di minare o quantomeno rallentare il progetto di costruzione del "villaggio globale" al quale ‘ secondo gli autori del Rapporto - ogni uomo dovrebbe partecipare.
2.5.1 L’eterno ritorno delle diseguaglianze
;Il primo ostacolo é costituito dalla natura umana, che - nonostante lo sforzo utopistico [40] teso al livellamento di ogni uomo, nazione e società - rifiuta di piegarsi alla volontà di eliminare le diseguaglianze: "si può quindi affermare che, in termini economici e sociali, il progresso ha portato con sé la disillusione. Ciò [...] viene messo in risalto dal permanere delle diseguaglianze nello sviluppo in tutto il mondo" [41]. Le diseguaglianze di costituzione, di attitudine e di potenzialità, acquistano particolare gravità vanificando il valore dell’insegnamento pianificato, fornendo delle "opportunità ad individui che hanno scarse qualificazioni formali o non ne hanno alcuna. L’intuizione, la sensibilità, il giudizio e la capacità di tenere insieme un gruppo non sono necessariamente abilità peculiari di coloro che hanno i diplomi più alti. Come e dove debbono essere insegnate queste qualità, che in varia misura sono innate? Non é facile immaginare i contenuti di corsi di formazione che producano le necessarie abilità e attitudini" (p. 84).
Anche l’innovazione tecnologica e la diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione sono di ostacolo per l’egualitarismo poiché "sembra che il pericolo maggiore delle nuove tecnologie sia nel formarsi di fratture e squilibri [...] In effetti, le maggiori fratture si verificheranno probabilmente all’interno di determinate società, tra coloro che possono usare i nuovi strumenti e coloro che non hanno alcuna possibilità di usarli" (p. 56). Così, l’utopia egualitaria porta addirittura la Commissione a ricercare le modalità con cui "evitare l’odioso dilemma tra la selezione sul criterio dell’abilità" [42], per cui "tutte le scelte, in ogni caso, debbono essere basate sul principio della eguaglianza delle opportunità" (p. 57). Ne deriva che, nei confronti delle nuove tecnologie - le quali "avranno un importante ruolo da svolgere nell’educazione degli adulti, un ruolo differente in ciascun paese e in linea con l’educazione per tutta la vita" (p. 164) -, "l’UNESCO dovrebbe svolgere un ruolo determinante come centro di scambio (clearing-house) d’informazioni nel campo del software educativo. La sua azione in questo campo dovrebbe essere orientata in due particolari direzioni: la concessione di un’etichetta di qualità per il software educativo e l’incoraggiamento della produzione di un software educativo che rispetti la diversità culturale" (p. 176).
Del resto, la pedagogia secolarizzata, muovendo dal "dogma" del rifiuto della diseguaglianze naturali presenti nella persona, ritiene evidentemente pregiudizievole quella che Vallet de Goytisolo descrive come "universalità, ma pluralità di insegnamento. A ciascuno quella che faciliti la miglior formazione più adatta al suo ambiente geografico, storico e sociale, e alle sue possibilità; quella che meglio lo formi per il suo incarico professionale, per realizzare la sua funzione, per esercitare il suo impiego, per rendersi conto della sua situazione in questo mondo, un passo - che si deve cercare di rendere fruttifero - dopo l’altro" [43]; la volontà di impartire a tutti lo stesso genere di insegnamento ingenera, pertanto, il sospetto che vi sia la volontà di trasformare la persona - come ammonisce Pio XII - in un "facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gl’istinti o le impressioni, pronta a seguire, a volta a volta, oggi questa, domani quell’altra bandiera" [44].
2.5.2 la famiglia
;Un secondo problema ‘ sempre secondo gli autori del Rapporto - é dato dalla famiglia, visto che "ogni educazione ha inizio in casa, e la famiglia fornisce così il legame tra la vita emotiva e quella intellettiva, trasmettendo valori e modelli" (p. 97). Purtroppo, specialmente quando l’insegnamento ha finalità non chiare, "il suo rapporto con il sistema educativo viene percepito spesso come antagonistico" (p. 97), quasi certamente a causa della naturale inclinazione a volersi direttamente occupare della felicità dei propri figli e del comune sentire la famiglia come primordiale ed insostituibile comunità educativa.
La soluzione proposta dalla Commissione sembra consistere nel subordinare la responsabilità ed il ruolo educativo della famiglia [45] a quello della scuola: "un vero dialogo tra genitori e insegnanti é quindi essenziale, perché lo sviluppo armonioso dei bambini dipende dal fatto che l’educazione impartita a scuola sia sostenuta da quella ricevuta in famiglia" (p. 98), ventilando la facoltatività del loro compito col "far sentire il proprio parere sulla vita scolastica dei loro figli" (p. 49), o, addirittura, l’esclusione dalla missione educativa dei genitori, che "possono essere coinvolti nel processo educativo" (p. 140). Identica impostazione é adottata nei dei confronti corpi intermedi tra l’individuo e lo Stato, cioè le "altre organizzazioni educative e le associazioni volontarie [che] debbono subentrare dove le scuole finiscono di svolgere i propri compiti" (p. 87).
Quindi, non si deve incorrere nell’opposizione delle famiglie che, anzi, devono essere costantemente coinvolte: "l’apprendimento della democrazia nella scuola può essere rafforzato da pratiche già sperimentate, come la formulazione di statuti per la comunità scolastica, l’istituzione di parlamenti degli alunni, giochi di simulazione del funzionamento delle istituzioni democratiche, giornali scolastici ed esercizi di soluzione non violenta dei conflitti. Poiché l’educazione ai diritti/doveri di cittadini e alla democrazia é per eccellenza un’educazione da non restringersi negli spazi e nei tempi dell’educazione formale, é importante coinvolgere direttamente anche le famiglie e gli altri membri della comunità" (p. 53). E, al fine di smussare le eventuali perplessità delle famiglie, anche i corpi intermedi devono intervenire: "il successo della scuola dipende in larga misura dal valore che le comunità attribuiscono all’educazione [...] Dove si registra una certa riluttanza dei genitori ad inviare i loro figli a scuola, il coinvolgimento della comunità locale [...] può portare la comunità ad assumersi una maggiore responsabilità per il suo benessere e il suo sviluppo" (p. 115).
2.5.3 la religione
;Altro ostacolo é costituito dalle religioni, per le quali - secondo quanto denunciato da Giovanni Paolo II -, "oggi si tende ad affermare che l'agnosticismo ed il relativismo scettico sono la filosofia e l'atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti son convinti di conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l'azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere" [46].
Nel Rapporto, le religioni che ritengono di possedere la verità sembrano implicitamente portatrici di "conflitti etnici e religiosi" (p. 157). In questo senso si pronuncia Karan Singh - membro della Commissione, Diplomatico e più volte ministro inter alia per l’educazione e la sanità dell’India, nonchè presidente di un’importante organizzazione internazionale interconfessionale, il "Tempio della Comprensione"-, secondo il quale "non c’è tempo da perdere, perché, parallelamente all’emergere di questa società planetaria, continuano la loro opera le forze sinistre del fondamentalismo e del fanatismo [...] dobbiamo quindi essere i pionieri di una filosofia olistica dell’educazione per il ventunesimo secolo fondata sulle seguenti premesse: [...] che le differenze di razza e di religione, di nazionalità e d’ideologia, di sesso e di preferenza sessuale, di condizione economica e sociale, per quanto significative in se stesse, debbono essere considerate in un contesto più ampio di unità globale [...] che le grandi religioni del mondo non debbano più combattersi reciprocamente per la supremazia, ma collaborare per il benessere della razza umana, e che attraverso un continuo e creativo dialogo interreligioso deve essere rafforzato il filo d’oro dell’ideale spirituale che le tiene unite, e non l’atteggiamento dogmatico ed esclusivista che le divide" [47].
Tale genere di presunto "fanatismo" potrà essere superato "insegnando ai giovani ad adottare il punto di vista di altri gruppi etnici o religiosi, si può evitare quella mancanza di comprensione che porta all’odio e alla violenza tra adulti. L’insegnamento della storia delle religioni e dei costumi può [invece] servire, così come un utile punto di riferimento per il comportamento futuro [...] Il confronto con gli altri attraverso il dialogo e il dibattito é uno degli strumenti necessari per l’educazione del ventunesimo secolo" (p. 86).
Dunque, occorre subordinare anche le religioni all’opera delle istituzioni scolastiche: "deve essere compito della scuola spiegare ai giovani i contesti storici, culturali e religiosi delle varie ideologie che si contendono la loro attenzione nella società [...] tale compito di spiegazione [...] é delicato, perché deve evitare di offendere particolari sensibilità e introdurre nella scuola la politica e la religione, che generalmente ne sono bandite. Gli adolescenti sono aiutati così a costruire liberamente il loro sistema di pensiero e di valori nella piena conoscenza dei fatti, senza cedere ciecamente alle influenze dominanti, e acquisendo in tal modo una maggiore maturità e apertura mentale. In tal modo, si possono gettare le basi della futura armonia e della pace, incoraggiando il dialogo democratico" (p. 51).
2.5.4 gli insegnanti
;Una particolare attenzione é rivolta al personale docente - preoccupazione costante nell’attività dell’UNESCO -, poiché "nessuna riforma ha avuto successo contro gli insegnanti o senza la loro partecipazione" (p. 136) e, dunque, "ci si aspetta dagli insegnanti che [...] aiutino a capire tutta una serie di questioni sociali, dalla promozione della tolleranza al controllo delle nascite, ma che riescano anche dove generalmente falliscono i genitori e le autorità religiose o secolari" (p. 135).
A differenza dell’importante missione prevista dal diritto naturale e consistente nel trasmettere alle nuove generazioni - su delega della famiglia - i valori perenni che danno senso alla vita e sui quali costruire la nuova società, "in una società dell’informazione gli insegnanti non possono più essere considerati come i soli depositari di un sapere che essi debbono soltanto trasmettere alle generazioni più giovani; essi diventano per così dire dei partner in un fondo collettivo di conoscenze che spetta loro organizzare, ponendosi fermamente all’avanguardia del cambiamento" (p. 167).
Perciò, il Rapporto prevede un uso strumentale anche del personale docente: "Le nuove sfide di fronte alle quali si trova l’educazione (contribuire allo sviluppo, aiutare a comprendere il fenomeno della globalizzazione e in una certa misura venire a patti con esso, incoraggiare la coesione sociale) debbono essere affrontate fin dall’educazione primaria e secondaria. Gli insegnanti svolgono un ruolo determinante [nel] creare le condizioni necessarie per il successo dell’educazione formale e dell’educazione permanente. L’importanza del ruolo dell’insegnante in quanto promotore del cambiamento, della comprensione e della tolleranza reciproca, non é mai stata così evidente come oggi [...] La necessità di cambiare, di passare da forme grette di nazionalismo all’universalismo, dal pregiudizio etnico e culturale alla tolleranza, alla comprensione e al pluralismo, dall’autocrazia alla democrazia nelle sue varie manifestazioni [...] assegna enormi responsabilità agli insegnanti, che contribuiscono a forgiare i caratteri e gli spiriti delle nuove generazioni" (p. 133).
Forse a causa di ripetute difficoltà a convincere i docenti che la loro missione educativa consiste nell’essere le "avanguardie del cambiamento", "la Commissione ritiene pertanto necessario ripensare l’educazione degli insegnanti" (p. 137) [48].
2.5.5 le caratteristiche degli studi.
Un ultimo problema é costituito dalla stabilità dei programmi e dalla naturale impostazione di un ordinamento degli studi, che solitamente sono a servizio di un sapere e di valori da trasmettere.
Al contrario, nel futuro "villaggio globale", "i sistemi scolastici [...] debbono rispondere come abbiamo visto, a un’esigenza di sviluppo economico e sociale" (p. 147), sicché "il rinnovamento dei programmi é un processo continuo" (p. 141) che non esclude neppure le università, le quali "debbono continuare ad essere in una posizione tale da far fronte a tali esigenze e adattare costantemente corsi specializzati di studio ai bisogni della società" (p. 125).
Se lo scopo é di "aiutare ciascuno a diventare, in qualche misura, un cittadino del mondo, turbolento e mutevole, che sta per nascere proprio davanti ai nostri occhi [allora] questo non richiede una nuova materia da aggiungersi ai già affollati curricoli, ma la riorganizzazione delle materie esistenti attorno a una visione globale dei legami che uniscono uomini e donne al loro ambiente, coinvolgendo le scienze sia naturali che sociali. Questo tipo di formazione potrebbe offrirsi anche a tutti i cittadini, come parte dell’educazione permanente" (p. 41) [49].
Quanto alla eventuale difficoltà di coordinamento tra le attività curricolari e quelle svolte dalla "società educante", "L’idea di un’educazione per tutta la vita non ha condotto la Commissione a trascurare l’importanza dell’educazione formale di fronte a quella non formale o informale. Al contrario, essa ritiene che proprio all’interno dei sistemi scolastici si acquisiscano le abilità e le attitudini di cui gli individui avranno bisogno per proseguire la propria educazione. I ruoli dell’educazione formale e di quella informale, lungi dall’essere in contrapposizione, sono tali da fecondarsi reciprocamente. A tale scopo, tuttavia, i sistemi scolastici hanno bisogno di adattarsi a queste nuove esigenze: per conseguenza é necessario riconsiderare la successione, la connessione e la classificazione dei vari corsi scolastici, fornire la possibilità di passare da un corso all’altro e offrire una varietà di percorsi attraverso il sistema" (p. 107) [50].
Di conseguenza, "la Commissione ritiene che sia indispensabile procedere [...] a un riesame in profondità delle procedure di certificazione [per] fare in modo che le abilità acquisite, specialmente quelle acquisite nel corso di attività lavorative dei giovani, vengano riconosciute non solo sul luogo di lavoro, ma anche all’interno del sistema educativo formale, comprese le università" (p. 129-130).
Una delle modalità con cui preparare la mentalità utile al "villaggio globale", é individuata in quella che già il Rapporto Faure aveva denominato la "tecnica dei gruppi": "quando si lavora insieme su progetti gratificanti che fanno uscire dall’abituale routine, le differenze, e persino i conflitti tra individui tendono a passare in secondo piano e talvolta a scomparire. Da questi progetti deriva una nuova identità" (p. 86) [51].
In quest’ottica, il Rapporto va oltre al naturale concetto di educazione alla socialità – che è sempre stata naturalmente acquisita nella comunità di appartenenza -, legittimando il sospetto di un uso strumentale anche del lavoro di gruppo col fare riferimento "al processo di socializzazione che i centri e i corsi d’istruzione prescolare consentono d’iniziare" (p. 113).
Il timore di una modifica strumentale dell’ordinamento degli studi, trova un’ultima conferma nella finalità proposta per l’insegnamento di materie che più si prestano a formare le coscienze: "Inutile dire che anche la storia e la filosofia dovrebbero occupare un posto importante nel creare la prospettiva critica che è indispensabile per il funzionamento della democrazia" (p. 52).
2.6 ...servendosi del potere dello Stato
"Il concetto di educazione per tutta la vita conduce direttamente a quello di società educante" (p. 145), ossia all’azione di lungo periodo in cui ogni iniziativa della società si svolge in favore della coesione sociale; "é tuttavia impossibile per l’educazione fare tutto [...] si debbono fare delle scelte [...] Le strategie adottate, tuttavia, debbono essere coerenti, sia nelle strutture temporali che nel contesto sociale, con le scelte effettuate [per questo] é compito dell’autorità politica [...] assicurare sia la stabilità del sistema che la sua capacità di riformarsi, garantendo la coerenza dell’insieme pur stabilendo delle priorità" (p. 147). Sono questi i motivi per cui "lo stato deve assumersi certe responsabilità nei confronti dei suoi cittadini, compresa la creazione di un consenso nazionale sull’educazione" (p. 152).
Per ottenere tale consenso occorre prevedere che "le istituzioni che formano il sistema educativo debbono da parte loro essere effettivamente preparate ad adattarsi alle realtà locali e ad adottare un atteggiamento aperto verso il cambiamento" (p. 150); un modo con cui ottenere quel risultato consiste nel "coinvolgere i protagonisti nelle decisioni da prendere. Proprio in questo contesto la Commissione sottolinea l’importanza delle misure di decentramento in campo educativo" (p. 150) [52].
Tuttavia, nel mettere in pratica le misure di decentramento, occorre fare attenzione perché esse "possono far parte di un processo democratico o, egualmente bene, di processi autoritari che conducono all’esclusione sociale" (p. 151), ovvero a una ripresa dell’identità delle singole persone o gruppi, ai quali pare alludere il seguente passaggio: "con il decentramento delle responsabilità decisionali, il potere può finire nelle mani di dirigenti locali che non rappresentano la comunità nel suo insieme; può diventare difficile mantenere certi livelli e imporre un controllo della qualità" (p. 117).
Nel Rapporto, perciò, si propone il giudizio di Juan Carlos Tedesco - contenuto in un testo pubblicato dall’UNESCO nel 1993 e titolato Currents Trends in Educational Reform - che quasi avverte: "l’esperienza internazionale mostra che gli esempi di decentramento coronati da successo sono quelli nei quali l’amministrazione centrale é forte" (p. 151), e ne deduce "la necessità di una regolamentazione globale e di una chiara definizione del ruolo delle autorità pubbliche in questa regolamentazione" (p. 151), nonché "del ruolo dello stato, in quanto rappresentante dell’intera comunità, in una società pluralistica e basata sulla partnership, dove l’educazione é un problema da affrontare per tutta la vita" (p. 152) [53].
Un’attenzione particolare viene pertanto rivolta alla "qualità dell’educazione [che], implica la creazione di modelli generali e di vari strumenti di controllo [...] L’importanza capitale dei poteri politici é, in tale prospettiva, evidente: tutte le parti coinvolte nell’educazione debbono orientarsi verso obiettivi individuati di comune accordo, in un contesto di valori comuni" (pp. 152-153), il che comporta "un sistema di valutazione e di controllo che aiuti a diagnosticare le difficoltà e a superarle, usando anche l’ispezione come mezzo per riconoscere un buon insegnamento e incoraggiarlo" (p. 144) [54].
Infatti, secondo la Commissione, "ogni pratica di valutazione é in se stessa istruttiva [...] Essa può diffondere la capacità d’innovazione facendo conoscere le iniziative coronate da successo e spiegando il contesto della loro realizzazione. A livello più profondo, i suoi risultati conducono a un riesame delle priorità e della compatibilità tra scelte e risorse" (p. 149), vale a dire dell’erogazione o meno di finanziamenti che, a causa del citato decentramento, comportano la morte dell’ente educativo.
In tema di finanziamenti delle istituzioni educative non statali, "la Commissione ritiene che il finanziamento privato non deve essere usato come un ripiego provvisorio; una tale pratica può tradursi in sprechi, incoerenze e disuguaglianze. E’ responsabilità dello Stato organizzare forme di partnership finanziaria" (p. 160), che in questo modo precludono la possibilità di sussistenza delle istituzioni con un progetto educativo indifferente od ostile alla "globalizzazione".
Non é inutile ribadire che, violando il diritto naturale - secondo cui lo Stato non deve avere una sua propria proposta educativa [55] -, "la democrazia, ad onta delle sue regole, cammina sulla strada di un sostanziale totalitarismo. Lo Stato non è più la "casa comune" dove tutti possono vivere secondo principi di uguaglianza sostanziale, ma si trasforma in Stato tiranno, che presume di poter disporre della vita dei più deboli e indifesi [...], in nome di una utilità pubblica che non è altro, in realtà, che l'interesse di alcuni" [56], come il Regnante Pontefice insegna.
2.7 ...e di quello della Comunita’ Internazionale
Nell’ultima parte del Rapporto, intitolata "la collaborazione internazionale: educare il villaggio globale", si afferma che "la globalizzazione, ormai irreversibile, esige risposte globali: la costruzione di un mondo migliore, o meno cattivo, é diventata più che mai una faccenda che interessa tutti" (p. 171): l’UNESCO, nel ruolo di nuova "autorità morale" (p. 182), deve con ciò "aiutare gli stati membri a costruire e riformare i loro sistemi educativi" (p. 181) tenendo presente che le diverse scelte "varieranno da paese a paese, anche se alcuni dei principi sui quali si fondano sono gli stessi" (p. 147).
L’azione dell’UNESCO nei confronti degli Stati membri, avvalendosi anche di altri enti internazionali e degli organismi dell’ONU [57], deriva dalla "crescente tendenza, nelle sfere politiche ed economiche, a ricorrere ad un’azione internazionale per trovare soluzioni soddisfacenti a problemi che hanno una dimensione globale, se non altro a causa della crescente interdipendenza cui spesso si é dato così grande risalto" (p. 27).
L’attività dell’UNESCO é sino ad oggi consistita in incontri tra specialisti e nella circolazione di idee e informazioni sulle realizzazioni ed esperienze educative, nell’organizzazione di Conferenze dei responsabili dell’educazione degli Stati membri, nell’adozione di Convenzioni e Raccomandazioni - da ricordare quelle contro la discriminazione nell’istruzione e l’eguaglianza di opportunità del 1962 e sull’educazione degli adulti nel 1976 -, ed infine, nell’aiuto alle nazioni nella realizzazione concreta degli obiettivi proposti. Tale aiuto, ad esempio, nei paesi del Terzo Mondo ha contribuito alla formazione o aggiornamento di 300.000 maestri, 31.000 insegnanti di scuola secondaria e 10.000 insegnanti tecnici e professionali tra il 1960 ed il 1974 [58].
Nella stessa modalità opera l’Unione Europea che, attraverso la European Commission and Education Information Network in the European Community, ha varato ad esempio il progetto ERASMUS, "organizzato attorno a due forme principali d’iniziative: concessione di aiuti finanziari alle università per attività di dimensione europea; incoraggiamento della mobilità degli studenti e concessione di borse di studio a questo scopo" (p. 179).
E’ da segnalare infine che anche negli accordi di Maastricht del 7 febbraio 1992, le iniziative in tema di politica educativa per gli Stati membri - previste agli articoli 126 comma 3 e 128 comma 3 - devono concordare con le "organizzazioni internazionali competenti in materia di istruzione, in particolare con il Consiglio d’Europa" [59].
In vista della mondializzazione, da ultimo, occorre aumentare ed intensificare le attività e, pertanto, i finanziamenti. Così, nel "dare risalto all’importanza del Vertice Mondiale per lo Sviluppo Sociale (World Summit for Social Development) tenutosi a Copenaghen nel marzo 1995" (p. 27), e considerato che "l’educazione occupa un posto preminente nelle direttive ivi adottate" (p. 27); "la Commissione ritiene che, tenuto conto del contributo specifico dato dall’educazione allo sviluppo sociale, si dovrebbe destinare ad essa una percentuale significativa degli aiuti programmati per lo sviluppo: in collegamento con l’azione delle organizzazioni internazionali, tale percentuale potrebbe essere fissata in un quarto degli aiuti totali, che a loro volta dovrebbero essere aumentati. Anche gli istituti finanziari internazionali, a cominciare dalla Banca Mondiale, dovrebbero accettare una simile tendenza verso l’educazione" (p. 174).
3. Per un’educazione nel XXI secolo
In tema di mondializzazione giova ricordare quanto il regnante pontefice Giovanni Paolo II ha detto il 2 giugno 1980 nella sede dell’UNESCO: "Vegliate con tutti i mezzi a vostra disposizione su questa sovranità fondamentale che ogni nazione possiede in virtù della propria cultura [...] Proteggetela! Non permettete che questa sovranità fondamentale diventi preda di qualche interesse politico o economico. Non permettete che essa diventi vittima di totalitarismi, imperialismi o egemonie" [60].
Il Santo Padre, peraltro, é recentemente tornato a parlare del tema in questi termini: "Il termine mondializzazione non mi soddisfa. C’é il mondo, la famiglia umana, la famiglia dei popoli: la famiglia é la realtà primaria ed é anteriore alle tecniche di comunicazione che consentono di dare una dimensione mondiale a una parte - ma soltanto a una parte - della vita economica e della cultura" [61], con questo indicando che "l’educazione é sempre l’emanazione della paternità e maternità. E così é legata alla famiglia, é legata a Dio Padre [...], primo Educatore di noi tutti" [62].
La famiglia é dunque il baluardo che permetterà di conservare la propria identità culturale e sociale, la principale associazione tra uomini in grado di impartire una educazione consistente "nella formazione dell'uomo tale e quale deve essere e deve comportarsi in questa vita terrena per conseguire il fine sublime per cui é stato creato" [63].
Quanto all’educazione per il XXI secolo proposta dall’UNESCO, con san Pio X bisogna sempre ricordare che "non si costruirà la città diversamente da come Dio l’ha costruita, non si edificherà la società, se la Chiesa non ne getta le basi e non ne dirige i lavori; no, la civiltà non é più da inventare, né la città nuova da costruire sulle nuvole. Essa é esistita, essa esiste; é la civiltà cristiana, é la città cattolica. Si tratta unicamente d’instaurarla e di restaurarla senza sosta sui suoi fondamenti naturali e divini contro gli attacchi sempre rinascenti della malsana utopia, della rivolta e dell’empietà: "omnia instaurare in Christo"" [64].
David Botti
21 agosto 1997
festa di san Pio X
NOTE
1) Nell’educazione un tesoro. Rapporto all’UNESCO della Commissione Internazionale sull’Educazione per il Ventunesimo Secolo, Armando, Roma 1997, Mandato della Commissione, p. 240. Tutte le citazioni contrassegnate dal solo numero di pagina sono prese da quest’opera. Tutte le sottolineature sono mie.
2) Ibidem.
3) Ibid., pp. 242-243.
4) La Comparative and International Education Society fu fondata a New York nel 1956. Pare non trascurabile che il prof. Lamberto Borghi, uno dei massimi esponenti italiani della pedagogia cosiddetta di "democrazia laica", sia stato vice presidente della Comparative Education Society in Europe (CESE) e presidente della sezione italiana con sede in Frascati presso il Centro Europeo d’Educazione (CEDE), cui é stato affidato il Servizio Nazionale di Valutazione di tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado.
5) Discepolo di seguaci di Giordano Bruno (1548-1600), vescovo e capo dei Fratelli Moravi - un movimento ereticale che alcuni fanno derivare direttamente dall’hussitismo -, Comenio vive al tempo in cui l’euforia per il pensiero rosacruciano si diffonde per tutto il mondo protestante. Uomo pio, agisce come un rivoluzionario di professione ante litteram: per tutta la vita scrive, insegna, viaggia per l’Europa, é presente a Londra alla fondazione della Royal society, svolge un’opera di organizzazione dell’insegnamento empiristico inglese e costituisce scuole e fondazioni attraverso cui diffonde il suo metodo e le sue tre idee cardine:
- si deve insegnare tutto a tutti (pansofia), attraverso un’istruzione formale, sovvenzionata anche dal principe, principio che prepara la presenza onnipervasiva dello Stato in campo educativo nonché la moderna tendenza egualitaria ad impartire a tutti lo stesso genere di istruzione a scapito della pluralità degli studi;
- metodo naturale: l’educatore deve limitarsi a stimolare dall’esterno l’apprendimento, possibilmente utilizzando i sensi, modo che pone le premesse della progressiva diminuzione dell’autorità del docente e del ridimensionamento degli studi umanistici;
- insegnamento ciclico: consistente nel graduare permanentemente gli studi, che prepara l’odierna "educazione permanente", incaricata della formazione dell’uomo da parte dello Stato in ogni momento della sua esistenza.
La sua opera verrà utilizzata come riferimento per oltre due secoli, agendo da un lato sull’empirismo inglese e, dall’altro, venendo largamente messa in pratica nelle scuole dei pietisti nei paesi protestanti, nella Francia degli ugonotti attraverso i calvinisti e, quindi, dei giansenisti. In riferimento al processo di secolarizzazione dell'Occidente, si può pertanto dire che per l'ambito pedagogico Comenio è l'equivalente di Lutero.
6) Fondato a Ginevra nel 1925, divenne un’organizzazione tra governi nel 1929. Tra i suoi fondatori furono Edouard Claparède (1873-1940) - fondatore nel 1912 a Ginevra dell’Istituto Jean-Jacques Rousseau, di cui il BIE fu in certo qual modo il continuatore -, Pierre Bovet (1878-1965) - primo direttore dell’istituto -, e Adolphe Ferrière (1879-1960) - fondatore del Bureau International des Écoles Nouvelles che verrà assorbito nel BIE, e della Ligue Internationale pur l’Éducation Nouvelle. Dal 1934 il BIE organizza una conferenza internazionale sull’educazione statale, nota come International Conference on Education - che dal 1946 vede compartecipe l’UNESCO - finalizzata a proporre le scelte politiche, l’approccio strategico e gli strumenti normativi per i ministri dell’educazione di tutti i paesi.
7) Cfr. James Bowen, Storia dell’educazione Occidentale, Mondadori, Milano 1983, vol. III, p. 592. Le prime manifestazioni della Pedagogia comparativa vengono fatte risalire – a mio modo di vedere arbitrariamente - a Raimondo Lullo (1235-1315) - che nel suo Doctrina pueril svolge un’opera di comparazione di culture, lingue, religioni e costumi di cristiani, arabi ed ebrei - e ad Anselmo Turmeda (1352-1425 o 1430), che, a seguito di un’attività analoga, da francescano si convertì al musulmanesimo. Lo sviluppo della Pedagogia comparativa nel XX secolo si intreccia col movimento delle "scuole nuove" e delle "scuole attive", dando vita ad importanti centri internazionali di documentazione e ricerca, tra i quali sono i già citati Institut international de Coopération intellectuelle e Bureau International d’Éducation (BIE); l’Associazione Internazionale dell’educazione fondata nel 1919 a New York; l’International Institute of Teachers College fondato nel 1923 alla Columbia University di New York e legato a John Dewey (1859-1952).
8) cfr. B. Orizio, voce relativa alla Comparativa, Pedagogia - Storia della, in Enciclopedia pedagogica, La Scuola, Brescia 1989, vol. II, p. 2867.
9) Cfr. Michel Creuzet, La UNESCO y las reformas de la enseñanza, in Verbo, n. 114, aprile 1973.
10) Sulla genericità dell’accezione "diritti umani" dalla Rivoluzione Francese alla Dichiarazione del 10 dicembre 1948, cfr. Estanislao Cantero Nuñez, La concepciòn de los derechos humanos en Juan Pablo II, Speiro, Madrid 1991, cap. II, leggibile in italiano nel sito http://utenti.lycos.it/armeria/CANTEROD’00.html .
11) Mandato della Commissione, op. cit., p. 242. E’ utile confrontare l’elencazione fatta dall’UNESCO con quella presente ad esempio al numero 47/a dell’enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II: "è necessario che i popoli che stanno riformando i loro ordinamenti diano alla democrazia un autentico e solido fondamento mediante l'esplicito riconoscimento di questi diritti. Tra i principali sono da ricordare: il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia e ad accogliere e educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona".
12) Cfr. Mario Barbera S.J., Maggiore comprensione tra le nazioni? l’U.N.E.S.C.O., in La Civiltà Cattolica, 1947, vol. II, p. 289. Una breve biografia di Padre Mario Barbera S.J. - che fu il massimo esperto di problemi educativi della rivista La Civiltà Cattolica dal 1910 sino alla sua morte -, é contenuta in La Civiltà Cattolica, 1947, vol. IV, pp. 343-349.
13) Cfr. Christopher Dawson, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1997; idem, La crisi dell’educazione occidentale, Morcelliana, 1965.
14) Cfr. G. Cantoni, Cultura, Europa e "rieducazione", in Cristianità, N° 180-181, aprile-maggio 1990.
15) Cfr. Frances H. Yates, Astrea. L’idea di impero nel Cinquecento, Einaudi, Torino 1978.
16) cfr. G. Cantoni, Metamorfosi del socialcomunismo: dal relativismo totalitario al relativismo etico, in Cristianità, n. 261-262, gennaio-febbraio 1977.
17) Cfr. B. Orizio, op. cit., p. 2862, nonché Idem, Pedagogia comparativa, La Scuola, Brescia 1977, in cui si analizzano i legami tra pedagogia comparativa e la mentalità mondialistica ed europea.
18) Edgar Faure, Rapporto sulle strategie dell’educazione, UNESCO, Parigi 1972, ed. it. Armando, Roma 1973. Per un’ampia e fondata critica al Rapporto Faure cfr. Estanislao Cantero, Educaciòn y enseñanza. Estatismo o libertad, ed. SPEIRO, Madrid 1979, in particolare alle pp. 195-238.
19) Rapporto sulle strategie dell’educazione, op. cit., pp. 265-271 e p. 294.
20) Jacques Delors, L’educazione: l’utopia necessaria, in Nell’educazione un tesoro, op. cit., p. 19.
21) J. Delors, L’educazione: l’utopia necessaria, op. cit., p. 12.
22) cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, Suppl., q. 41, a.1.
23) John Dewey parte infatti dallo "scoprire ed esporre le idee implicite in una società democratica, e di applicare queste idee ai problemi del compito educativo", in Democrazia ed educazione, 5.a rist., La Nuova Italia, Firenze 1974, p. IX.
24) Kurt Krenn, L’educazione dal punto di vista cattolico, in Cristianità, n. 191-192, 1991.
25) Giovanni Paolo II, Al Convegno nazionale degli Educatori A.C.R., 7/12/87, n. 2.
26) Serge Pèano, The Financing of Education Systems, UNESCO, Paris 1993, citato in Nell’educazione un tesoro, p. 157. Nello stesso senso si esprime J. Delors: "La Commissione ha messo in maggiore risalto uno dei quattro pilastri che essa propone e definisce come i fondamenti dell’educazione: imparare a vivere insieme, sviluppando una comprensione degli altri e della loro storia, delle loro tradizioni e dei loro valori spirituali, e creando su questa base un nuovo spirito che, guidato dal riconoscimento della nostra crescente interdipendenza e da una comune analisi dei rischi e delle sfide del futuro, potrà indurre gli uomini ad affrontare progetti comuni o ad affrontare gli inevitabili conflitti in maniera intelligente e pacifica [...] Nel coltivare effettivamente l’idea del tipo di educazione che creerebbe e rafforzerebbe questo nuovo spirito, la Commissione non ha trascurato gli altri tre pilastri dell’educazione che forniscono, per così dire, le basi per imparare a vivere insieme", cioè "imparare a conoscere", "imparare a fare" ed "imparare ad essere" (L’educazione: l’utopia necessaria, op. cit., p. 18, le sottolineature sono mie).
27) Giovanni Paolo II, enciclica Centesimus annus, n. 46/a.
28) Ibidem.
29) J. Delors, L’educazione: l’utopia necessaria, op. cit., p. 15. A questo disagio e bisogno di "radici" ha fatto riferimento - tra gli altri - uno dei "maestri" italiani del "pensiero debole", Francesco Alberoni, auspicando che "i ministri, i senatori e i parlamentari che stanno per discutere in Parlamento la riforma del nostro sistema scolastico ed educativo" lo tengano nel dovuto conto. (Un popolo svanisce se perde identità e tradizioni, in Corriere della Sera, del 18-8-97).
30) Così pure J. Delors: "La volontà di partecipare, non dobbiamo dimenticarlo, deve provenire dal senso di responsabilità di ciascuno; ma mentre la democrazia ha conquistato nuovi spazi in terre che prima erano sotto il tallone del totalitarismo e di governi dispotici, essa mostra segni d’indebolimento in paesi che hanno avuto istituzioni democratiche per molti decenni, come se ci fosse un costante bisogno di ricominciare da capo, e come se ogni cosa dovesse rinnovarsi o reinventarsi. Come potevano queste grandi sfide non interessare le politiche dell’educazione? Come poteva la Commissione omettere di porre in risalto in che modo le politiche dell’educazione possano aiutare a creare un mondo migliore, promuovendo uno sviluppo umano sostenibile, la reciproca comprensione tra i popoli e un rinnovamento della democrazia praticamente vissuta?" (L’educazione: l’utopia necessaria, op.cit., pp. 13-14, le sottolineature sono mie)
31) Anche J. Delors si esprime nello stesso senso: "Tutti i motivi, quindi, spingono a insistere nuovamente sulle dimensioni morali e culturali dell’educazione, che consentano a ciascuna persona di comprendere l’individualità degli altri e a capire l’ineguale progredire del mondo verso una certa unità; ma un tale processo deve iniziare dalla comprensione di se stessi attraverso un viaggio interiore che ha le sue pietre miliari nella conoscenza, nella riflessione e nella pratica dell’autocritica" (L’educazione: l’utopia necessaria, op. cit., p. 16).
32) Cfr. Rafael Gambra Ciudad, Il tema dell’insegnamento e la Rivoluzione culturale, in Cristianità, N°5 del maggio-giugno 1974.
33) J. Delors, L’educazione: l’utopia necessaria, op. cit., p. 19.
34) Zhou Nanzhao, Interazioni tra educazione e cultura per lo sviluppo economico e umano: una prospettiva asiatica, in Nell’educazione un tesoro, op.cit., p. 227. Il prof. Nanzhao elenca nello stesso saggio alcuni degli "aspetti delle culture asiatiche favorevoli allo sviluppo dell’educazione e dell’economia"; tali sarebbero: "Il primato del gruppo sull’individuo [...] Il confucianesimo mirava allo sviluppo dell’individuo in quanto essere sociale [...] Ciò spiega in parte perché molti asiatici tendano, malgrado l’avversione che ispirano loro i rapporti di rivalità, a mostrarsi collettivamente molto competitivi. [...] - Il riconoscimento del merito, sancito da esami statali, piuttosto che dal potere e dalla ricchezza ereditati per nascita. L’Asia ha avuto la più lunga tradizione di pubblici esami nel mondo [...] - La legittimazione dell’autorità. Per Confucio, l’educazione era un valido strumento per aiutare l’élite dirigente a governare lo stato. Grazie ad essa, i governanti dovevano imparare a occuparsi del popolo, mentre i governati dovevano imparare ad obbedire. Si riteneva che questa sollecitudine dall’alto e questa docilità dal basso conducessero a un ordine sociale stabile".
35) Giovanni Paolo II, enciclica Evangelium vitae, n. 12.
36) Cfr. Luiz Mendoza de Freitas, Le tappe della rivoluzione nell'economia, in Cristianità, n. 15, gennaio-febbraio 1976; Giovanni Cantoni, Repubblica italiana: laboratorio per un regime tecnocratico?, in Cristianità, n. 247-248, gennaio-febbraio 1995.
37) J. Delors, L’educazione: l’utopia necessaria, op. cit., p. 18.
38) Ministero svedese dell’educazione e della scienza, Coherence between Compulsory Education, Initial and Continuing Training and Adult Education in Sweden, Stockolm 1994, cit. in Nell’educazione un tesoro, op. cit., p. 96.
39) J. Delors, L’educazione: l’utopia necessaria, op. cit., p. 17. Il termine "educazione permanente" é presente in numerosi documenti del Ministero italiano della Pubblica Istruzione; cfr. ad es. l’articolo 2 del documento presentato il 13-1-1997 dal Ministro, on. Luigi Berlinguer, intitolata Riordino dei cicli scolastici.
40) Sulla categoria di "utopia", cfr. Thomas Molnar, L’utopia, eresia perenne, Borla, Torino 1968.
41) J. Delors, L’educazione: l’utopia necessaria, op. cit., p. 12
42) J. Delors, L’educazione: l’utopia necessaria, op. cit. , p. 20.
43) Juan Vallet de Goytisolo, Sociedad de masas y derecho, Taurus, Madrid, 1969, p. 646.
44) Pio XII, Radiomessaggio natalizio Benignitas et humanitas, in I sommi postulati di un retto e sano ordinamento democratico, Cristianità, Piacenza 1991, p. 11.
45) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica: "La fecondità dell’amore coniugale non si riduce alla sola procreazione dei figli, ma deve estendersi alla loro educazione morale e alla loro formazione spirituale. La funzione educativa dei genitori "é tanto importante che, se manca, può a stento essere supplita" (Gravissimum educationis, 3). Il diritto e il dovere all’educazione sono, per i genitori, primari e inalienabili (Familiaris consortio, 36)", n. 2221; cfr. ancora i n. 1653 e n. 2223.
46) Giovanni Paolo II, enciclica Centesimus annus, n. 47/b.
47) Karan Singh, Educazione per una società globale, in Nell’educazione un tesoro, op. cit., pp. 215-216.
48) Così anche oltre: "s’impone una rivalutazione della loro condizione [degli insegnanti], se si vuole che l’educazione per tutta la vita svolga il compito centrale individuato dalla Commissione per l’avanzamento delle nostre società e il rafforzamento della comprensione reciproca tra i popoli", p. 145. In Italia, l’opera di ripensamento dell’educazione degli insegnanti potrebbe essere cominciata con l’istituzione del nuovo corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria e quello relativo agli insegnanti della Scuola Secondaria, rispettivamente previsti dai Decreti Presidente della Repubblica n. 470 e 471 del 31 luglio 1996.
49) Tale é stato il compito della Commissione - finalizzata a determinare le "conoscenze fondamentali su cui si baserà l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni" -, istituita il 21-1-1997 col Decreto n. 50 del Ministero della Pubblica Istruzione italiano.
50) La sottolineatura indica una caratteristica presente nel prossimo Riordino dei cicli scolastici, proposto dal Ministero italiano della Pubblica istruzione e presentato il 3 giugno 1997 al Consiglio dei Ministri.
51) Come pure "l’educazione dovrebbe prendere due vie complementari: ad un primo livello, la scoperta graduale degli altri; ad un secondo, l’esperienza di obiettivi comuni per tutta la vita" (p. 86), e, ancora, "l’educazione formale deve quindi fornire abbastanza tempo e opportunità nei suoi programmi per iniziare i giovani, fin dall’infanzia, a progetti cooperativi attraverso la partecipazione allo sport o ad attività culturali, ed anche attraverso la partecipazione ad attività sociali" (p. 87).
52) Per l’Italia le misure di decentramento scolastico, che anche nel nostro paese é solo amministrativo ed organizzativo, sono state previste dal D.L. 59, approvato dal Parlamento l’11-3-97 (c.d. Bassanini).
53) Nella realtà italiana, gli eventuali rischi di un eccesso di autonomia sono state prevenuti col Decreto Ministeriale n. 26 del 10-1-97, istitutivo di un "Comitato di Coordinamento e di Indirizzo".
54) Il Servizio Nazionale di Valutazione delle istituzioni scolastiche italiane é stato istituito con la direttiva del Ministero per la Pubblica Istruzione n. 307 del 21 maggio 1997.
55) Cfr. Carlo Caffarra, Per la libertà nella scuola e nell’educazione, in Cristianità, n. 265-266, del maggio-giugno 1997.
56) Giovanni Paolo II, enciclica Evangelium vitae, n. 20.
57) La maggior parte delle agenzie specializzate del sistema delle Nazioni Unite hanno inserito nel loro programma un settore educativo, considerato come un sostegno indispensabile per il raggiungimento dei loro obiettivi. E’ il caso della Food and Agriculture Organization (FAO), dell’Organizzazione internazionale del Lavoro (OIT), dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), del Fondo internazionale di aiuti all’infanzia (FISE). Tali organismi sono collegati a livello regionale con istituzioni che si confrontano coi problemi specifici di ogni entità geografico-culturale, come ad es. l’Organisatiòn pour la Coopération et le Dévelopment Économique (OCDE), fondata a Parigi nel 1960 inizialmente solo per fini economici che successivamente - a causa dei problemi inerenti la formazione professionale - ha esteso la sua azione in campo educativo; l’Organizzazione dell’Unità africana (OUA); l’Organizzazione araba per l’educazione, la scienza e la cultura (ALECSO); l’Organizzazione dei ministri dell’educazione dell’Asia sud-orientale (SEAMEO); l’Organizzazione degli Stati americani (OEA). Per l’Europa, il Consiglio d’Europa, fondato nel 1949 a Strasburgo, ha finito con l’identificarsi con la sua sezione culturale, l’attuale Centro di Cooperazione Culturale (CCC); mentre la Comunità Economica Europea (CEE), ha aperto dal 1972 la XII Direzione Generale per la ricerca, la scienza e l’educazione.
58) Cfr. Amadou M’Bou, L’apporto delle organizzazioni internazionali all’educazione contemporanea, in Gaston Mialaret e Jean Vial, Storia mondiale dell’educazione, Città Nuova editrice, Roma 1988, vol. IV, p. 533-545.
59) Cfr. Documentazione sul trattato di Maastricht, vol. I, I documenti, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, s.d. e s.l., pp. 57 e 59.
60) Giovanni Paolo II, Discorso all’UNESCO del 2-6-80, in La Traccia 1980, p.472/VI. Cfr. anche il successivo Discorso all'Assemblea Generale dell'ONU, del 5-10-1995, il cui affronta e spiega i temi della convivenza internazionale e le necessarie caratteristiche della globalizzazione.
61) Giovanni Paolo II, intervista al quotidiano cattolico francese La Croix, riportata dal Corriere della Sera e da Avvenire del 20-8-97
62) Giovanni Paolo II, Discorso agli educatori nel Duomo di Teramo, 4-9-1988, La Traccia, 1988, 1147/IX.
63) Pio XI, enciclica Divini illius Magistri.
64) Cfr. San Pio X, Lettera agli Arcivescovi e Vescovi francesi Notre charge apostolique, in La concezione secolarizzata della democrazia, Cristianità, Piacenza 1993, p. 12.