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Il Concilio come fatto pedagogico
di MARIO CASOTTI
in AA.VV., L'educazione cristiana dopo il Concilio, a cura di E. Giammancheri, La Scuola, Brescia 1966, p. 195; N 8627

 

 Anzitutto una premessa.
Premessa davvero indispensabile per chiunque abbia preso parte a qualcuna delle varie adunanze e conferenze promosse nel mondo cattolico, ora che il Concilio non è più, come si dice, a Roma, bensì si è trasportato in ogni parte della Chiesa.

 

ALCUNI INTERROGATIVI

- I Protestanti? - si dice. Sono soltanto dei "fratelli separati": ottima gente, magari migliori dei cattolici. Lutero? Un bravo uomo, anzi, un monaco, zelante, energico, pieno di idee luminose. Se fece, poi, la "riforma" non fu colpa sua: ci fu proprio tirato per i capelli, da Papi che si erano tutti, più o meno, lasciati influenzare dal lassismo, intellettuale e morale, del Rinascimento (e qui è di prammatica aggiungere qualche cosa sulla famiglia Borgia), Furono commessi errori? Sì, ma quanti e quanti (forse i principali?) da parte della Chiesa stessa!

Gli Ebrei? - Non sono più "perfidi", non sono più "deicidi": ormai queste accuse e ingiurie sono state ritirate e, in ogni caso, ora la Chiesa li ha pienamente assolti. Bravissima gente anche loro, anzi, meglio dei protestanti, perché, in fondo, essi costituiscono il "popolo eletto", in conseguenza di un patto, stretto da Dio con Abramo e che mai è stato abrogato, (Una nota rivista uscì con questa illustrazione: Si vedono due uomini che abbattono il grande crocifisso di un altare. Altri, presenti, domandano: - Che fate? Siete impazziti? - Rispondono: - Eh, tanto, oggi non serve più!),

- I laicisti, i materialisti, gli increduli di varie scuole filosofiche, politiche ecc.? - Non potete prendervela con loro, no davvero. Bravissimi ed ottimi anche loro: fiori di galantuomini! Sono atei? Macché! Anche loro, benché non sempre lo sappiano, credono in Dio, o, almeno, "in un certo Dio" anche se lo chiamano coi più diversi nomi. O diciamo, piuttosto, che sono "alla ricerca di Dio". E vorreste combatterli, condannarli, polemizzare duramente con essi? Ohibò! Se mai aiutateli, accarezzateli, porgete loro una mano, stabilite un "dialogo"!

Gli ebrei, ch'io sappia, oggi non fanno molto proselitismo: ma i protestanti mandano tuttora in giro i loro fogli e foglietti. E il fedele cattolico che ha sentito il proprio parroco metterlo in guardia contro tutto ciò, e tuonare, e intimargli di consegnare a lui quella roba, e ricercare chi sono gli agitatori di simil propaganda... resta, per lo meno, stupito! O non sono, i nostri fratelli protestanti, così bravi e buoni? E perché si deve, dunque, averne paura?

E poi, mi sapete dire che cosa vanno a fare tanti bravi sacerdoti e laici nelle Missioni? Se tutti quei popoli hanno già una religione alla quale bisogna far tanto di cappello, è inutile, anzi, forse dannoso levargliela per sostituirla con un'altra. Le Missioni sono, dunque, un'altra serie di "errori" della Chiesa; a meno che non si voglia limitarle al soccorso materiale ed igienico-sanitario. E' sempre "mezzanotte, dottor Schweitzer", dappertutto! (Anzi, doveva proprio mancare qualche rotellina a questo dottore alsaziano, che piantò lì di scriver libri e tener concerti d'organo per andare a chiudersi nella giungla africana a sanar piaghe e accomodare teste rotte di neri. con la bella riconoscenza che ne raccolse quando, dopo tanti anni di duri sacrifici, si sentì dire da qualche selvaggio, seguace delle "idee nuove": "vecchio uomo bianco, vattene a casa!").

Qualcuno, a questo punto, crederà che scherziamo. E no, non scherziamo; ma riportiamo tal quali, anzi, se mai attenuando un pochino, le impressioni che abbiamo raccolto presso il pubblico nelle conferenze sopra ricordate. Impressioni che è facile compendiare in una sola: una impressione di generale scetticismo. A che, allora, tanto preoccuparsi per insegnare la dottrina cristiana cattolica nella famiglia e nella scuola, mantenerne la purezza, vegliare affinché non vi s'inseriscano errori, se poi cattolicesimo o protestantesimo, ortodossia orientale od ebraismo, islamismo o buddhismo, e persino laicismo e filosofie: varie sono, su per giù, la stessa cosa, perché in tutte si può conquistare, prima o poi, la verità e la salvezza? e persino nel materialismo marxista, una volta condannato e scomunicato, c'è qualcosa (molto?) di buono?

In secondo luogo: perché la Chiesa, queste cose non ce le ha dette prima? Perché aspettare l'anno 1964, o 1965, a dirle quando, se dette a tempo debito, potevano risparmiare all'umanità tante sofferenze, tante lotte, tante guerre sanguinose? Sono stati errori commessi dalla Chiesa, voi ci dite: ma la Chiesa, allora, è un semenzaio di errori, anziché quella "colonna e sostegno della verità" di cui parla S. Paolo (I Tim. 3, 15), una, santa, cattolica e apostolica com'è dichiarata nel Simbolo Niceno-Costantinopolitano? (C., n. 8). Se si fossero potuti abbracciar come fratelli gli arabi e i mori che invasero la Spagna e premevano alle porte dell'Europa tutta: o, più tardi, le orde dei lanzichenecchi luterani che saccheggiarono Roma; o, più tardi ancora, quelli dal berretto frigio, e, dopo, Napoleone che si portò via un papa prigioniero - e via dicendo - la storia dell'umanità non si trasformerebbe proprio in un giardino di delizie (rimarrebbero sempre le malattie e le calamità naturali d'ogni genere) ma, almeno, in un bel campo, ben tenuto e coltivato.

Ed è vano obiettare che queste sono reazioni fondate su concetti superficiali e risibili: di fatto ci sono e si producono, e non basta davvero biasimarle per sopprimerle.

 

OCCORRE PRECISARE

Bene: domandiamoci allora quali siano gli errori che possono giacere al fondo di questa superficialità: errori, a noi vuol sembrare, piuttosto di filosofia che di teologia. Ecco il primo. Si confonde lo spirito di comprensione e carità col quale la Chiesa c'invita a considerare le varie dottrine, con la adesione totale e incondizionata alle dottrine medesime.

I Protestanti son buona e brave gente, e la loro è una rispettabile religione? Sia pure; ma da ciò non segue ch'io debba farmi protestante e abbandonare il cattolicesimo. Nel protestantesimo ci sono, accanto a talune verità, anche degli errori? Certo: ma di qui non segue che la Chiesa debba afferrarli, bruciarli, ricoprirli d'ingiurie: segue solo che ha il diritto e dovere di discutere e criticare le loro idee. Il che può avvenire benissimo nella più scientifica e pacifica calma, e non certo scambiandosi pugni. La qual cosa sarebbe, anzi, pedagogicamente controproducente. Perché, come ognun sa, non c'è nulla che faccia tanto ostinare qualcuno nelle proprie idee che attaccarlo violentemente, producendo così in lui un senso d'essere offeso in un diritto fondamentale d'ogni persona umana, quale la libertà del pensiero.

Più: una discussione ben fatta può essere, anzi è senz'altro, prova di benevolenza e d'amicizia. Ché se io ho un amico e lo vedo errare in qualche cosa, la mia amicizia non può esplicarsi nel dirgli: "fai bene, continua pure così". Questa sarebbe, anzi, vera inimicizia, perché condurrebbe a confermarlo e precipitarlo nell'errore. Ma l'amicizia consiste nel cercar di rettificare le sue idee per condurlo, con delicatezza e carità, alla piena conoscenza del vero. Ecco perché la Chiesa "sa di essere per più ragioni congiunta" a coloro "che, battezzati, sono sì insigniti del nome cristiano, ma non professano integralmente la fede (protestanti) o non conservano l'unità di comunione sotto il Successore di Pietro (ortodossi)", ma non per ciò si converte alle loro idee, anzi opera instancabilmente "affinché tutti, nel modo da Cristo stabilito, pacificamente si uniscano in un solo gregge, sotto un solo Pastore" (C, n. 15).

Buona e brava gente gli Ebrei? Senza dubbio. Essi sono "il popolo al quale furono dati i testamenti e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la carne... popolo, in virtù della elezione, carissimo per ragione dei suoi padri, perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili" (C., n. 16). Ma è detto, con ciò, che dobbiamo andare tutti alla prossima sinagoga, per farci circoncidere? No davvero, con tutto il possibile rispetto verso di loro, riconosciamo che sono "ordinati al Popolo di Dio". E lo stesso diciamo di coloro "che riconoscono il Creatore, e tra questi in particolare i Musulmani, i quali professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso", ma non ci facciamo musulmani, né cambiamo i nostri copricapi col fez o col turbante.

Non vogliamo, poi, disprezzare e vilipendere nemmeno i pagani e gl'idolatri che "senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa", e neppure gl'increduli "che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, e si sforzano di compiere con le opere la volontà di Lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza" (ibid.). Ma ci faremo, allora, pagani, idolatri, filosofi erranti dal materialismo all'esistenzialismo? Mai più; anzi, a tutti costoro è nostro dovere portare la superiore verità di cui la Chiesa sola dispone, si capisce, nei debiti modi perché possano fruirne. Giacché spesso gli uomini, abbiano o meno questa o quella religione o credenza "ingannati dal Maligno, vaneggiano nei loro pensamenti e hanno scambiato la verità divina con la menzogna, servendo la creatura piuttosto che il Creatore (cfr. Rom. 1, 21 e 25), oppure vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale. Perciò, per promuovere la gloria di Dio e la salute di tutti costoro, la Chiesa, memore del comando del Signore che dice: "Predicate il Vangelo ad ogni creatura." (Mc. 16, 16) promuove con ogni cura le missioni" (C., n. 16); Le quali non sono soltanto le missioni che la Chiesa istituisce fra popoli lontani e primitivi che non hanno ancora avuto il beneficio di conoscere il Vangelo, ma è la sua costante predicazione, ogni giorno, fra noi. Predicazione che non è, daccapo, soltanto quella dei sacerdoti dai pulpiti, ma quella che continuamente, in atti o parole, deve effettuare ogni fedele cristiano secondo le sue possibilità. "Ad ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di spargere, quanto gli è possibile, la fede" (C, n. 17).

 

 

PERCHÈ SI È ATTESO FINO AD ORA?

- Ma perché tutte queste cose, la Chiesa non le ha dette prima? -

Semplicissimo: per quella medesima ragione per cui Gesù disse, nell'ultima cena e poco prima d'andare alla passione e morte: "Adhuc multa habeo vobis dicere; sed non potestis portare modo" (Io. 16, 1; L'umanità non era ancora matura per ricevere e intendere le suddette verità: non era ancora matura per potersi innalzare a una tolleranza che si fonda su una distinzione la quale anche oggi, abbiamo or ora visto, rimane difficile da capire senza cader nello scetticismo o nel relativismo. Distinzione fra il pensiero della verità che la Chiesa ci porge e l'atteggiamento pratico, umano, caritatevole, da tenere verso coloro dei nostri fratelli uomini, che questa verità ignorano, o non ancora conoscono, o che posseggono limitata e oscurata da errori.

Giacché la verità - e la verità rivelata, come la verità filosofica e naturale - non è già un oggetto materiale, o un monile d'oro che si può dare agl'individui affinché lo mettano in tasca o lo custodiscano nella cassaforte per adornarsene nelle grandi occasioni. La verità è un oggetto ideale che i soggetti possono assumere soltanto pensandola, cioè ricostruendola col loro pensiero: e questa capacità di pensarla, sempre più approfondendola, si matura e svolge nel corso della storia. Iddio stesso, nel rivelarsi all'uomo, ha tenuto conto di questo sviluppo; e dapprima manifestò se stesso ai nostri progenitori prima e dopo la loro caduta; poi, a suo tempo, chiamò Abramo e i Patriarchi, e poi Mosè, e poi i Profeti; e dopo avere "a più riprese, in più modi parlato per mezzo dei Profeti, alla fine, nei giorni nostri ha parlato a noi per mezzo del Figlio (Hebr., 1, 1-2). Mandò infatti il Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini" (R, n. 4).

Domandare, dunque, perché la Chiesa non ha "detto prima" questa o quella cosa, equivale a domandarsi perché "prima" Dio ha voluto parlare ad Abramo, a Mosè ed ai Profeti, invece di mandarci subito il Figlio: oh non sarebbe stato molto più semplice inviare il Figlio ad Adamo, appena fu cacciato dal paradiso terrestre? E perché vi scelse per sé "il popolo israelita, stabilì con lui un'alleanza, e lo formò lentamente manifestando nella sua storia se stesso e i suoi disegni e santificandolo per sé?" (C, n. 9). E perché anche quell'alleanza fu solo preparazione e figura "di quella nuova e perfetta alleanza da farsi in Cristo, e di quella più piena rivelazione che doveva essere fatta per mezzo del Verbo stesso di Dio fattosi uomo?".

Nessuno dubita che Dio, nella sua onnipotenza, avrebbe potuto dare subito all'umanità, la "nuova alleanza" e la più piena rivelazione, anziché prepararla lentamente attraverso un processo storico e secolare. Invece, non ha fatto così, ed ha voluto che l'ordine soprannaturale rivelato si svolgesse per somiglianza all'ordine naturale; e così l'uomo, come acquista lentamente, nel passare dei secoli, la sua civiltà, la sua cultura, la sua scienza e tecnica; così lentamente e gradatamente acquistasse il patrimonio della Rivelazione. Verità, questa, che alcuni "modernisti" avevano intravista, ma poi malamente deformata in senso materialistico-evoluzionista, quando avevano parlato di una "evoluzione dei dogmi". Espressione imprecisa e generatrice di errori, in quanto non tien conto d'una differenza che, pure nella somiglianza, v'è fra il divenire storico della divina dottrina e quello del sapere umano. Quest'ultimo è sempre "incompleto" e si svolge, attraverso i secoli, per successiva addizione di nuove parti. Il sapere rivelato, invece, da quando Gesù Cristo ha parlato ed è stato inviato alla Chiesa lo Spirito Santo, è "completo e definitivo" e si svolge solo per approfondimento. "L'economia cristiana dunque, in quanto è alleanza nuova e definitiva, non passerà mai e non è da aspettarsi alcuna altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo" (R, n. 4).

Non vi è, dunque, un progresso? Sì, vi è. "Questa Tradizione di origine apostolica progredisce, nella Chiesa, con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce, infatti, la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro (cfr. Lc. 2, 19 e 51), sia con l'esperienza, data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali" (R, n. 8). Ecco perché non si potevano dire "prima" tante cose che son del tutto al loro posto quando son dette "dopo" e perché delle verità (pur già contenute nella divina rivelazione) non si potevano affidare al Medioevo, al Rinascimento od al Sec. XVIII senza pericolo di fraintendimenti ed errori; che ora, invece, risplendono di luce solare ai tempi nostri.

La difficoltà nell'intendere questo, sta, per lo più, in imperfette filosofie odierne, le quali non sanno concepire un "progresso" che non sia "cambiamento" e, quindi, vorrebbero veder succedere, alla rivelazione cristiana, un'altra rivelazione nuova di zecca: come il buon Giuseppe Mazzini il quale credeva di riuscir persuasivo e incoraggiante scrivendo a Pio IX che si contentasse di veder tramontare, ormai, la rivelazione di cui egli era a capo, per andare incontro a quell'altra che stava adesso nascendo. Laddove un progresso per mutamento è ammissibile solo se si studia una realtà divisa in parti come la realtà materiale e fisica, di cui or l'una or l'altra si presenta: ma non di fronte a una realtà spirituale veduta in una luce superiore divina, unica e indivisibile. "La Chiesa... nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio" (R, n. 8).

Ed ecco la ragione del suo vero "progresso" e dinamismo, come progresso di "approfondimento". La Chiesa ha innanzi a sé, nella rivelazione, una verità divina infinita la cui esplorazione e fruizione può avvenire soltanto nel corso dei secoli, finché "vengano a compimento le parole di Dio", cioè finché si compia il disegno di Dio sulla storia. E ciò benché in ogni momento di questo processo, tale verità sia sempre tutta presente.

 

LA PEDAGOGIA DIVINA

"I libri... del Vecchio Testamento, secondo la condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti la conoscenza di Dio e dell'uomo e il modo con cui Iddio giusto e misericordioso si comporta cogli uomini. I quali libri sebbene contengano cose imperfette e temporanee, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina" (R, n. 15). Ecco la parola: pedagogia. La Chiesa ha sempre, attraverso i secoli, problemi pedagogici da risolvere, perché tali problemi le sono trasmessi dalla pedagogia divina con la quale Iddio medesimo ha condotto la rivelazione, e con la quale Gesù Cristo Maestro insegnò e continua ad insegnare mediante il magistero della Chiesa stessa.

"Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell'uno e dell'altro Testamento e ne è l'autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio diventasse chiaro nel Nuovo" (R. n. 16). Perché? Ma, evidentemente, perché "la condizione del genere umano" nei tempi anteriori alla venuta di Gesù Cristo era diversa dalla condizione del genere umano quale sarebbe stata ai tempi di questa venuta, e chiedeva, perciò, un diverso linguaggio, a costo d'inserire in esso anche alcune "cose imperfette e temporanee". O se no, il linguaggio della rivelazione non sarebbe stato capito dagli uomini dell'era postcristiana, che si sarebbero venuti a trovare in una penosa condizione d'inferiorità e ciò "Iddio giusto e misericordioso" non voleva. La progressione storica fu, dunque, da Dio medesimo disposta in tal modo che nel Vecchio fosse "nascosto" il Nuovo, e, nel Nuovo, il Vecchio Testamento non già si perdesse o fosse annichilato, ma si conservasse ed, anzi, venisse a più perfetta chiarezza.

In tal modo, nella storia, ciò che viene prima contiene "nascosto", ossia in germe, ciò che verrà dopo: e ciò che vien dopo non distrugge, bensì eleva a maggiore chiarezza ciò che era stato prima. Questa formula generale molti si ricorderanno d'aver conosciuto ai tempi in cui fioriva l'idealismo filosofico italiano moderno, appoggiata anche ai nomi di Hegel e del Vico. Ma è, precisamente, una formula che quelle filosofie derivarono dal cristianesimo, ad illuminare la storia, la quale, è manifesto, si svolge sempre secondo le Idee divine, non essendo, poi, tali idee, come S. Tommaso c'insegna, niente altro che la stessa divina Essenza in quanto variamente partecipabile dalle creature.

Possiamo pensare, così, Dio come un Maestro che ha per scopo tutto il genere umano, al quale si propone d'insegnare una verità sia proprio "verità" per esso, cioè che non rimanga lì, immobile ed inerte quasi un oggetto materiale, ma provochi un effettivo processo di pensiero, di sentimento, di volontà. Reca meraviglia, se mai, considerare che si tratta d'un maestro onnipotente, cui non era necessario assoggettarsi a tutto questo processo storico-pedagogico, ma bastava, come si disse prima, che fornisse di colpo all'uomo, mediante un decreto dell'onnipotenza, tutto quanto occorreva al suo perfetto sviluppo soprannaturale (come, verosimilmente, accadde, nella creazione di Adamo, subito arricchito di doni e soprannaturali e preternaturali). Invece il divino pedagogo (per usar l'espressione di Clemente Alessandrino), pur adoperando, pel suo magistero, mezzi superiori al livello naturale umano, come la grazia che agisce "ex opere operato" nell'intimo del soggetto educando, volle, per l'economia generale dell'educazione e dell'insegnamento, sottoporsi alla dialettica naturale di questi. A costo di affrontare anche cospicui insuccessi della sua azione educativa, come nelle numerose e ricorrenti apostasie del popolo eletto e, infine, per prendere il punto estremo, nel caso di Giuda. Che, apostolo come gli altri undici, e come loro usufruendo di tutte le amorose cure dedicategli dal Maestro divino, finì nel miserabile modo a tutti noto.

Ma, com'è ovvio, l'azione educativa divina non finisce coll'avvento di Gesù Cristo, anzi, in un certo senso, qui comincia. "Il Figlio di Dio, unendo a sé la natura umana e vincendo la morte con la sua morte e risurrezione, ha redento l'uomo e l'ha trasformato in una nuova creatura (cfr. Gal. 6, 15; 2 Cor 5, 17). Comunicando infatti il suo Spirito, fa che i suoi fratelli, chiamati di tra tutte le genti, costituiscano il suo corpo mistico. In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti" (C, n. 7). Il divino Pedagogo, ascendendo al cielo, non ha lasciato la Chiesa sola, né ha intermesso la sua azione educativa, sia restando presente nel Sacramento dell'altare, sia delegando Pietro a rappresentarlo come Sommo Pontefice e "dolce Cristo in terra" a capo degli Apostoli e in unione con essi. "Questa è l'unica Chiesa di Cristo,...che il Salvatore nostro, dopo la sua risurrezione, diede da pascere a Pietro (Jo. 21, 17), affidandone a lui e agli altri Apostoli la diffusione e la guida ", Chiesa che "in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui" (C, n. 8).

 

SIGNIFICATO DEL CONCILIO

Possiamo ora intendere appieno che cosa sia il Concilio Ecumenico Vaticano II. E' un atto di quella divina pedagogia già menzionata, in cui il Maestro Gesù Cristo parla per bocca di Pietro e degli Apostoli; cioè del Papa e dei Vescovi in comunione con lui. - Ma che bisogno c'era - dirà qualcuno - di questa parola oggi? Non bastavano i molti Concili che già si tennero nel passato, fin dai primi tempi della Chiesa? - Non bastavano, e lo prova la stessa molteplicità di questi, richiesta appunto dalle varie condizioni storiche in cui l'umanità venne a trovarsi. Non bastavano, perché il discorso che già la Chiesa aveva iniziato nel Concilio Vaticano I, fu bruscamente interrotto, e domandava d'esser continuato. Non bastavano, perché l'umanità "vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti" (CM, n. 4), assai maggiori, comparativamente, di quelli che si verificavano nel passato, e determinanti "una vera trasformazione sociale e culturale", e dunque maggiore e non minore è il bisogno che la Verità, di cui la Chiesa è custode, venga ripensata in funzione dei nuovi problemi nascenti da ogni parte.

Ma il Concilio Vaticano II era anche, diremmo, particolarmente necessario e provvidenziale proprio per una impressione derivante dal Vaticano I che il laicismo e l'anticlericalismo avevano abbondantemente sfruttato. Il Vaticano I, come ognun sa, aveva iniziato lo studio della realtà ecclesiale dal vertice; cioè dal definire la figura del Papa. Bruscamente interrotto, non aveva potuto seguitare lo studio, passando a parlare dei Vescovi e poi di tutte le altre membra della Chiesa, sino ai laici e secolari. A poco per volta si era, dunque, formata quasi l'idea che il lavoro interrotto fosse tutto il lavoro e che la Chiesa stessa coincidesse, addirittura, col Papa, coadiuvato, al più, dal senato dei suoi Cardinali e dalle Congregazioni curiali, organi del governo ecclesiastico. Di fronte a questo organismo centrale, tutto il resto della Chiesa appariva, come a dir, secondario: i Vescovi, delegati del Papa e occupati a metterne in pratica il pensiero; i semplici sacerdoti, a loro volta delegati dei Vescovi; il gran corpo dei fedeli, laici e secolari solo come esecutivo materialmente di ciò che i sacerdoti ordinavano. Non solo la Chiesa docente (Ecclesia docens) si staccava dalla Chiesa discente (Ecclesia discens), ma la prima si restringeva in maniera notevole al suo centro di Roma, mentre fra le due si scavava un vero abisso. Certo non si negava l'autorità e l'investitura dei Vescovi; ma, in pratica, se vi circondava il riconoscimento da tali cautele e restrizioni che le relegavano, alquanto sfumate, in un secondo piano. Si costituiva così un concetto "amministrativo" della Chiesa che ha dominato, per molti anni, le nostre menti. Come d'una monarchia che ha per Re assoluto il Papa, per ministri i Cardinali, per prefetti, sparsi in tutto il mondo i Vescovi e umilissimi sudditi i fedeli.

Innanzi a questo concetto, o, per dire più esattamente, a questa immagine (ché, come vero concetto, è impensabile) della Chiesa nel Concilio Vaticano II agisce con la forza sconvolgente d'una bomba atomica. I suoi pronunciati ci danno l'impressione (ben altrimenti vera e feconda) di riscoprire verità che, in fondo, avevamo sempre saputo, riprenda come esempio la liturgia. Chiunque abbia preso in mano il messale, vede bene, ha sempre dovuto vedere che il grande sacrificio dell'altare ha sempre avuto carattere comunitario, cioè corale e dialogico: e che il sacerdote offerente (pur superiore, per la sua figura ministeriale, alla massa dei fedeli, come l'unico che possa effettivamente far venire Gesù nelle sue mani) è delegato e rappresentante di tutti coloro che assistono alla messa: i quali, in realtà non assistono soltanto, bensì concelebrano con lui. - Sì, ma questa verità, sempre conosciuta e proclamata, si era venuta obliterando a tal punto che non solo i fedeli poco letterati, ma persino i più colti (e quanti, persino tra i professori di lettere, non avevano neppure mai scorso un messale in edizione integra?) se non la ignoravano del tutto, vi fermavano l'attenzione a malapena? (Fino al recente movimento liturgico, la stessa cosiddetta "messa dialogata" era ritenuta da non pochi in autorità nella Chiesa medesima, una "novità" non diciamo scandalosa, ma almeno molto discutibile). Ma ora la Costituzione e il Decreto sulla sacra liturgia, con la riforma liturgica che hanno instaurato, spalancano tutte le porte e forzano amorevolmente i fedeli a prendere in mano i testi, in volgare, della messa, per unirsi con piena consapevolezza all'azione in cui sono, mediante il sacerdote celebrante, non spettatori, ma attori. "Sacerdoti" anch'essi (gens sancta, regale sacerdotium) benché d'un sacerdozio qualitativamente diverso dal sacerdozio ministeriale, ma, infine, d'un sacerdozio fondato anch'esso, come l'altro, sul sacerdozio di Gesù Cristo.

 

IL CONCILIO È UN GRANDE FATTO PEDAGOGICO

In sostanza, la Chiesa siamo noi. Non davvero nel senso panteistico e idealistico dell'espressione, quasi che la Chiesa si riducesse ad una proiezione berkeleyana del nostro individuale pensiero: ma nel senso che tutti vi formiamo il corpo mistico di Gesù Cristo. E di questo corpo, non agisce solo il Capo (il Papa) ma tutto il corpo stesso, dalla Chiesa docente dei Vescovi e Sacerdoti, all'ultimo e più umile dei laici, sacerdote anch'esso, benché di un sacerdozio qualitativamente diverso dal sacerdozio ministeriale, ma sempre fondato sul sacerdozio di Gesù Cristo (C, n. 15).

Il Concilio stesso è un grande fatto pedagogico: una applicazione di metodo attivo divino. Il Cristo Maestro, incarnato nel Papa, non ha voluto limitarsi ad enunciare delle verità, ma ha disposto che alla loro formazione collaborasse tutta la Chiesa: i vescovi anzitutto, come costituenti quel Collegio Apostolico che ha Pietro a capo; con essi i costituiti in autorità nella Chiesa (Superiori di Ordini Religiosi, Prelati) ma anche laici e secolari d'ambo i sessi e Osservatori d'altre chiese e confessioni, soprattutto, questi ultimi, al fine di incarnare in sé la psicologia del popolo discente, o addirittura quella del mondo cui la nuova parola doveva rivolgersi. Né il Concilio si restringe a darci dottrina o istruzioni da seguire nel futuro; ma, se così si potesse dire, ci ha messo innanzi agli occhi, realizzandola, quella unità del popolo cristiano che già sussiste, ma ora è chiamata a maggior coscienza e dignità nella Chiesa: unità il cui processo comincia, e non già finisce col Concilio, che ne affida la prosecuzione a tutti noi, laici compresi. Ché, come già s'è visto, "Il sommo ed eterno sacerdote Gesù Cristo... ad essi... che intimamente congiunge alla sua vita e alla sua missione, concede anche parte del suo ufficio sacerdotale per esercitare un culto spirituale, affinché sia glorificato Dio e gli uomini siano salvati" (C, n. 34). Tutti i credenti in Cristo costituiscono "una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo tratto in salvo" (I Piet. 2, 9-10. Ivi. C., 2, 9).

"Comincia", diciamo, e non "finisce", perché quando il Concilio si è chiuso, i suoi membri non sono spariti, ma tornando ai loro posti si sono infusi in tutte le vene della Chiesa portandovi il suo spirito e le sue conclusioni. Non già allo scopo di ripeterle materialmente; anzi, allo scopo di viverle tutti, chierici e laici "perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale" (C, n. 35), e non soltanto nelle grandi occasioni.

Metodo attivo in due tempi: due, ma sempre sostanzialmente uniti e non separati. Nel primo, il Maestro divino, il "dolce Cristo in terra", il Papa, ha esercitato il suo magistero avendo a scolari-collaboratori i membri della Ecclesia docens: nel secondo, tutto il corpo conciliare chiama a scolari-collaboratori tutti i fedeli, laici compresi, ai quali ultimi affida, anzi, oltre al fine comune dell'apostolato connesso con la professione medesima del cristianesimo, compiti specifici molto importanti, quali il compenetrare tutte le attività secolari e mondane da loro esercitate, ognuno secondo la sua specifica competenza, di spirito cristiano; il cooperare alla cristianizzazione della società mediante quella della famiglia; il risanare "le istituzioni e le condizioni del mondo,... così che tutte siano rese conformi alle norme della giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l'esercizio delle virtù" e persino avendo "la facoltà, anzi, il dovere di far conoscere il loro parere su cose concernenti il bene della Chiesa" (C, nn. 35, 36 e 37).

Ma questo attivismo conciliare è ben diverso dall'attivismo che varie scuole pedagogiche e politiche professano - col quale ha in comune solo il minimo denominatore di qualunque metodo attivo: cioè la ricerca (non disdegnando nessun mezzo, anche derivante "dal progresso della psicologia, della pedagogia e della didattica") di una vera adeguazione alle reali condizioni psicologiche degli scolari. E' un attivismo che, in primo luogo, non sopprime la verità, né parte con la puerile idea ch'essa non esista e sia creata poi dai docenti discenti: ma la pone, già vedemmo, nella dottrina rivelata per cui "tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio": cioè porge al pensiero umano una verità infinita, entro la quale può infinitamente crescere ed affermarsi.

E' un attivismo che, in secondo luogo, non sopprime od abbassa il maestro mettendo al suo posto gli scolari (dietro pretesto di non so qual "rivoluzione copernicana") ma, invece, più eleva in giusta dignità la condizione degli scolari (laici compresi) e più afferma la centralità e la funzione di motore del maestro: più rivendica il primato dell'unico Maestro (Gesù Cristo - Il Papa) più rende attiva l'umanità dei maestri secondi (Vescovi - clero - laici) organicamente collegati, ognuno con la sua funzione e mansione.

E' un attivismo, inoltre, il quale supera anche le più audaci richieste di certe filosofie, le quali volevano il maestro uno con lo scolaro. Quello che insegna, nella Chiesa, è sempre Gesù Cristo e il suo Spirito che si effonde da Pietro, il Papa, e dai Vescovi operanti in comunione con lui, fino a penetrare di sé i laici e fin l'ultimo e più umile membro del Corpo mistico. Quello che opera nella Chiesa è, ancora, Gesù Cristo, il quale ascende all'altare e s'immola non solo, quasi testa divelta dal corpo, ma portando con sé a concelebrare tutto il corpo mistico. Nessuna confusione metafisica, o arbitraria coacervazione di enti: pure, nonostante che ognuno rimanga al suo posto e nella sua mansione, (il Papa come Papa, i Vescovi come Vescovi, i laici come laici) nessuna unità sarà mai pensabile superiore a questa.

Per difetto di filosofia, anche il Vaticano I era stato frainteso; come se la proclamata infallibilità pontificia, nel riconoscere il primato da Gesù Cristo conferito a Pietro, sopprimesse ogni altro magistero. Ma ben altro si sarebbe visto se ci si fosse serviti della filosofia di S. Tommaso. Il quale ci ricorda che la Causa Prima, agendo, non elimina le cause seconde, anzi, dà loro, oltre all'essere, l'esser cause. (De mag., art. 1 in corp.). Nel riconoscere l'infallibilità pontificia, il Vaticano I non esercitò nessun atto di tirannide o dittatura "centralistica"; ma solo pose come a dir la "causa prima" del magistero cristiano: quella che alle cause seconde avrebbe dato l'esser cause: la Causa in unione con la quale i Vescovi (e i Presbiteri loro delegati) avrebbero esercitato, validamente e attivamente, il loro magistero, e i laici stessi avrebbero potuto divenir "cause seconde" d'evangelizzazione ed apostolato. Il discorso fu, allora, interrotto: ora, dal Vaticano II, è stato ripreso e condotto al termine.

Così, posta questa salda base, il Concilio ha potuto dedicarsi, con sicurezza, all'altra parte della sua missione pedagogica: guardare bene, cioè quali siano le precise condizioni psicologiche di quel grande scolaro che è l'umanità moderna; alle quali ha dedicato una minuta analisi nella costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Ma con tale ricerca, pure di alto interesse, usciremmo dai limiti che questa trattazione si era prefissi e, perciò, qui ci fermiamo.