Una Voce grida - Editoriale del n. 9 / marzo 1999:
IL DOVERE DI EDUCARE
Alessandra Nucci
La civiltà del Novecento, e in particolare quella occidentale, è sommersa, satura, sovraccarica di informazioni. Dove prima si traevano idee e conoscenze da ambiti abbastanza ben definiti - famiglia, scuola, chiesa, carta stampata - oggi esse ci vengono trasmesse per lo più sotto forma di immagini e suoni che si affollano alla rinfusa, "democraticamente", sul video e sulle magliette, al cinema e sui cd, alla radio e sui cartelli stradali, sui posters in casa e sugli striscioni allo stadio, sui computer, nelle vetrine e lungo la strada. È come se ci si trovasse dinanzi ad una versione moderna del paradosso faustiano, perché la tecnologia avanzata, che fornisce una quantità infinita di informazioni in "tempo reale", proprio nell'atto di farlo mette l'uomo di fronte ai propri limiti: chi, infatti, potrà mai leggere, o tantomeno conoscere, tutto quanto pure ha a disposizione? (1)
Ne consegue che tutti, oggi, ma soprattutto i giovani, hanno bisogno di criteri-guida, non solo per riuscire a distinguere il bene dal male, ma anche solo per distinguere l'importante dall'insignificante. Diventa cruciale quindi la funzione educativa di genitori e docenti. Paradossalmente, invece, è proprio in questo "momento" storico che le agenzie educative tradizionali, famiglia e scuola, sembrano aver abdicato al loro ruolo. Basti pensare che quando i liceali di oggi avranno 75 anni, ne avranno trascorsi tredici davanti al televisore, di più di tutti gli anni di istruzione pre-universitaria messi insieme.
Dove una volta si avevano modelli precisi di riferimento, da emulare, rifiutare, o con cui comunque misurarsi, oggi, in un rovesciamento totale del significato del termine educazione, si tende sia in famiglia che a scuola a non influenzare troppo le scelte dei giovani, per non "reprimerli". Credendo di fare il loro bene, i genitori lasciano i figli "liberi" di scegliere idee e comportamenti e dal canto suo la scuola si limita sempre di più a descrivere e interpellare, invece di prescrivere e verificare. Ma la libertà dei figli di Dio non si fonda sulla semplice assenza di divieti e condizionamenti. Si fonda sulla verità.
"Una volta che si è tolta la verità all'uomo, è pura illusione pretendere di renderlo libero. Verità e libertà, infatti, o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono". (2)
L'essere umano, ci dice l'enciclica "Fides et Ratio", cerca la verità e: "non potrebbe fondare la propria vita sul dubbio sull'incertezza", esattamente come non potrebbe fondarla sulla menzogna, perché:
"una simile esistenza sarebbe minacciata costantemente dalla paura e dall'angoscia". (3)
Grande affresco della storia della sapienza, la "Fides et Ratio" insiste sulla necessità di combattere la settorialità dei saperi (4) e la frammentarietà delle conoscenze, in una cultura in cui tutto sembra concorrere ad incoraggiare il dubbio e sbarrare la strada al pensiero che l'universo e l'esistenza umana possano avere un senso anche al di là dell'evidenza. Si ritiene scientifico, infatti, e quindi ragionevole, soltanto la ricerca che si limita ad osservare i fenomeni e scoprirne i rapporti di causa ed effetto all'interno di un determinato settore di ricerca. Chi va oltre la ricostruzione di leggi della fisica o della chimica e tenta di usare la ragione per collegarle in un sistema superiore, anziché lasciarle sotto il dominio del caso, viene bollato come sorpassato, ingenuo, infantile, ottocentesco, o magari romantico. A meno che, si intende, non si intruppi nelle fila del New Age e teorizzi un universo governato da energie, entità o forze impersonali, oppure da schiere di divinità o spiriti-guida oppure ancora da un'unica forza impersonale. Il dubbio accomoda tutte queste teorie - purché non si ragioni intorno ad un unico Dio, onnipotente, non impersonale, ma persona. Allora scatta il condizionamento, il dubbio di essere ingenui, di essere poco intellettuali. Eppure è sufficiente ribellarsi per un attimo al ricatto del conformismo del dubbio per vedere come l'arte moderna in tutte le sue manifestazioni, si caratterizza per atteggiamenti ostili alla visione cristiana del mondo. Per vedere come, di fatto, serva a sgretolare i principi che stanno alla base della cultura occidentale, di matrice, appunto, cristiana, scardinando i più elementari luoghi comuni (5) e minando la fiducia nell'esistenza stessa di una realtà oggettiva, fino al punto di mettere in dubbio anche quello che viene percepito dai nostri stessi sensi. Così, nel Novecento, in letteratura nascono i romanzi in cui l'autore cerca di "scomparire", in musica nasce l'antimelodia talvolta volutamente urtante, nella pittura nasce l'astrattismo, il cubismo, il fauvismo, il dadaismo, o qualunque altro "ismo" che rifiuti l'arte figurativa. Anche nella scultura le forme perdono ogni riferimento all'umano e al reale, di cui si nega l'esistenza, nell'arte drammatica nasce il "teatro dell'assurdo", in psicanalisi impariamo a convivere con una sfera dentro di noi, il subconscio, che non governiamo ma che al contrario può governare noi, nella letteratura popolare nascono i racconti scomponibili a più percorsi e nella stessa critica dell'arte, che è filosofia, si creano meccanismi interpretativi che fanno a meno dell'intervento dell'autore e rendono valido e determinante ogni diverso punto di vista.
Il presupposto di tutto ciò è il rifiuto dell'idea stessa che esista la verità, ripetutamente vista in contraddizione frontale con le verità, al plurale. Sarà infatti la difesa del concetto stesso di verità, dice Giovanni Paolo II, la sfida che si porrà ai cristiani per il terzo millennio. (6)
Tutta la comunicazione oggi nel mondo occidentale, retto una volta da valori quasi universalmente condivisi, e oggi dileggiati in "luoghi comuni", sembra martellare sulla pluralità delle verità, la quale paradossalmente diventa l'unica verità imposta a tutti. Il tangibile bombardamento sensoriale di cui abbiamo parlato va infatti a rafforzare la tendenza alla frammentarietà del sapere, che porta a coniugare la verità al plurale e perdere così di vista il "senso" della vita:
"In questo groviglio di dati e di fatti tra cui si vive e che sembrano costituire la trama stessa dell'esistenza, non pochi si chiedono se abbia ancora senso porsi una domanda sul senso. La pluralità delle teorie che si contendono la risposta o i diversi modi di vedere e di interpretare il mondo e la vita dell'uomo non fanno che acuire questo dubbio radicale, che sfocia in uno stato di scetticismo e di indifferenza o nelle diverse espressioni del nichilismo". (7)
Enciclica di fine secolo e fine millennio, la "Fides et Ratio" va in senso diametralmente opposto non solo alle tendenze della cultura imperante, ma anche della riforma che si prepara per la scuola italiana. Il luogo dove si dovrebbe dipanare "il groviglio di dati e di fatti tra cui si vive", sarebbe infatti, ovviamente, la scuola, che oggi serve, al contrario, a confermare i segnali a sostegno dello scetticismo, contribuendo così, anziché ovviando, alla frammentarietà dei saperi, alla svalutazione della tradizione (8) e al dubbio, basato proprio sulle linee di pensiero che più di altre valgono a corrodere le umane certezze (elencate specificamente nell'enciclica si trovano: eclettismo, storicismo, modernismo, scientismo, pragmatismo, democraticismo, post-modernità -9-).
Oggi si dichiara di voler abbandonare il "nozionismo" e piuttosto invece "insegnare a pensare", ma in realtà si va togliendo la possibilità di seguire uno sviluppo storico e filosofico d'insieme e con esso gli strumenti e i collegamenti che permettono di ragionare.
Nella metodologia didattica, ci si concentra sul particolare a spese dell'insieme, sull'analisi che non porta mai a sintesi. sull'approccio modulare che spezzetta i nessi logici (10). Avviene con l'insistenza sulla prassi a spese dell'astrazione, con il livellamento fra i valori (la "valorizzazione delle differenze" -11- ) e con il "politically correct", che impone una determinata visione del mondo quella della multiculturalità, che non è semplice convivenza bensì relativismo culturale. Così può succedere ad esempio, che in una classe elementare in cui c'è un bambino musulmano, agli altri bambini venga vietato di fare il presepe. In nome, naturalmente, della tolleranza... a senso unico.
La destrutturazione del pensiero si completa infine con la multimedialità. Come, la multimedialità? Sissignori, con i computers, che non vengono utilizzati come strumenti di lavoro e neanche come oggetto di studio. Come che cosa, allora, direte voi? Ma è semplice: come strade per arrivare a un nuovo modo di pensare. Citiamo al riguardo il professor Roberto Maragliano, presidente della cosiddetta Commissione ministeriale dei "saggi", che considera la multimedialità
"più come risorsa epistemologica che come parco strumenti. L'invito che ne viene è di cogliere nelle logiche di funzionamento delle macchine l'emergere di forme di pensiero e di coscienza assai diverse da quelle ereditate dalle forme di dominio e di esclusività proprie della scrittura a stampa (...) Stiamo di fatto passando da un regime all'interno del quale 1 'attività formativa (...) equivaleva alla configurazione e alla conseguente messa in azione di saperi stabili destinati a costituire lo sfondo immobile per le future attività lavorative dell'individuo (...), ad un regime dentro il quale la conoscenza e le dinamiche che le sono proprie assumono un ruolo di primissimo piano in tutte le attività dell'individuo, presenti e future, produttive e no (...) Si tratta di vederla non tanto come parco strumenti né come un'area di contenuto caratterizzata dalla presenza di sofisticate procedure tecnico-scientifche, ma come chiave filosofica generale per fare i conti con la configurazione in perenne movimento del problema generale della formazione" (12).
Potremmo citare anche documenti politici in cui del computer si parla addirittura in termini religiosi, contrapponendo il "monoteismo" del libro al "politeismo" della multimedialità.
L'uomo, unico essere vivente che "sa di sapere", (13) cerca un senso alla sua esistenza, e la ragione umana è in grado di trovarlo (14). Di qui l'appello urgente del Papa perché si combatta la frammentazione del sapere servendosi della filosofia, cioè della ragione umana, per:
Non si dovrà semplicemente difendere la Verità rivelata, ma, come esposto sopra, impedire che la cultura imperante continui sulla strada del chiudere ogni spazio anche alla semplice possibilità che possa esistere una Verità assoluta (15).
Succede infatti che oggi in nome del pluralismo e la tolleranza si vorrebbe arrivare ad imporre ai cattolici non la convivenza e nemmeno la fratellanza con altre concezioni della vita, bensì di rinunciare a credere e dire che la verità sia una sola. Eppure:
"Credere nella possibilità di conoscere una verità universalmente valida non è minimamente fonte di intolleranza; al contrario, è condizione necessaria per un sincero e autentico dialogo tra le persone. Solamente a questa condizione è possibile superare le divisioni e percorrere insieme il cammino verso la verità tutta intera, seguendo quei sentieri che solo lo Spirito del Signore risorto conosce" (16).
La battaglia dunque è a tutto campo, ma è subdola e indiretta, parla il linguaggio della pace e della tolleranza e, come l'Anticristo di Solov'ev (citato, fra l'altro, nella "Fides et Ratio "fra i pensatori di cui fare tesoro), si vanta di voler unire tutto e tutti, negando così perfino il semplice principio di non contraddizione (quello per cui due tesi contraddittorie non possono essere contemporaneamente vere (17).
La funzione educativa è oggi mille volte più cruciale di quando la cultura generale era sostanzialmente omogenea e ordinata secondo valori comprensibili, conosciuti e condivisi dai più. Occorre rendersi conto infatti che le nostre conoscenze, religiose e non, si acquisiscono per la maggior parte sulla fiducia, che le "verità semplicemente credute" sono e rimangono:
"molto più numerose di quelle che l'uomo acquisisce mediante la personale verifica. Chi, infatti, sarebbe in grado di vagliare criticamente gli innumerevoli risultati delle scienze su cui la vita moderna si fonda? Chi potrebbe controllare per conto proprio il lusso delle informazioni che giorno per giorno si ricevono da ogni parte del mondo e che pure si accettano, in linea di massima, come vere? Chi, infine, potrebbe rifare i cammini di esperienza e di pensiero per cui si sono accumulati i tesori di saggezza e di religiosità dell'umanità? (18)
L'uomo non può nemmeno iniziare a cercare ciò che ignora del tutto o che stima assolutamente irraggiungibile. Solo la prospettiva di arrivare ad una risposta può indurlo a muovere il primo passo (19). Ed è proprio questa prospettiva che si sta cercando di togliergli dalla testa. Perché l'uomo voli basso, e smetta di congetturare.
* * *
NOTE
1) II fenomeno. noto come "information overload", è ben illustrato da quanto raccontato in un'intervista di qualche anno fa da Umberto Eco: invitato a tenere una conferenza sul Tempio di Gerusalemme, argomento su cui è ferratissimo, fece "l'errore" di andare a consultare Internet dove trovò 11.000 pagine di documenti di riferimento. Di fronte all'impossibilità di consultarli tutti preferì rinunciare a tenere la conferenza.
2) Giovanni Paolo II; "Fides et Ratio", 90.
3) Ibid. 28.
4) Ibid. 85.
5) cfr. A. Gramsci, Quaderni dal carcere, 24 (1934) dove osserva che i filosofi tradizionali si sforzano di far apparire le loro filosofie in accordo col cosiddetto senso comune o buon senso, spontaneo e naturale, il che significa che una nuova concezione può aver risultati incisivi solo se riesce ad agire anche nella sfera del senso comune per "modificare l'opinione media" di una certa società e addirittura produrre "nuovi luoghi comuni".
6) Giovanni Paolo II; "Fides et Ratio", 85.
7) Ibid. 81.
8) Ibid. 85 : "...il richiamo alla tradizione non è mero ricordo del passato ma riconoscimento di un patrimonio culturale che appartiene a tutta l'umanità. Siamo noi ad appartenere alla tradizione e non possiamo disporre di essa come vogliamo. Proprio questo affondare le radici nella tradizione è ciò che permette a noi, oggi, di poter esprimere un pensiero originale, nuovo e progettuale per il futuro".
9) Ibid. 89/90.
10) dalla "Bozza di riforma dei cicli", Internet gennaio 97: "I programmi ministeriali dovranno trasformarsi da individuazione di contenuti a individuazione di obiettivi e di standard di apprendimento, intesi non come "contenuti standardizzati", bensì come livelli differenziati di raggiungimento degli obiettivi formativi."
11) Art. 1.3 del disegno di legge sul riordino dei cicli dell'istruzione
12) Roberto Maragliano, Pensare la formazione dentro la multimedialità, Intervento al Simposio "Didattica e informatica" del 9/10/97 presso l'Accademia Navale di Livorno.
13) Giovanni Paolo II; "Fides et Ratio", 25.
14) Ibid. 22.
15) Ibid. 21.
16) Ibid. 92.
17) Ibid. 5.
18) Ibid. 31.
19) Ibid. 21.